Tuesday, October 31, 2006

Dove l'effetto serra è provocato dalle flatulenze. Ma dai!

Leggo su il Giornale di oggi che Riccardo Cascioli, esperto di prediche e previsioni ecologiste, ha messo mano al seguito del suo Le bugie degli ambientalisti, intitolato Le bugie degli ambientalisti 2.
A conferma ulteriore di quello che scrivevo ieri a proposito dell'insensatezza di tante ricerche ‘scientifiche’, Cascioli segnala, tra le altre, la seguente castroneria propinata dalla lobby ambientalista:
“Lanciare allarmi fa guadagnare. In Nuova Zelanda, dove l’effetto serra è causato soprattutto dalle flatulenze delle mucche, si finanziano studi e ricerche sulla digestione dei bovini. Hanno inventato persino un apparecchio che regola il flusso del cibo nello stomaco. E questo è solo un piccolo esempio”.

Monday, October 30, 2006

Pedofilia dei sacerdoti: le parole di Benedetto XVI

Per i cattolici, lo Spirito Santo guida l’elezione di un pontefice. E Benedetto XVI si rivela essere, immancabilmente, il Papa ‘giusto’ per affrontare le grandi questioni e le sfide di questi tempi amari. È il Papa 'giusto' anche per affrontare i problemi interni alla Chiesa, come dimostrano le parole da lui pronunciate sul tema della pedofilia dei sacerdoti (si veda oltre l’articolo di Andrea Tornielli su il Giornale di domenica 29 ottobre). Suggerisco di leggere anche il post di Orpheus sullo stesso argomento.
Il Papa: se il pedofilo è un sacerdote crimine più grave, di Andrea Tornielli

Gli abusi sessuali sui minori sono «enormi crimini», ancora «più tragici» se chi abusa è un uomo di Chiesa. Per questo occorre fare in modo di prevenire questi atti e sostenere le vittime. Lo ha detto ieri mattina Benedetto XVI, ricevendo i vescovi irlandesi presenti a Roma per la visita «ad limina». In Irlanda il fenomeno degli abusi su minori è presente in misura preoccupante e negli ultimi anni sono stati denunciati 450 casi nella sola diocesi di Dublino. Nel 2002, l'allora arcivescovo Desmond Connel, durante un'omelia, aveva chiesto scusa per i «fallimenti» della Chiesa nell'affrontare il fenomeno.
Ai vescovi irlandesi il Papa ha detto che nei casi di accuse di pedofilia che coinvolgono sacerdoti o religiosi è necessario «stabilire la verità di quanto accaduto, al fine di adottare qualsiasi misura sia necessaria per prevenire la possibilità che i fatti si ripetano, garantire che i principi di giustizia siano pienamente rispettati e, soprattutto, portare sostegno alle vittime e a tutti quanti siano colpiti da questi enormi crimini».
L'accenno alla «verità» è significativo: pur avendo voluto Ratzinger, ancora da cardinale, far fronte con regole più severe al fenomeno, giustizia vuole che sia accertata la responsabilità dell'accusato. Ma altrettanto significativo è l'accenno alla prevenzione per evitare che fatti simili si ripetano: ciò significa vigilanza, ma anche, nel caso di segnalazioni e denunce, fare in modo che il responsabile non sia più in grado di nuocere.
«Nell'esercizio del vostro ministero pastorale – ha ricordato Benedetto XVI – avete dovuto fare fronte negli anni recenti a molti e terribili casi di abusi sessuali su minori.
Questi sono ancora più tragici quando ad abusare è un uomo di Chiesa. Le ferite causate da tali atti agiscono in profondità ed è un'operazione urgente ricostruire la fiducia e la sicurezza là dove esse sono state danneggiate». Dopo aver elencato le sue raccomandazioni e le corrette modalità per affrontare efficacemente il problema, papa Ratzinger ha aggiunto: «Il pregevole lavoro e l'abnegazione della grande maggioranza dei sacerdoti e religiosi d'Irlanda – ha concluso il Papa – non devono essere oscurati dalle trasgressioni di alcuni dei loro fratelli.
Sono certo che la gente lo capisca e continui a guardare al suo clero con affetto e stima».
Come si ricorderà nel 2002 la Chiesa statunitense era stata travolta dallo scandalo dei preti coinvolti negli abusi ai minori. Alcune diocesi, chiamate a far fronte al risarcimento dei danni chiesti dalle vittime, sono sull'orlo della bancarotta. Già il 30 aprile 2001, con il «Motu proprio» Sacramentorum sanctitatis tutela, Giovanni Paolo II aveva stabilito di innalzare da 16 a 18 anni l'età del giovane perché il delitto fosse definito di «pedofilia».
Inoltre, il Papa prolungava a dieci anni il periodo necessario perché il delitto cada in prescrizione e questi dieci anni scattano non da quando è stato commesso l'abuso ma da quando la vittima ha compiuto il diciottesimo anno d'età. La nuova normativa, inoltre, prevede un vero, regolare processo per accertare i fatti, per confermare le prove della colpevolezza davanti ad un tribunale. E insiste anche sulle indagini previe che permettono di prendere dei provvedimenti cautelativi che impediscano all'individuo sospettato di recare ulteriori danni.

“Morte di un’anima” … e spreco di cervelli

Mentre leggevo quest’articolo, pubblicato su Il Foglio online, pensavo a quante braccia vengono sottratte all’agricoltura nei centri di ricerca.
Morte di un’anima
Al Salk Institute di La Jolla, in California, un gruppo di scienziati si affanna intorno ai neuroni del cervello per dimostrare che la coscienza è frutto dell’evoluzione e che pensare a noi come “persone” è un errore

Roma. Lo chiamano il “Decennio del Cervello”, metallico, pulito, pionieristico. Nel Maryland la scienza si è prodigata a individuare il gene dell’ansia, ma è fra le dune della California che celebra il suo progetto più ambizioso: la ricerca dell’anima, o laicamente, coscienza. Cosa ci spinge ad aiutare il prossimo? Esiste la libertà? E lo spirito religioso? E’ su queste domande che si apre un’inchiesta del settimanale americano U.S.News sulle recenti frontiere della biochimica e della neurologia.
Al Salk Institute di La Jolla, in cima a una collina, la bibbia si chiama “La ricerca scientifica dell’anima”. E’ il vangelo del premio Nobel Francis Crick, scopritore del Dna insieme a James Watson. Il nome dell’istituto deriva da Jonas Salk, che mise a punto il vaccino della polio. Plotino e Ivan Pavlov, Cartesio e William James si amalgamano in un orizzonte filosofico, genetico e biochimico al centro di un’industria mastodontica e degli sforzi di truppe di neurologi, psicologi cognitivi, specialisti dell’intelligenza artificiale e, a profumare la melassa scientista, di filosofi. E’ l’ultima frontiera del darwinismo applicato che vuole superare il dualismo cartesiano corpo-anima, che il filosofo Daniel Dennett ha bollato come un “tuffo nel mistero”. L’acclamato libro di Dennett (“Breaking the spell”), fa parte di un ventennale attacco neodarwinista all’idea di anima. Per Stephen Pinker “la supposta anima immateriale può essere dissezionata con un coltello, alterata dalla chimica ed estinta dalla mancanza di ossigeno”. L’inglese Steven Rose parla di “riduzionismo neurogenetico”, a cui risponde Steven Mithen, autore di “The Prehistory of the Mind”, per il quale la coscienza è “un prodotto dell’evoluzione”.
Secondo Francis Crick la coscienza è il risultato dell’oscillazione elettrica nei neuroni e la sua decifrazione certificherà la “morte dell’anima”. Crick non ha fatto in tempo (è morto nel 2004), ma di allievi ne ha molti a La Jolla. “La visione di noi come ‘persone’ è sbagliata quanto quella del sole che ruota intorno alla terra”, diceva Crick. Fra i premi Nobel affiliati all’istituto anche Renato Dulbecco. Il Neurosciences Institute, a pochi chilometri dal Salk, è stato fondato nel 1981 da un altro Nobel, l’immunologo Gerald Edelman. Il suo scopo è “portare la selezione di Darwin fra i neuroni”, dentro il suo avveniristico “monastero della mente”. L’istituto vive di sole donazioni. Fotosensori e cilindri metallici, ricerche sul “darwinismo neurale” e persino un’orchestra per studiare l’influenza musicale sui neuroni (Edelman è anche violinista). Arte e scienza “sono animati dallo stesso spirito”. Un ricercatore, Steve Jones, sostiene che la neurologia conferma che “la filosofia sta alla scienza come la pornografia sta al sesso”. Edelman è uno spregiudicato imprenditore scientifico. Nel 2004 si è scoperto che era da anni sul libro paga della Philip Morris. Il suo mausoleo scientifico vive nella clausura e i trentasette ricercatori hanno l’obbligo di mangiare in comune. Il presidente è solito riferire aneddoti sugli amici, da Andy Warhol al neurologo Oliver Sacks, autore del celebratissimo “Risvegli”. Un progetto che Richard Lewontin ritiene animato dallo spettro della “sociobiologia”, la teoria che Stephen Jay Gould paragonava al biologismo nazista. Nel 1991 il dottor LeVay, neuroscienziato al Salk Institute, ha esaminato i cervelli di 35 cadaveri: 19 omosessuali e 16 eterosessuali. Si concentrò su un gruppo di neuroni nella struttura dell’ipotalamo e vide che la regione era più grande negli eterosessuali. Conclusione: l’omosessualità è innata. Dopo aver pubblicato le ricerche su Science nel 1991, LeVay dovette occuparsi delle accuse di razzismo.
Gli scienziati di La Jolla studiano come percepiamo, immaginiamo, apprendiamo e ricordiamo. “E’ una visione artistica”, dice Edelman. La perla dell’istituto è un cilindro di nome Nomad, dotato di un milione di connessioni neuronali. Secondo Joseph Dial, direttore della Mind Science Foundation, si tratta di campi che “hanno applicazioni cliniche soprattutto quando si parla di coma, come in Terri Schiavo”. Madeleine Cosman del City College ritiene che la morte della ragazza della Florida sia il coronamento di questo darwinismo psichiatrico, “una dottrina che incoraggia la sopravvivenza degli adatti e l’estinzione dei deboli”. Un ricercatore del Salk, Christoph Koch, vuole creare un “coscienziometro”, un apparecchio che misuri lo stato di coscienza di nuovi nati e anziani dementi. “Il XX era il secolo della genetica molecolare, il XXI sarà quello della neuroscienza”, dice orgogliosa Martha Farah della Pennsylvania University. La concentrazione e la memoria hanno trovato i loro farmaci, Ritalin e Aricept. “Un giorno ne avremo uno per il comportamento morale?”. La domanda affascina i cervelloni del monastero. Nel 1996 Francis Crick gettò le basi del programma: “Il vostro senso di personalità e della volontà libera altro non è che il comportamento di un vasto agglomerato di cellule nervose”. Daniel Wegner definisce la libertà un “sentimento cognitivo” e Han Brunner su queste basi studia il cervello dei criminali. Avrebbe scoperto che hanno sofferto nell’infanzia di un tasso basso di serotonina. Il Progetto Genoma Umano ha sponsorizzato la conferenza “Fattori genetici nel crimine”. La ricerca ha applicazioni religiose. Andrew Newberg, fondatore della cosiddetta “neuroteologia”, ha compiuto studi sull’attività cerebrale di suore e monaci buddisti. A La Jolla sarebbe nata “la prima teoria biologica della coscienza”. Il filosofo John Searle ha definito il lavoro di Edelman “il più profondo al mondo”. Secondo il New York Times, “questa visione implica che non c’è alcuna anima né io. Questa, per il Dr. Edelman, è l’ultima responsabilità di Darwin”.

(28/10/2006)

Aggiornamento. Riporto da il Foglio del 1 novembre, sezione Lettere al Direttore.

Al direttore - La scienza spiega il mondo, la coscienza lo giudica. L’anima è il principio organizzato in cui è collocata l’identità e la soggettività dell’essere umano. Il grande pericolo di oggi si trova nel riduzionismo scientifico. Siamo tentati dal ridescrivere i nostri attributi specifici – personalità, libertà e amore – come semplici fenomeni biologici. Così creiamo l’immagine di un nuovo essere umano, un animale umano senz’anima. E avendolo creato, lo imitiamo, denunciando coloro che non adorano questo dio creato dall’uomo.
Roger Scruton

Il direttore - Preziosa integrazione alla storia di come i laboratori di La Jolla, California, perseguono l’eutanasia della coscienza e forse anche dell’anima, raccontata sabato da Giulio Meotti. Grazie.

Thursday, October 26, 2006

Padri e madri, uomini e donne: due specie diverse

Non sono un grande fan di Sigmund Freud, ma condivido gran parte delle tesi sostenute da un suo epigono, Aldo Naouri, pediatra e psicanalista, di cui ho appena finito di leggere “Padri e Madri”, pubblicato da Einaudi.
Occorre sottolineare che le conclusioni dell’autore - basate su quarant’anni di osservazioni dirette, studi e casi clinici - non sono nuove al patrimonio della psicanalisi e dell’antropologia. Anche se così, si tratta tuttavia di un’interpretazione del ruolo paterno e materno che, in quanto decisamente controcorrente e politically uncorrect, fa fatica a trovare il suo giusto risalto tra il grande pubblico e tra gli stessi specialisti.
Avevo pensato di scrivere qualcosa sul saggio. Avantieri, ho fatto un generico tentativo, che si aggiungeva ad altri post sulla stessa tematica e con argomentazioni similari. Poi, navigando nella rete, mi sono imbattuto in un paio di articoli comparsi su La Stampa nel marzo 2005, quando il libro è stato pubblicato in Italia. Il primo articolo fornisce un’idea attendibile e imparziale dei contenuti del libro; il secondo, a firma dello stesso Naouri, contiene delle precisazioni al suo pensiero. Perché allora non approfittarne e risparmiarmi la fatica?
Faccio notare che il grassetto nel primo articolo è mio. Purtroppo, non sono riuscito a stabilire se l’articolo di Naouri è stato troncato. Lo riporto quindi così come l’ho trovato in rete.
A chi avrà la pazienza di arrivare alla fine del post, spero possa anche sorgere la curiosità di leggere il libro. Ne vale senz'altro la pena!
«Uomini e donne, due specie diverse», di Raffaella Silipo (La Stampa 7 Marzo 2005)

FATE come volete, tanto non andrà mai bene». Persino lui, Sigmund Freud, non aveva poi troppa fiducia nella possibilità di diventare un buon genitore. E Aldo Naouri, pediatra e psicologo assai noto in Francia e autore di molti libri sul tema dell’infanzia, sa bene che non esiste una formula per rendere felice ogni famiglia. A dispetto del titolo, il suo I padri e le madri (Einaudi) non è affatto un manuale di puericultura: è piuttosto uno spietato ritratto della società moderna, asservita allo «strapotere della madre» e insieme un’invocazione agli uomini perchè riprendano il loro ruolo: non quello di «mammi», che troppo spesso cercano di assumere, ma quello di maschi e di padri. Nella convinzione non solo che stiamo allevando una generazione di figli gravemente disturbata, ma che questo sbilanciamento di ruoli sia alla radice di conflitti profondi tra culture, primo fra tutte tra Occidente e Islam.
Non stupisce insomma che il libro, alla sua uscita, abbia fatto assai discutere in Francia scatenando polemiche a non finire. La tesi di base - argomentata in un lungo excursus storico e antropologico - è radicale: gli uomini e le donne sono proprio due specie diverse, «profondamente estranee l’una all’altra». A dividerle alla radice sarebbe la diversa percezione del Tempo e della Morte: ineluttabile e fonte di profonda angoscia per l’uomo, combattuta con viscerale testardaggine dalla donna, grazie alla straordinaria risorsa della gravidanza, che le dà una sensazione di controllo sulla vita e sulla morte. Secondo Naouri siamo a una tappa decisiva di questo scontro «così lungo e così duro, che da tempi immemorabili oppone uomini e donne». Questa tappa attesta la vittoria del modello femminile, almeno nella società Occidentale: è la donna a esercitare il dominio sui figli, ma non solo. È il modello «materno» a vincere, inteso come modello volto alla negazione del tempo, alla soddisfazione immediata dei bisogni, alla seduttività, alla «campagna elettorale permanente» dei genitori nei confronti dei figli, dei governanti nei confronti delle popolazioni, delle imprese nei confronti dei consumatori. C’è secondo Naouri una «carenza di dimensione adulta nella nostra società» che privilegia l’istante e l’effimero (qui Naouri usa un gioco di parole impossibile da rendere in italiano. In francese la parola «éphémère» - effimero - risulta omofona alla parola «effet mère» - effetto madre), a scapito della durata e del lungo termine, della normatività del principio maschile.
La donna offre piacere, certezza, sollievo dall’angoscia di morte, l’uomo offre dubbi e regole. Ci vogliono entrambi, dice Naouri, perchè la specie umana sopravviva, ma oggi c’è solo un polo, anche perchè gli uomini cercano in tutti i modi di uniformarsi al modello femminile, che percepiscono come vincente, trasformandosi in «mammi» seduttivi verso la prole, provvisti di biberon e pannolini, moltiplicando così l’effetto materno.
«Le madri sono potentissime - spiega Naouri - eppure la malattia più grave che possa colpire un essere umano è di essere straboccante di una madre del genere». La tendenza materna infatti è controllare il figlio, farlo sentire al centro di ogni interesse, mantenerlo dipendente: «Se stai attaccato a me hai la vita, se ti stacchi c’è la morte» è il messaggio delle madri di sempre, quelle preistoriche e quelle moderne e in carriera. «Ricolmo di attenzioni e premure, il bambino cresce ignaro dello scorrere del tempo e dipendente dal piacere - spiega Naouri - sarà sempre tentato di prendere la strada più facile, di approfittare di ogni occasione, mancherà di ambizione e di dinamismo».
Non solo, continua Naouri, avventurandosi in un’analisi dello scontro tra civiltà: questo modello materno-consumistico-Occidentale, straordinariamente seducente, travalica i confini della nostra società sconvolgendo, per esempio, il mondo arabo-musulmano. «In che modo gli uomini musulmani potrebbero accettare scelte che mettono in discussione il loro stato di “abou”, di padri proprietari dei propri figli? Attaccati alla netta gerarchia da sempre vigente tanto nei rapporti tra genitori che in quelli tra sessi, vivono questa esportazione, sottilmente persuasiva, come un vero e proprio tipo di conversione... Hanno nutrito il loro rancore, coordinato le loro forze e reclutato un numero sufficiente di fanatici kamikaze per lanciarsi in una nuova crociata».

Cosa può fare di fronte a questa radicalizzazione l’uomo «disorientato, furente, smarrito? Ognuno inventa la sua soluzione, a fronte di una compagna diventata detestabile e spaventosa». Secondo Naouri è inutile combattere le donne sul loro terreno. «Non combatto lo strapotere delle madri, al contrario lo celebro. Non esiste infatti una simmetria nei rapporti di padre e madre con il bambino. Come si può mettere su uno stesso piano un’esperienza così significativa qual è quella vissuta dalla madre e dal bambino durante la gravidanza e quella che vive l’uomo, anche se il desiderio di mettere al mondo un bambino ha fatto parte integrante del suo amore per una donna?» La comunicazione tra padre e bambino, secondo lui, passa sempre necessariamente attraverso la madre. Al padre resta una sola possibilità: «Deve riprendere il suo ruolo, non quello delle sit-com e dei luoghi comuni. Deve essere, invece, un individuo che si interpone fra la madre e il bambino», che porta il figlio fuori dall’abbraccio protettivo, gli mostra la realtà, il tempo, la morte alla fine del cammino.
Il compito, va detto, è ingrato. Come convincere un bambino, ma anche un adulto, ad abbandonare il principio di piacere? Secondo Naouri, avere successo con il bambino è impensabile. L’unica possibilita è che l’uomo riesca a distogliere almeno un poco l’attenzione della donna nei confronti del figlio: che il bambino «scorga da sopra la spalla della mamma, un uomo. E che quest’uomo interessi terribilmente a sua madre». In questo modo il bambino imparerà, fin dai primi mesi di vita, la frustrazione. Sperimenterà, insieme alla sazietà e al piacere, anche il bisogno e il desiderio: «Così non avremo più gli odierni bambini-tiranno o abominevoli adolescenti che non hanno risolto fin dall'infanzia un problema, quello che si possono vivere momenti senza piacere e non per questo si muore».
Combattere l’amore con l’amore, è la ricetta di Naouri: l’amore viscerale che lega madre e figlio a quello altrettanto viscerale che lega e oppone uomo e donna: «Mi è successo di stilare più di una ricetta in cui l'indicazione era “Fate l'amore. Siate una coppia, sarete dei genitori migliori”». D’altronde ci vuole pure un incentivo, ad abbandonare (educare, ci ricorda Naouri, vuol dire letteralmente «condurre fuori da») l’utero materno, se è vero che «tutti siamo andati a ritroso nella vita, tenendo gli occhi puntati sul nostro luogo d’origine e provando paura a voltargli la schiena, come ci inciterebbe a fare nostro padre, tanto ci fa orrore quello che vedremmo al termine del cammino, se guardassimo dritto davanti a noi».


Uomini e donne, due specie diverse, di Aldo Naouri (La Stampa 7 Marzo 2005)

STAREI forse affermando che l’essere femminile è un individuo umanamente differente dall’essere maschile, con un’organizzazione psichica fino a questo punto, e così profondamente, diversa? Ma come sostenere ciò che, formulato in questi termini, può sembrare un’aberrazione, con il rischio di lasciar intendere che gli uomini e le donne appartengono a due specie diverse? A meno che si tratti solo, dopo tutto, delle conseguenze, insospettabili, e quanto spesso negate, di una diversità fra i sessi la cui misura non è mai stata presa in considerazione e che farebbe degli uomini e delle donne due specie nettamente differenziate ? Perché no?
Non stento a immaginare quali veementi reazioni possa suscitare il mio discorso, e già mi vedo accusato di negare alle donne la capacità o la possibilità di condurre un’impresa o fare carriere che gli uomini hanno sempre considerato di loro esclusiva competenza. Non soltanto respingo in anticipo una tale imputazione, ma tengo a precisare il mio pensiero aggiungendo che, anche le donne con un potenziale che niente può, né deve, limitare in nessun modo, anche queste donne, come tutte le altre, sebbene in grado di sentire, concepire e gestire il tempo, di controllarlo e di servirsene senza il minimo problema apparente, conservano e conserveranno sempre nei suoi confronti, qualunque cosa facciano o faranno, un vissuto specifico e una relazione totalmente diversa da quella degli uomini.
Il rapporto con l’angoscia di morte, a mio avviso, ne è una testimonianza. Sono convinto che le donne ne siano infinitamente meno oppresse degli uomini. Attenzione! Non sto dicendo che ne siano completamente prive. Penso solo che non ne siano sopraffatte nella stessa misura. La pressione di questa angoscia, cioè, in loro è senz’altro relativamente bassa, meno soggetta a variazioni e soprattutto infinitamente meno soggetta ad ampie variazioni. Infatti, le donne, dato che la sottospecie cui appartengono lo vive da decine di milioni di anni, sanno ciò che gli uomini non sanno e che non possono sapere del loro specifico modo di porsi in rapporto al tempo. Sanno anche, nella maniera più profondamente intima e meno comunicabile che ci sia, che la loro vita non finisce con la morte fisica, ma che continua nei figli portati nel proprio corpo, messi al mondo attraverso questo stesso corpo e a cui ne hanno dato un altro, che di loro recherà sempre una traccia incancellabile. Sanno di non essere mai state né autarchiche né sole né isolate. Sanno che la loro saggezza intrinseca le ha indotte a non investire solo su se stesse, ma a dedicare anche agli altri le proprie energie...
Questa mamma è una madre umana, una madre umana abbandonata alla gioia inesauribile che le assicurano la certezza della sua funzione e il suo statuto in una società che ha adottato, senza limiti e senza contropoteri, tutti i valori di cui sarebbe portatrice. E’ una madre umana in quanto il suo comportamento si iscrive nella sorda lotta che oppone i due sessi dai tempi più remoti, la sorda lotta, ad armi diverse e impari, che le donne combattono da sempre contro l’uomo, quell’uomo che le ha forzate con la Legge della specie, della quale esse non hanno accettato né i termini, né le disposizioni che avrebbero dovuto portarle ad ammettere l’ineluttabilità della morte, quell’uomo che continua a reprimerle tanto, e di cui esse così spesso si dolgono di non poter fare a meno per accedere a quella condizione di madre che le ha rese, da sempre, tanto potenti...

Wednesday, October 25, 2006

Legge finanziaria: l’esperienza e il buon senso di Prodi

L’esperienza e il buon senso insegnano che, per ovvi motivi, qualunque decisione coinvolgente altre persone non accontenterà mai tutti. E se il plauso fosse unanime, colui che ha deciso dovrebbe insospettirsi.
Il Professore invece ha dichiarato (cito a memoria): “una legge finanziaria per essere buona deve scontentare tutti. Quella del mio governo lo sta facendo, per cui va bene così.”
Un uomo, una volpe!

Tuesday, October 24, 2006

Woody Allen e la grande madre

Woody Allen disse una volta “Vorrei tanto rientrare nell’utero… di chiunque”. Mi è venuta in mente questa frase mentre commentavo un interessante post di Abr. Parlando di responsabilità individuale, qualcosa di cui oggi c’è grande penuria, accennavo al fatto che essa dovrebbe essere insegnata dai padri. Sono loro che ‘educano’ i figli a questo riguardo, al punto da poter dire che si tratta di una delle principali funzioni della paternità.
Ho messo tra virgolette il verbo educare perché questa attività non viene generalmente intesa nel suo significato più profondo, diciamo pure psicologico e antropologico. Qual è infatti l’etimologia di questa parola? Deriva dal latino ex-ducere, cioè ‘condurre fuori’. Va bene, condurre fuori, ma … condurre fuori da chi o da cosa?
Di primo acchito, si potrebbe pensare che il protagonista di questo arduo compito si proponga di condurre l’interessato fuori dalla sua ignoranza, ovvero dal suo non sapere. È certamente così, ma vi è un senso meno generale da attribuire al concetto, un senso che va ricondotto alla funzione propria di chi opera per la crescita dei giovani.
Una parte importante della disciplina che studia la psiche, sia di matrice freudiana che junghiana, ci informa che la funzione principe di un padre è quella di condurre i figli fuori … dall’utero (virtuale) della madre. Per dirla in termini più espliciti, un padre ha il compito di aiutare i figli a separarsi dal mondo dell’appagamento dei bisogni, quindi del nutrimento, che è proprio della madre, per farlo entrare nel mondo degli adulti, in cui vi è la presa di coscienza dello scorrere del tempo, della ineluttabilità della morte e quindi della responsabilità verso se stessi e verso gli altri. Va evidenziato che tale ruolo paterno non ha possibilità di successo alcuno se il padre agisce da solo nell’impresa. Occorre infatti la collaborazione della madre, la quale ha il compito di aiutare i figli a separarsi da lei per andare dal padre.
Torniamo allora da dove eravamo partiti, cioè dalla frase di Woody Allen, per dire che, nella prospettiva indicata, l’attore americano ha centrato, forse inconsapevolmente, il cuore del problema di cui soffrono un po’ tutti, maschi e femmine, di questo nostro Occidente, problema che si sostanzia nel fatto che non si riesce più ad uscire dall'utero materno. La battuta di Allen voleva semplicemente parlare di sesso, ma ha rilevato qualcosa di molto più interessante.

Monday, October 23, 2006

Caso Santanchè: ma la fatwa non costituisce da noi reato penale?

Alla sacrosanta libertà di Daniela Santanchè di esprimere il proprio pensiero sul velo delle donne musulmane - «il velo non è un simbolo religioso, non è prescritto dal Corano» - corrisponde l’identica libertà dell’imam di Segrate di risponderle: «Io sono un imam e non permetto a degli ignoranti di parlare di islam. Voi siete degli ignoranti di islam e non avete il diritto di interpretare il Corano».
Poi però, come informa Giordano Bruno Guerri su Il Giornale, “l’uomo ha proseguito, fuori onda: «Il velo è un obbligo di Dio. Quelle che non credono in questo non sono musulmane». Di conseguenza le musulmane colpevoli di non portare il velo (anche in Italia) sarebbero delle miscredenti e delle apostate: un’accusa che si può trasformare nella condanna a morte”.
Mi domando se il comportamento dell’imam della moschea di Segrate non configuri un fatto penalmente perseguibile. Il lancio di una fatwa non si sostanzia necessariamente in una condanna a morte, è vero, ma l’esperienza insegna che può tradursi in questo se il messaggio viene raccolto da qualche esagitato (il caso Theo Van Gogh docet).
Dalla prospettiva del nostro ordinamento giuridico, si può quindi configurare il reato di incitamento all’omicidio. A mio avviso, della questione dovrebbe occuparsi la magistratura. Confesso di nutrire poche speranze in proposito, ma sarebbe finalmente una risposta, chiara e forte, alla tracotanza di questi imam.

Thursday, October 19, 2006

Sul velo delle donne musulmane l’Europa getta il bimbo con l’acqua sporca

Gianni Baget Bozzo scrive oggi su il Giornale che «(in Francia) per obbligare i musulmani a rinunziare alla manifestazione pubblica nelle scuole della loro identità si sono aboliti i segni cristiani. Per questo la via francese mi sembra pericolosa. Il laicismo occidentale, nella sua fondamentale a-religiosità, e nel culto dell’uguaglianza dei diritti, imporrebbe, come nel caso francese, anche l’abolizione dei segni cristiani.
(…) Con i tempi che corrono, come cristiano preferisco vedere lo chador che vedere limitate le croci. Preferisco vedere le identità religiose piuttosto che vederle nascoste. Lo Stato, però, deve preoccuparsi del contrasto che esiste con il mondo islamico su temi più sensibili, come la poligamia, la condizione della donna, l’educazione dei figli. Abbiamo di fronte una religione che è una civiltà, differente dal cristianesimo e ancor più dall’Occidente secolarizzato. Il vero pericolo è che il laicismo occidentale si unisca al fondamentalismo islamico in funzione anti-cristiana. Vi sono molti segni di questo.»

Sunday, October 08, 2006

Montanelli e il braccio fratturato di mia moglie

Indro Montanelli diceva che, di tutti i difetti dell’Italiano, quello più grave consiste nell'essere privo di un ‘poliziotto interiore’, che lo indurrebbe a rispettare le leggi anche quando nessuno controlla.

La settimana scorsa mia moglie è caduta in palestra. La sala era piena di gente, faceva un gran caldo e il pavimento gommato era diventato scivoloso per il troppo sudore. L’istruttrice avrebbe dovuto interrompere gli esercizi per far asciugare il pavimento o, almeno, evitare di suggerire movimenti che chiamavano in causa l’equilibrio. Da parte sua, mia moglie avrebbe dovuto prestar più attenzione a quel che faceva, dopo che già tre persone erano finite gambe all’aria. Ad ogni modo, la quarta vittima è stata lei. Diversamente dalle altre, che si sono aggiudicate una semplice contusione al posteriore, mia moglie ha deciso di fare le cose in grande: frattura del capitello del radio e quindici giorni di gesso.
Allora? In questi casi, come è noto, si può invocare la responsabilità oggettiva e avanzare una richiesta di risarcimento danni alla palestra. Bé, mia moglie ed io abbiamo deciso di soprassedere: questione di stile (o dabbenaggine). Fatto sta che, il giorno dopo, il proprietario della palestra ha telefonato a mia moglie e le ha chiesto di incontrarla. Mia moglie, subodorando i timori dell’interlocutore, ha pensato di tranquillizzarlo dicendo che l’incidente per lei era chiuso. Il tipo ha insistito dicendo che aveva da farle una proposta su quanto accaduto. Con tanto di braccio ingessato, mia moglie si è così recata all’appuntamento davanti alla palestra.
“Guardi, ho parlato col mio avvocato e mi ha detto che, se lei vuole, posso fare da testimone affinché lei ricavi un po’ di soldi da questa faccenda”, dice lui.
“Ricavare soldi da chi?”, fa mia moglie che, ovviamente, non capiva.
Risposta: “Guardi lì, vicino alla porta d’ingresso della palestra. Mancano un paio di mattonelle al marciapiede. Bene, lei presenta una denuncia contro il Comune perché è inciampata e si è fratturata il braccio. Io le faccio da testimone. Cosa ne pensa?”.
Mia moglie ha rifiutato l’offerta e Montanelli, da lassù, ha avuto un’ennesima conferma di quel che pensava sugli Italiani.

Friday, October 06, 2006

Diritto di adozione per le coppie gay, sì o no?

Nello scambio di opinioni tra Nullo e il sottoscritto, si è arrivati ad un punto chiave. Il mio amico, a commento del post ‘Ciò che rispetto dell’Islam’, pone questo interrogativo: “Che cosa non va nelle famiglie a due madri o due padri?”.
La domanda è centrale a tutta la questione che stiamo dibattendo - identità e crisi dell’Occidente – e tocca un problema che, almeno a mio avviso, costituisce uno dei sintomi della crisi in cui versa la nostra società.
Ecco la mia risposta.

Per crescere in modo equilibrato, un bambino ha bisogno di una figura genitoriale maschile e di una femminile. Ciascuna figura comunica, per sua natura, qualcosa di unico e inimitabile. Non ci si può stancare di dire che entrambe le figure sono indispensabili allo sviluppo della personalità di un bambino.
In un gay la coscienza della propria identità, maschile o femminile, è confusa. Egli/ella non è né compiutamente uomo, né compiutamente donna. Per questo motivo, adottando un bambino, i gay non possono compiutamente trasmettergli né la figura paterna, né la figura materna. Quindi, se i ‘genitori’ hanno lo stesso sesso, essi comunicheranno al bambino solo confusione di identità e di ruoli. Il piccolo, cioè, non imparerà che cos’è il maschile e che cos’è il femminile proprio perché i suoi ‘genitori’ non lo sanno neppure loro. La personalità del bambino adottato si svilupperà in modo altrettanto confuso di quella dei suoi genitori, con danni rilevanti dal punto di vista psicologico.
Non mi sembra necessario scomodare Dio per riconoscere che l’ordine naturale è giusto così com’è. Sono gli uomini ad essere tentati di modificarlo (anche questo è delirio di onnipotenza, come scrivo nel post). Se vogliono opporsi alla natura e modificarne le leggi, gli uomini hanno piena libertà di farlo. Peccato però che a pagarne le conseguenze saranno, oltre che gli adulti, anche e soprattutto i bambini.

Tuesday, October 03, 2006

Ciò che rispetto dell’Islam

Dico in questo post qualcosa che ho già scritto in altre occasioni e senza alcuna pretesa di ricevere consensi. Prima di tutto, però, reputo necessarie alcune precisazioni, onde evitare equivoci.
Qui si sta dalla parte dell’Occidente, sottoposto all’aggressione omicida e liberticida dell’Islam. Qui si è per una lotta senza quartiere al fanatismo e al terrorismo islamico. Anche qui c’è rabbia verso coloro che stanno svendendo l’Europa ai musulmani, così come c’è orgoglio di essere figlio della civiltà giudaico-cristiana. Qui si sta con gli Stati Uniti che, ancora una volta, hanno preso le redini della lotta contro i nemici dell’Occidente. Si sta con Israele e con i suoi civili che muoiono per mano e con la connivenza di chi nega il loro diritto ad esistere. In ultimo, ma più importante di tutto, qui si sta con il Papa e con la Chiesa cattolica, che indicano dov'è la Via, la Verità e la Vita.

Fatta questa sorta di carta dei ‘valori’, devo anche dire però che non basta che la grande civiltà a cui appartengo produca un enorme benessere materiale, sviluppi tecnologie sempre più sofisticate e assicuri libertà di manifestazione del pensiero. Non basta, cioè, per farne una società integra.
Quello che io vedo dell’Occidente di oggi è una società in preda al delirio di onnipotenza, una società che non ascolta più la voce degli anziani, una società che ha cancellato l’idea stessa della morte, una società di figli senza padri.
Che società è quella dove l’industria della comunicazione sforna reclame come quella della Campari Red Passion? Cos’è e dove va una società che arriva a concedere agli omosessuali non solo il matrimonio, ma persino l’adozione di bambini? Se in Olanda è legale costituire un partito dei pedofili, cosa possiamo desumere del concetto occidentale di libertà?

Dico adesso qualcosa che probabilmente farà saltare sulla sedia due amici, Abr e Nullo, con i quali mi confronto sull’identità occidentale e sulla questione islamica.
Lo devo riconoscere, sento talvolta di comprendere la ‘lingua’ dei musulmani. Non certo quella della morte e del disprezzo altrui, non quella dei terroristi o di quelli che trattano le donne, le mogli e le figlie come schiave e esseri inferiori.
Comprendo invece i musulmani quando si inchinano di fronte all’autorità dei padri e degli anziani. Comprendo i musulmani che si considerano fratelli nella fede e non ammettono insulti alla loro identità religiosa e culturale. E comprendo le donne musulmane che si fanno terra sacra in cui affondano le radici dei 'guerrieri'. Solo a questo riguardo, e non è poco, i musulmani ricevono il mio rispetto.

Monday, October 02, 2006

Pillole 11

Siamo tutti uguali di fronte a Dio, ma l’uguaglianza diventa un gioco al ribasso quando è promossa da chi conosce solo la mediocrità.