Wednesday, April 26, 2006

Sulle contestazioni alla Moratti, E. Galli della Loggia coglie nel segno

Firmando l’editoriale del Corsera di oggi sulle contestazioni dei soliti idioti di sinistra a Letizia Moratti, Ernesto Galli della Loggia dà un'opportuna strigliata alla coalizione guidata da quel genio di Mortadella.
DISAPPROVARE NON BASTA

Anche se ha preferito non dare importanza alla cosa, quel che è capitato ieri pomeriggio al ministro Moratti è assai grave, e merita di essere chiamato con il suo nome: una violenta, indecorosa gazzarra che chiama in causa responsabilità più vaste di quelle dei suoi autori. A nulla è valso che Letizia Moratti partecipasse al corteo milanese commemorativo della Liberazione spingendo la carrozzella con il padre medaglia d'argento della Resistenza; a nulla è valso che la sua sola presenza attestasse — se ce ne fosse stato mai bisogno! — la condivisione degli ideali di libertà evocati dalla ricorrenza: no, nulla è valso a nulla per proteggerla dalla salva di fischi, di insulti, di minacce, che le è piovuta addosso per tutta la durata del corteo. Ovvia la sua colpa: stare politicamente nel centrodestra; per giunta come ministro dell'Istruzione e dell'Università del governo Berlusconi, cioè in un ruolo che per lungo tempo è stato oggetto di una vera e propria demonizzazione ad opera dei settori più beceri e massimalisti della sinistra italiana che da decenni, ahimé, si annidano per l'appunto nelle scuole e negli atenei della Repubblica.

Di fronte a quanto accaduto, che è l'esatta ripetizione di quanto già accaduto altre volte in altri 25 aprile, i commenti degli esponenti del centrosinistra, limitatisi tutti (con la sola, felice eccezione, oltre che della Rosa nel pugno e di Mastella, di Bruno Ferrante, concorrente con la Moratti nella prossima elezione a sindaco di Milano) a un formale rincrescimento, appaiono penosamente inadeguati. Tanto più se ricordiamo che sono proprio essi a rammaricarsi regolarmente del fatto che i politici del centrodestra non partecipano ai festeggiamenti della Liberazione: e perché mai lo dovrebbero se questa è la fine che li aspetta? Per superare l'esame di autolesionismo?
Più inadeguata delle altre, per l'evidente importanza della sua figura, la reazione di Romano Prodi, il quale, pur avendo l'occasione di parlare nel comizio a conclusione del corteo, dal palco ha fatto appena un cenno all'accaduto.

Ha evitato così di dire, il nostro futuro presidente del Consiglio, ciò che invece andava detto e che da lui ci aspettavamo. Che allora in sua vece diciamo noi: e cioè che la democrazia italiana non sa che farsene dell'antifascismo dei faziosi e dei violenti; che la nostra democrazia non sa che farsene di quell'antifascismo che — come ha scritto coraggiosamente il direttore di Liberazione Piero Sansonetti — non capisce che «una cosa è cacciare i nazisti e un'altra è cacciare Berlusconi», che la democrazia italiana non sa che farsene — e non vuole avere niente a che fare — con l'antifascismo che non esita a strumentalizzare le grandi, drammatiche pagine della storia nazionale e i valori più alti del nostro patto costituzionale per sfogare i suoi poveri livori politici, per celare le sue pochezze, all'occasione per maramaldeggiare.

Finché l'antifascismo dei democratici non saprà prendere le distanze dall' antifascismo «militante», da questa sua contraffazione intollerante e violenta, e non saprà farlo a voce alta, esso sarà sempre vittima, anche elettorale, del suo ricatto politico. È così, mi chiedo, è mostrando una simile timidezza ideologica che si crede di poter costruire il Partito democratico? Sul punto di andare al governo con un'esiguissima maggioranza parlamentare, i gruppi dirigenti del centrosinistra commetterebbero un grave errore a non capire che è proprio su questioni come questa che essi si giocano la possibilità di convincere e di raccogliere intorno a sé una parte del Paese più vasta di quella che li ha votati.

Mi sembra che qui abbiamo un Galli della Loggia diverso rispetto a quello che scrisse l'editoriale dello scorso 21 aprile. Lo riporto di seguito.
IL NUOVO PREMIER TRATTI CON L'EUROPA

Il rapporto di fiducia con Bruxelles è decisivo
Ormai non resta che governare. Con il risultato proclamato dalla Cassazione - che Berlusconi farebbe bene ad accettare senza indugi invece di inscenare un ambiguo surplace - Romano Prodi è insediato definitivamente al comando. Ma governare non sarà facile. Per almeno tre motivi: per l' esiguissima superiorità di cui il nuovo governo potrà disporre in una delle due Camere; per la forte disomogeneità politico-programmatica della sua maggioranza; per le condizioni presumibilmente abbastanza critiche in cui esso troverà i conti dello Stato ereditati. In queste condizioni la principale carta che Prodi ha da giocare è la sua leadership. La vittoria del centrosinistra non è stata certo strepitosa ma si deve ammettere che solo la presenza di Prodi ha permesso di mettere e di tenere insieme l' estesissimo arco di forze dell' Unione, solo la sua figura ha rappresentato un' immagine in cui ognuna di quelle forze ha potuto bene o male riconoscersi; il centrosinistra, insomma, è riuscito concretamente a esistere solo in quanto c' era Prodi. Al di là del risultato elettorale egli, dunque, è investito della guida della coalizione in maniera politicamente piena, e dunque deve anche sentirsi autorizzato a esercitare quella guida in maniera altrettanto piena. Il che significa innanzitutto non esitare ad affermare la propria iniziativa nella formazione del governo. Uno dei maggiori punti deboli del centrodestra è stata la mediocre qualità degli uomini e delle donne del suo esecutivo. Proprio a partire da qui, pertanto, il Paese si aspetta dal nuovo presidente del Consiglio una decisa inversione di rotta: cioè che non badi ad alchimie partitiche, a equilibri di corrente, ma scelga sulla base delle qualità, affidandosi specialmente alle competenze e alla capacità dei prescelti di parlare all' opinione pubblica e di costruire consenso anche oltre i confini della coalizione. Ma la carta più efficace di Prodi è quella rappresentata dall' Europa, con la quale il suo passato di presidente della Commissione dovrebbe assicurargli un ascolto e una rete di rapporti preziosi. Il governo italiano avrà probabilmente un paio di mesi per presentarsi con le carte in regola ma c' è bisogno di costruire un rapporto di fiducia reciproca più stabile. È soprattutto dal dialogo con l' Europa che egli può ottenere i margini di manovra economica e l' accesso a risorse di cui l' Italia necessita per raddrizzare i suoi conti e migliorare la propria posizione con l' estero. Ed è poi dallo stretto rapporto con i Paesi partner dell' Europa che il governo di centrosinistra può attingere l' ispirazione e la forza per attuare una politica estera che sappia evitare tentazioni di terzomondismi, neutralismi e disimpegni repentini che avrebbero il solo effetto di indebolirlo notevolmente. Incarnare il legame con l' Unione Europea del centrosinistra italiano sarebbe per Prodi un modo ideale per costruire quello spazio politico proprio che di per sé il ruolo di leader della coalizione non gli dà. Prodi, infatti, oggi è solo una leadership. Ma proprio attraverso questa egli può diventare qualcosa di molto di più, cioè un programma omogeneo, una linea politica. Ciò che tra l' altro è proprio quello che oggi manca al centrosinistra che di linee politiche ne ha pure troppe, e conta un programma che giustamente Pietro Scoppola ha paragonato a un' «enciclopedia». Prodi può rappresentare il rimedio a tutto ciò, dando vita, ci si passi l' espressione, al prodismo. L' alternativa è limitarsi a capeggiare un ammasso disordinato e conflittuale di ambizioni e di vocazioni: allora sì che lo striminzito vantaggio elettorale apparirebbe in tutta la sua problematica esiguità.

E Libero di Feltri avanza alla grande

Su segnalazione di Dietro le linee nemiche, riporto anch'io i dati diffusi da Dagospia (con tanto di commento di Italia Oggi) sul recente aumento di vendite di 'Libero' e 'il Giornale'.

“LIBERO” (+71%) E “IL GIORNALE” (+16,1%) FANNO BOOM...
Sono stati pubblicati i dati relativi alla diffusione dei quotidiani italiani nel mese di marzo 2006 rispetto allo stesso mese del 2005. Il record di vendite spetta a "Libero" di Vittorio Feltri che nel mese scorso si è attestato sulle 122.374 copie (+71,1% rispetto a marzo 2005). Infatti, a marzo di un anno fa "Libero" vendeva appena 71.500 copie. "Il Giornale" di Maurizio Belpietro raggiunge le 229.548 copie (+16,1% rispetto alle 197.726 copie del marzo 2005). Il "Corriere della Sera" diretto da Paolo Mieli, che l'8 di marzo nel suo editoriale si è schierato a favore dell'Unione, ha avuto una crescita del 3,7%, salendo a 670.000 copie vendute rispetto alle 650.000 del marzo 2005. "La Repubblica" invece passa dalle 621.400 a 634.000 copie (+2%), "Avvenire" arriva a superare le 109.000 copie con un incremento dell'1,7% rispetto alle 107.304 del mese di marzo di un anno fa. "Il Sole 24 Ore" (+1,5%) si attesta sulle 352.332 copie (5.285 copie in più rispetto a un anno fa), mentre "Il Messaggero" (+1%) si attesta sulle 226.450 copie a marzo 2006. (Elmar Burchia)


COME SI SPIEGA IL BOOM DI FELTRI E BELPIETRO?
Claudio Plazzotta per Italia Oggi

La dichiarazione di voto di Paolo Mieli dello scorso 8 marzo, in cui il direttore schierò il Corriere della Sera con il centro-sinistra, non avrà fatto perdere copie al quotidiano di via Solferino. Quello che al momento è certo, tuttavia, è che le ha fatte guadagnare, in maniera esplosiva, a Libero e al Giornale. Le due testate, entrambe vicine al centro-destra e molto forti in Lombardia, hanno infatti chiuso un mese di marzo a dir poco da incorniciare. Con perfomance diffusionali stupefacenti che proseguono pure nella prima metà di aprile. Il quotidiano di Vittorio Feltri, in marzo, ha avuto una media dichiarata alla Fieg di 122.374 copie al giorno, con un +72,2% rispetto al marzo del 2005. Nelle prime due settimane di aprile è alla strabiliante quota di 145 mila copie (record monstre di 170 mila copie l'11 aprile).

Il Giornale, invece, ha messo a segno una media Fieg di 229.548 copie, +16,1% sullo stesso mese dell'anno precedente. E in aprile il trend prosegue, con +35 mila copie sull'aprile 2005.
Come si spiegano questi incrementi? "Beh, in marzo noi abbiamo avuto una concomitanza di eventi, ulteriori al fisiologico aumento da campagna elettorale. C'è stato il lancio di un gioco per fidelizzare i lettori", spiega Gianni Di Giore, direttore generale di Libero, "poi l'abbinata col libro Tutte le balle su Berlusconi, di cui abbiamo venduto oltre 700 mila copie, quindi lo sciopero dei giornalisti il 18 marzo, a cui noi non abbiamo aderito diffondendo, quindi, più copie del solito. Ma l'effetto Mieli c'è stato. Da un giorno all'altro abbiamo guadagnato 25 mila copie. E nei monitoraggi che facciamo in edicola, sono circa 50 mila le copie che Il Corriere ha perso dal 9 marzo, da quando Mieli ha dichiarato di votare per Prodi".

In Rcs sono ormai settimane che manager e direttori si affannano a dichiarare che Il Corriere della Sera non ha invece perso nulla, anzi ha guadagnato dopo l'esternazione. E in effetti il dato dichiarato da via Solferino alla Fieg parla di 670 mila copie medie in marzo, con un +3,7% sul marzo 2005.
Tuttavia, fanno sapere gli analisti di Libero e del Giornale, il calo in edicola c'è stato, compensato da altre operazioni (abbinate con la Gazzetta dello Sport, distribuzioni del giornale in alberghi e aeroporti) che terrebbero così alta la diffusione. "Per esempio, nella provincia di Bergamo il Corriere della Sera, in edicola, ha perso 1.500 copie medie al giorno, mentre noi contemporaneamente ne abbiamo guadagnate 1.300", commentano da Libero.

Toni analoghi al Giornale: "In marzo abbiamo guadagnato circa 30 mila copie rispetto alla nostra marcia consueta", dice Attilio Mattusi, direttore della diffusione del quotidiano diretto da Maurizio Belpietro, "ma l'incremento da campagna elettorale, scioperi o iniziative di marketing lo abbiamo valutato attorno alle 10 mila copie. Le altre 20 mila copie ci sono capitate da un giorno all'altro dopo l'8 marzo. Tanto che ci abbiamo messo alcuni giorni a tarare le tirature, poiché facevamo esauriti quasi in tutte le rivendite lombarde. Quelle 20 mila sono le copie effetto Mieli. In base alle nostre valutazioni, tra Milano e Lombardia il Corriere della Sera, in edicola, ha perso l'8-10%. E non è casuale che dall'8 marzo il distributore del Corriere, Milano Press, controllato da M-Dis (di cui, a sua volta, è socio Rcs MediaGroup, ndr), non ha più condiviso con noi i dati di vendita".

Ma non può essere che le belle performance di Libero e Giornale siano figlie della campagna elettorale cruenta, degli appelli di Berlusconi al popolo dei moderati, senza scomodare Mieli? "No, così tante copie non si guadagnano da un giorno all'altro senza effetti esterni. Il Giornale", aggiunge Mattusi, "col centro destra al governo, ci ha messo più di 4 anni a perdere 30 mila copie di diffuso. E adesso, paradossalmente, siamo quasi contenti che Berlusconi passi all'opposizione. In questo modo potremo sbizzarrirci di più con le nostre critiche".

Friday, April 07, 2006

Voterò Silvio Berlusconi

Sono cattolico, moderatamente liberale e mi riconosco nei valori espressi dalla coalizione di centrodestra. In questi cinque anni, si poteva e si doveva fare di più e meglio. È sempre così. Ma a conti fatti, sono soddisfatto di quanto fatto dal Premier, dal governo e dalla maggioranza parlamentare che ho contribuito ad eleggere nel 2001.

Il 9 aprile voterò ancora Silvio Berlusconi e Forza Italia.

Thursday, April 06, 2006

A pensarci bene, coloro che ‘tirano fuori i coglioni’ sono proprio coglioni

L’appellativo con cui Berlusconi ha definito gli elettori che votano contro il proprio interesse richiama alla mente un’altra espressione della lingua italiana colloquiale. Chiamando ancora una volta in causa gli attributi maschili, essa denota una bizzarra concezione dei … propri interessi. Mi riferisco, in particolare, all’espressione tirar fuori i coglioni, che significa ‘comportarsi da uomo, dimostrando coraggio e combattività di fronte ad un pericolo o ad una situazione difficile’ (dal Dizionario Hoka Hey della lingua italiana, edito dalla Pasqualino Sette Bellezze Editore).
Non sono un linguista e non conosco le origini di questa locuzione. Usando un po’ di buon senso penso però di poter dire che detta espressione nasca dall’associazione degli attributi sessuali maschili ai caratteri tipici della mascolinità - quali, appunto, la forza fisica, il coraggio, lo spirito di competizione. Nel linguaggio comune, infatti, colui che ‘ha/non ha coglioni’ dispone/difetta delle summenzionate caratteristiche.
Il problema, come tutti sanno, è che i soprannominati costituiscono una delle parti più delicate del corpo maschile. Ricevere un colpo proprio lì è dolorosissimo e fortemente debilitante per chi lo subisce. Allora, ecco il mio dubbio: ma per quale motivo per reagire con forza e coraggio ad un avversario o ad una situazione difficile si dovrebbero … tirar fuori i coglioni? E' un controsenso. Tirarli fuori, cioè esporli agli attacchi dell’avversario implica il renderli vulnerabili e, se colpiti, comporta la definitiva sconfitta dell’incauto …‘esibizionista’.
Domando: ma chi è stato quel genio che ha coniato quest’espressione? un masochista? o una moglie speranzosa di poter finalmente ‘fare il colpo’ di tutta una vita? Mah!
Per intendere che una persona dovrebbe risolversi ad essere pugnace sarebbe più opportuno dire, invece, ‘tirar fuori la spada’. È con la spada che si combatte, o no?
Non è un mistero che le parole e i concetti esprimibili con una lingua forniscano informazioni sulla cultura di un popolo. Ora, se prendiamo in considerazione questa locuzione, che cosa si può dedurre degli Italiani? che combattono per perdere? che sono un po' fessacchiotti? Forzando i termini, si può forse pensare ad un nostro lontanissimo legame con il mondo romano, ma non a quello della sua massima solidità, potenza ed espansione, bensì a quello della decadenza. Sto esagerando? Sto uscendo dal seminato? Forse sì. A pensarci bene, mi viene un altro dubbio: non è che mi sto … rincoglionendo?

Wednesday, April 05, 2006

Fantascienza: Gesù non camminò sull'acqua, ma sul ghiaccio


Il Corriere online riporta questa notizia:

«Gesù camminò sul ghiaccio, non sull'acqua»
Scoperta un'insolita combinazione di condizioni atmosferiche nel Mar di Galilea.

MIAMI - In passato aveva già ipotizzato che la separazione delle acque del Mar Rosso da parte di Mosé non fosse altro che un fenomeno legato a un gioco di venti e di correnti. Adesso il paleologo della Florida Dorof Nova prova a spiegare scientificamente un altro miracolo raccontato nel Nuovo testamento, quello di Gesù che cammina sulle acque. «In realtà si trattava di ghiaccio», afferma lo studioso.
In una ricerca pubblicata nel Journal of Paleolimnology, Nof afferma di aver scoperto che una insolita combinazione di acqua e condizioni atmosferiche in quella che oggi è la parte settentrionale di Israele potrebbe aver portato alla formazione di ghiaccio nel Mar di Galilea. Studiando le temperature della superficie del Mediterraneo e i modelli statistici per esaminare le dinamiche del Mare di Galilea (oggi lago Kinneret), Nof afferma che un periodo freddo compreso tra 1.500 e 2.600 anni fa può aver portato alla formazione di lastre di ghiaccio abbastanza spesse da sorreggere un uomo, ma invisibili a distanza. (…)

Una domanda semplice semplice allo scienziato americano: ma solo Gesù seppe che c’era il ghiaccio sul Mar di Galilea? E i pescatori con le loro barche non notarono nulla? Il ghiaccio si sciolse immediatamente dopo la ‘passeggiata’ di Gesù, in modo che tutti gli spettatori potessero credere che Lui avesse camminato sull’acqua? Va bene che Dio ha un grande senso dell’umorismo, però non fino al punto da prenderci in giro. Almeno Lui no!

Fra i Verdi ci sono Briganti che dedicano poesie a Osama e ai kamikaze

Dal Foglio di ieri

Una candidata dei Verdi dedica poesie a Bin Laden e ci spiega perché il terrore è sopravvalutato

Milano. C’è una candidata dei Verdi alla Camera che scrive poesie “dedicate” a Osama bin Laden, ad Ayman al Zawahiri, ad Abu Mussab al Zarqawi, alle Brigate dei martiri di al Aqsa, a Hamas, ai guerriglieri palestinesi e “in memoria” dello sceicco Ahmad Yassin. Dolci e ispirati versi con cui Lia Briganti si augura che il jihad “divenga un esercito di pace e di carità”. Non c’è alcuna esaltazione del terrorismo, ha scritto la stessa Briganti. I suoi sono “versi composti per comunicare le sensazioni che queste azioni esemplari” le hanno suscitato. “Azioni esemplari che, al massimo, possono destare qualche preoccupazione per il crearsi di un contesto pre-insurrezionale localizzato. Niente di più”.
Lia Briganti, candidata al numero 19 della lista verde in Emilia Romagna, è una poetessa vincitrice di premi letterari, critico d’arte e insegnante di psicologia e scienze dell’educazione a San Patrignano. Le sue poesie, tra cui “un augurio di bene ad Osama bin Laden e alla Jihad islamica”, ma anche invocazioni alla guarigione di Sharon e alle vittime delle stragi, si trovano nei forum di radicali.it. Prima dei Verdi, infatti, ha militato nel Partito radicale transnazionale ed è tutt’ora iscritta all’Associazione Coscioni.
Alla Federazione dei Verdi non ne sapevano niente. Informati dal Foglio, hanno provato a limitare i danni. Una poesia, dicono, non è come una bandiera bruciata né come un coro dieci, cento, mille Nassiriyah.
Restano però senza parole, quando apprendono i titoli delle poesie. “Preghiera per i
miliziani della jihad” recita così:

“Oh miliziani,/
voi mi appariste/ in sogno,/ ed io percepii/
le cause/ della vostra veemente/ violenza:/
fiumi di lacrime/ di inconsolabili madri/,
lo sguardo vostro/ offeso/ da un confine
limitato/. Questo io compresi,/ in effluvii/ azzurrini,/
in un braccio/ alzato/ e teso/ all’orizzonte./
Possano/ le lacrime/ restituire/ il dolore/
e con esso,/ la coscienza/ del male sofferto,/
la disponibilità/ al giudizio/ degli uomini,/
al perdono/ del cuore”.

“Sono semplici artificieri”
Lia Briganti non è una fan dei kamikaze, tutt’altro. Invoca la pace, predica l’amore tra i popoli fratelli e non è nemmeno contraria alla presenza italiana in Iraq: “Io sono una cattolica praticante, ma anche una liberale – dice con tono gentile al Foglio – I miei sono testi poetici scritti a partire dal 12 settembre, in seguito alle violenze e alle reazioni sopra le righe, come quella della Fallaci. La forma poetica esprime il mio stato emotivo nei confronti della barbarie di questa guerra, che io condanno”. Le sue poesie – dice – sono inviti al dialogo che nascono dagli stessi sentimenti
di solidarietà del Papa e di Marco Pannella a favore della pace o dell’esilio di Saddam. In realtà – le fa notare il Foglio – non risulta da nessuna parte che il Vaticano e i radicali abbiano mai scritto preghiere, poesie o appelli per trattare con i terroristi.
Ma l’analisi politica della Briganti è questa: “C’è una sopravvalutazione propagandistica del terrorismo internazionale, è un fenomeno che va ridimensionato”. Secondo l’aspirante deputato, Osama & co. “non sono un pericolo per l’occidente”, sono “frange ammutinate di mujaheddin o di hezbollah, i quali sono soldati di montagna che difendono le frontiere come i nostri alpini”. Il paragone è quello che è, ma la Briganti considera “propagandistiche” e “sopravvalutate” anche le parole del presidente iraniano Ahmadinejad contro Israele.
La Verde di Cesena vede spiragli di cambiamento nel jihad, e li vorrebbe spalancare. Ogni proclama terrorista diventa richiesta di trattativa da accettare: “Bisognerebbe mettersi intorno a un tavolo”. Anche con i tagliatori di teste? “Hanno scarsità di mezzi, sono semplici artificieri. Il terrorismo è una tattica di guerra povera, mediaticamente trasformata in ontologia ideologizzante a cui dichiarare guerra totale e illimitata”.

Tuesday, April 04, 2006

Ahimé, ho in comune con Prodi e Vittorio Zucconi… l’ignoranza

Colgo un banale ma gustoso svarione di Repubblica sul confronto televisivo di ieri tra i due candidati premier.
Stamattina il quotidiano, a pagina 2, segnala che:
Prodi ha citato George Bernard Shaw, ma in realtà la frase è di Mark Twain: "La gente di solito usa le statistiche come un ubriaco i lampioni: più per sostegno che per illuminazione".

Se lo dicono quelli di Repubblica, che sono così colti, mi fido.

Poi, a pag. 6, troviamo pagella e giudizi che alcuni personaggi del mondo della cultura, dell’informazione e dell’industria hanno stilato sulla performance televisiva dei nostri eroi. Vittorio Zucconi, vecchia guardia e punta di diamante di Repubblica, dà un 6 a Berlusconi e un 7 a Prodi. Argomentando il suo voto a Mortadella, Zucconi sostiene, tra l'altro, che:
(…) come sempre, il motore da antico trattore della bassa si scalda e mostra scatti di cattiveria, come in quella trappola dell’ubriaco che tende a Berlusconi, uomo di troppo vaghe letture per sapere che era una vecchissima citazione di Bernard Shaw.

Ma come, i colleghi di Zucconi non avevano scritto qualche pagina prima che si trattava di una frase di Mark Twain?
Per quanto mi riguarda, sono anch’io 'uomo di troppo vaghe letture', per cui la frase di Prodi mi ha preso in contropiede. Infatti, non conoscevo quel 'vecchissimo' aforisma. Il bello è che non lo conoscevano neanche Prodi - l'ha usato, ma ne ha sbagliato la paternità - e Zucconi - il quale si è dato la zappa sui piedi, pur di mettere in cattiva luce Berlusconi.
Suvvia, compagni, smettetela una buona volta di fare gli spocchiosi. Con un po’ di sana umiltà sareste meno intollerabili.

Aggiornamento. Apprendo dalla blogosfera che la 'vecchissima' citazione pronunciata da Mortadella non è nemmeno di Mark Twain, bensì di uno statistico, tal Andrew Lang.
La cerchia degli ignoranti si allarga sempre di più. Ora comprende anche Repubblica. Sto Prodi fa più danni delle cavallette.