Tuesday, October 30, 2007

I martiri cattolici del satanismo marxista

Grazie a Pensare la storia di Vittorio Messori, mi era noto ciò che accadde ai religiosi cattolici nella Spagna comunista dei primi anni Trenta del ’900. A commento della beatificazione di quasi 500 martiri spagnoli, ho trovato l’articolo che segue dell’ottimo Antonio Socci. Anche questa volta, mi si è accapponata la pelle. Vicende drammatiche e disgustose come quelle descritte nell’articolo, che vedono in veste di carnefici non solo i comunisti spagnoli, esigono la preghiera, ma possono suscitare anche cattivi pensieri. Fra le altre cose, mi sono venuti in mente i tanti atei-liberali-laicisti-anticlericali di cui è piena pure Tocqueville. Sono solo dei poveracci in difficoltà, lo so, eppure quando mi capita di leggere le castronerie che scrivono contro il Santo Padre e la Chiesa … Poi, ricordo che il cristianesimo impone di contrastare le idee errate e pericolose, ma di rispettare pur sempre le persone che le pronunciano. Va bene. Passo la parola a Socci.

LA LEZIONE DEL 28 OTTOBRE…

Il 28 ottobre prossimo in Vaticano saranno beatificati 498 martiri della feroce persecuzione religiosa esplosa in Spagna dopo il 1931 e specialmente fra il 1934 e il 1936. Una cerimonia di massa di tali proporzioni non ha precedenti. Aveva cominciato Giovanni Paolo II beatificando nel 1987 tre suore carmelitane che erano state crudelmente massacrate per le strade di Madrid. Poi papa Wojtyla celebrò altre undici cerimonie di beatificazione per un totale di 465 martiri spagnoli. Domenica prossima saranno dichiarati beati 2 vescovi, 24 preti, 462 religiosi e religiose, 2 diaconi, 1 seminarista e 7 laici, tutti vittime di quella persecuzione. Sarà l'occasione per conoscere una delle più sanguinarie tempeste anticristiane scatenate nell'Europa del nostro tempo ad opera dei rivoluzionari repubblicani (una miscela di comunismo, socialismo, anarchia e laicismo). "Mai nella storia d'Europa e forse in quella del mondo" ha scritto Hugh Thomas "si era visto un odio così accanito per la religione e per i suoi uomini". Chiese e conventi (con una quantità di opere d'arte) furono incendiati e distrutti. In pochi mesi furono ammazzati 4.184 sacerdoti, 13 vescovi, 2.365 religiosi, 283 suore e un numero incalcolabile di semplici cristiani la cui unica colpa era portare un crocifisso al collo o avere un rosario in tasca o essersi recati alla messa o aver nascosto un prete o essere madre di un sacerdote come capitò a una donna che per questo fu soffocata con un crocifisso ficcato nella gola.

Molti vescovi o sacerdoti sarebbero potuti fuggire, ma restarono al loro posto, pur sapendo cosa li aspettava, per non abbandonare la loro gente. Non colpisce solo l'accanimento con cui si infierì sulle vittime, inermi e inoffensive (per esempio c'è chi fu legato a un cadavere e lasciato così al sole fino alla sua decomposizione, da vivo, con il morto).

Ma colpisce ancora di più la volontà di ottenere dalle vittime il rinnegamento della fede o la profanazione di sacramenti o orribili sacrilegi.
Qua c'è qualcosa su cui non si è riflettuto abbastanza. Faccio qualche esempio. I rivoluzionari decisero che il parroco di Torrijos, che si chiamava Liberio Gonzales Nonvela, data la sua ardente fede, dovesse morire come Gesù. Così fu denudato e frustato in modo bestiale. Poi si cominciò la crocifissione, la coronazione di spine, gli fu dato da bere aceto, alla fine lo finirono sparandogli mentre lui benediva i suoi aguzzini. Ma è significativo che costoro, in precedenza, gli dicessero: "bestemmia e ti perdoneremo". Il sacerdote, sfinito dalle sevizie, rispose che era lui a perdonare loro e li benedisse. Ma va sottolineata quella volontà di ottenere da lui un tradimento della fede. Anche dagli altri sacerdoti pretendevano la profanazione di sacramenti. O da suore che violentarono. Quale senso poteva avere, dal punto di vista politico, per esempio, la riesumazione dei corpi di suore in decomposizione esposte in piazza per irriderle? Non c'è qualcosa di semplicemente satanico?

E il giovane Juan Duarte Martin, diacono ventiquattrenne, torturato con aghi su tutto il corpo e, attraverso di essi, con terribili scariche elettriche? Pretendevano di farlo bestemmiare e di fargli gridare "viva il comunismo!", mentre lui gridò fino all'ultimo "viva Cristo Re!". Lo cosparsero di benzina e gli dettero fuoco. Qua non siamo solo in presenza di un folle disegno politico di cancellazione della Chiesa. C'è qualcosa di più.
A definire la natura e la vera identità di questo orrore ha provato Richard Wurmbrand, un rumeno di origine ebraica che in gioventù militò fra i comunisti, nel 1935 divenne cristiano e pastore evangelico, quindi subì 14 anni di persecuzione, molti dei quali nel Gulag del regime comunista di Ceausescu.

Anch'egli aveva notato – nei lager dell'Est – questo oscuro disegno nella persecuzione religiosa. In un suo libro scrive: "Si può capire che i comunisti arrestassero preti e pastori perché li consideravano contro rivoluzionari. Ma perché i preti venivano costretti dai marxisti nella prigione romena di Piteshti a dir messa sullo sterco e l'urina?
Perché i cristiani venivano torturati col far prendere loro la Comunione usando queste materie come elementi?". Non era solo "scherno osceno".
Al sacerdote Roman Braga "gli vennero schiantati i denti uno ad uno con una verga di ferro" per farlo bestemmiare. I suoi aguzzini gli dicevano: "se vi uccidiamo, voi cristiani andate in Paradiso. Ma noi non vogliamo farvi dare la corona del martirio. Dovete prima bestemmiare Iddio e poi andare all'inferno".
A un prigioniero cristiano del carcere di Piteshti, riferisce Wurmbrand, i comunisti ogni giorno ripetevano in modo blasfemo il rito del battesimo immergendogli la testa nel "bugliolo" dove tutti lasciavano gli escrementi e costringevano in quei minuti gli altri prigionieri a cantare il rito battesimale.
Altri cristiani "venivano picchiati fino a farli impazzire per obbligarli a inginocchiarsi davanti a un'immagine blasfema di Cristo".

Si chiede Wurmbrand, "cos'ha a che fare tutto ciò con il socialismo e col benessere del proletariato? Non sono queste cose semplici pretesti per organizzare orge e blasfemie sataniche? Si suppone che i marxisti siano atei che non credono nel Paradiso e nell'Inferno. In queste estreme circostanze il marxismo si è tolto la maschera ateista rivelando il proprio vero volto, che è il satanismo".

In effetti il libro di Wurmbrand s'intitola "Was Karl Marx a satanist?" ed è stato tradotto in italiano dall' "editrice uomini nuovi" col titolo "L'altra faccia di Carlo Marx". L'autore si spinge, indagando negli scritti giovanili di Marx e nelle sue vicende biografiche, fino a ritenere che trafficasse con sette sataniste. Peraltro nel brulicare di sette e società esoteriche di metà Ottocento sono tante le personalità che hanno avuto strane frequentazioni. E su Marx anche altri autori hanno fatto ipotesi del genere. Wurmbrand sostiene soprattutto che la filantropia socialista non era l'ispirazione vera di Marx, ma solo lo schermo, il pretesto per la sua vera motivazione che era la guerra contro Dio. Realizzata poi su larga scala con la Rivoluzione d'ottobre e quel che è seguito (nei regimi comunisti fatti, correnti, episodi e personaggi che portano in quella direzione sono chiari).

Sul satanismo non so pronunciarmi, ma gli effetti satanici dell'esperimento marxista (planetario) sono sotto gli occhi di tutti anche se rimossi clamorosamente dalla riflessione pubblica: la più colossale e feroce strage di esseri umani che la storia ricordi e la più vasta guerra al cristianesimo di questi duemila anni. Siccome capita di sentir formulare, in ambienti cattolici, giudizi indulgenti sugli "ideali dei comunisti", che sarebbero poi stati traditi nella pratica o mal tradotti, è venuto il momento di definire una buona volta la natura satanica dell'ideologia in sé e di tutto quel che è accaduto.
Visto che un grande filosofo come Augusto Del Noce da anni ha dimostrato quanto l'ateismo sia fondamentale nel marxismo e niente affatto marginale o facoltativo. La tragedia spagnola, su cui il popolo cristiano non sa quasi niente (e che fu perpetrata anche da altre forze rivoluzionarie e laiciste) dovrebbe far riflettere, se non altro per le proporzioni di quel martirio.

Da Libero del 21 ottobre 2007

Altri articoli sull’argomento si possono leggere qui.

Monday, October 29, 2007

Antonio Socci su Padre Pio

In difesa di Padre Pio, di Antonio Socci

Se Gesù tornasse e fosse visto anche oggi mentre cammina sulle acque, certi giornali l’indomani titolerebbero: “Clamoroso. Gesù di Nazareth non sa nemmeno nuotare”. Come certi dotti che, avendo Gesù guarito un paralitico, lo accusarono di aver compiuto il miracolo di sabato, giorno festivo. Finisce nel ridicolo il pregiudizio che nega l’evidenza. Un tempo lo usavano contro Gesù, poi contro i santi, come padre Pio.

Ho appena consegnato alla Rizzoli (e sarà in libreria il 14 novembre prossimo) il mio libro su questo grande santo e su alcune cose sconvolgenti che ha compiuto e – avendo consultato decine di volumi, compresi quelli della causa di beatificazione – ho fatto una indigestione di fango. E’ impressionante la varietà di accuse, insinuazioni e calunnie che per mezzo secolo gli sono state rovesciate addosso. Spesso da parte ecclesiastica. Le “virtù eroiche” che la Chiesa ha infine riconosciuto a padre Pio, dichiarandolo – per volontà di Giovanni Paolo II - “beato” nel 1999 e “santo” nel 2002, si riferiscono anche all’umiltà evangelica con cui ha sopportato in silenzio tanto fango: “beati sarete voi” avvertì Gesù stesso “quando vi insulteranno e vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia” (Mt 5, 11).

D’altra parte alla fine i crocifissi vincono sempre. E’ una storia vecchia. Una cosa (soprannaturale) è la Chiesa, altro sono gli uomini di Chiesa. Gli uomini di Chiesa bruciarono Giovanna d’Arco e la Chiesa l’ha fatta santa. Gli uomini di Chiesa hanno perseguitato Giuseppe da Copertino, Giuseppe Calasanzio e don Bosco; la Chiesa li ha fatti santi. Così con padre Pio. Padre Gerardo di Flumeri, vicepostulatore della causa, ha scritto: “A causa delle stigmate, padre Pio fu sospettato di essere un imbroglione, un mistificatore, un nevrotico, un ossesso. E questi sospetti provenivano non soltanto da miscredenti, dagli atei, ma addirittura da alcuni suoi confratelli, da qualche superiore e anche dalle autorità ecclesiastiche. Padre Pio subì condanne dal Sant’Uffizio e restrizioni alla sua libertà di apostolato”. Alla fine la verità ha trionfato. Ma, com’è noto, le antiche accuse messe in giro riemergono periodicamente dagli archivi. C’è per esempio quella, fra le più note e meschine, secondo cui il padre stesso si sarebbe procurato le stimmate con degli acidi. L’insinuazione nacque dal fatto che padre Pio – era cosa nota e ovvia – dopo la stimmatizzazione del 20 settembre 1918 usava la tintura di iodio e poi l’acido fenico sperando di tamponare il sangue che fluiva in quantità dalle ferite e per pulire le piaghe aperte.

Certi ecclesiastici in malafede ci costruirono sopra la loro accusa. Sono gli stessi che lo accusarono di profumarsi perché dalla sua persona crocifissa emanava a volte uno straordinario aroma di fiori. Anche questa insinuazione era infondata infatti questo fenomeno soprannaturale si verificava soprattutto quando il padre era lontano (faceva sentire il suo profumo ai suoi figli spirituali nei momenti di bisogno) e anche dopo la sua morte e lo attestano centinaia di testimonianze (l’ “osmogenesia” ha riguardato anche altri santi).

Ieri, sul Corriere della sera, Sergio Luzzatto ha pubblicato un biglietto con cui padre Pio chiedeva a una sua figlia spirituale di comprargli in farmacia “200-300 grammi di acido fenico puro per sterilizzare”. E un’altra sostanza analoga. Oltretutto perché in piena epidemia di spagnola in convento si usavano per sterilizzare le siringhe per fare le iniezioni ai frati ammalati (era proprio il giovane padre Pio a farle, come infermiere d’emergenza). E dov’è la notizia? La cosa in sé è del tutto risibile. La notizia però non sta nel fatto, quanto nell’insinuazione con cui in quell’estate 1919 fu fatta arrivare in Vaticano. Ed è quel sospetto che ieri ha fatto fare il titolo al “Corriere”: “Padre Pio, ecco il giallo delle stigmate”. Sottotitolo: “Nel 1919 fece acquistare dell’acido fenico, una sostanza adatta per procurarsi piaghe alle mani”.

Primo. In questo biglietto di Padre Pio non c’è davvero nessuna aura di segretezza cospirativa che possa alimentare i sospetti, ma al contrario un tono di serena normalità quotidiana (“Carissima Maria, Gesù ti conforti sempre e ti benedica! Vengo a chiederti un favore. Ho bisogno di aver da 200 a 300 grammi di acido fenico puro per sterilizzare. Ti prego di spedirmela la domenica e farmela mandare dalle sorelle Fiorentino. Perdona il disturbo”). Mandare un tale biglietto in giro è semmai prova di purità e di una coscienza solare. Secondo. A quella data (estate 1919) padre Pio portava già le stigmate da un anno e dunque sarebbe comico affermare che nell’estate 1919 egli si procurò dell’acido per prodursi delle ferite nel settembre 1918. Terzo: le ferite che portava non erano “macchie o impronte, ma vere piaghe perforanti le mani e i piedi” e quella del costato “un vero squarcio che dà continuamente sangue” (cose incompatibili con bruciature da acido). Quarto. Il padre portò le stimmate per 50 anni e non poté certo procurarsi – con la segretezza del cospiratore - per mezzo secolo dosi industriali e quotidiane di acido (oltretutto per interi periodi fu segregato e sempre controllatissimo).

Ma soprattutto su quelle stimmate ci sono i referti medici di fior di studiosi, dal professor Romanelli al professor Festa, che a quel tempo le analizzarono, ripetendo le visite a distanza di anni e arrivando sempre alla conclusione che non potevano essere state prodotte né dall’artificio umano, né da uno stato psicopatologico, ma avevano un’origine non naturale. Romanelli argomenta, come scrive Fernando da Riese, che non può essere stato l’acido a provocare le ferite perché esso “non permetterebbe ai tessuti causticati di dare sangue e sangue rutilante”, soprattutto di venerdì, come invece ha continuato ad accadere per decenni. Il dottor Festa ha confermato con altri studi. Inoltre l’acido avrebbe dato origine a ferite diverse da quelle dai contorni netti. Questi medici negarono anche l’origine nervosa perché mai nella letteratura scientifica si era verificata e perché se anche fosse “una volta prodotte (tali ferite) dovrebbero seguire il decorso di qualunque altra lesione, cioè guarire o suppurare”.

E invece per mezzo secolo le stimmate di padre Pio sono state un miracolo permanente: né rimarginavano, né suppuravano, dando sempre sangue fresco. Il professor Bignami, che essendo di idee positiviste neanche ammetteva l’ipotesi soprannaturale, finì per fornire la migliore conferma: fece isolare e sigillare per giorni le piaghe con la certezza che sarebbero infine guarite o migliorate e invece si verificò l’esatto contrario. Le stimmate, che padre Pio peraltro portò con immenso imbarazzo (sentendosene indegno), sparirono solo quando il santo lo chiese come grazia al Cielo e cioè alla vigilia della sua morte nel 1968: si chiusero improvvisamente (come erano venute) e senza lasciare traccia. Con quelle sofferenze padre Pio “pagò” milioni, letteralmente milioni, di grazie ottenute per chiunque soffrisse (si studino i dossier medici) e milioni di conversioni: comunisti, massoni, protestanti, agnostici (perfino qualche ecclesiastico) che trovavano la fede dopo essere andati a San Giovanni Rotondo magari con ostilità o pregiudizio. Si convertivano non perché padre Pio facesse discorsi o teorie colte. No. Solo per la sua santità, cioè per la potenza di Dio. Perché lui si prendeva letteralmente su di sé le loro sofferenze, senza averli mai visti il padre mostrava di conoscere il loro passato, leggeva nella loro anima, otteneva la guarigione di malati inguaribili, si manifestava a distanza col suo profumo e la bilocazione, prediceva eventi che sarebbero accaduti e compiva altre opere sconvolgenti. Il mistero di padre Pio è ancora da capire.

Pubblicato su Libero del 25 ottobre 2007

Friday, October 26, 2007

Messori e Luzzatto su Padre Pio

Sul libro dello storico Sergio Luzzatto dedicato a Padre Pio, segnalo l’articolo di Vittorio Messori, pubblicato dal Corriere della Sera di oggi.

Wednesday, October 24, 2007

L’eugenetica e la buona battaglia

“C’è il rischio che il piccolo nasca down. Se la cosa è confermata, decideranno sul da farsi. Io credo che sarebbe meglio abortire, per il bene del bambino, della madre e delle rispettive famiglie”.
Sono queste le frasi con cui un cattolico (non praticante) ha commentato la delicata situazione che sta vivendo una coppia cattolica (non praticante) di sua e mia conoscenza.
Ognuno di noi è responsabile delle proprie azioni, così come ognuno di noi fa i conti con l’umana debolezza. Non sono padre e un domani potrei trovarmi anch’io a dover affrontare con mia moglie il medesimo dramma. Ciò nonostante, non posso fare a meno di chiedermi:
- la decisione di sopprimere un bimbo perché down non equivale a praticare l’eugenetica?
- la sofferenza di un genitore per quanto accade ad un figlio non è poi l’esperienza vissuta (e accettata) da Maria? e la Passione di Gesù, dove la mettiamo? Gesù e Maria non hanno detto: “Padre, scegli qualcun altro”. Perché allora tirarsi indietro, se Dio decidesse per me e per mia moglie la nascita di un figlio down o malato?
- Certo, uno può anche rispondere che non ce la fa a sopportare il dolore, ma se è così, dove sarebbe la perseveranza nella fede? ha ancora senso pregare che sia fatta la Sua volontà, in cielo come in terra? e la “buona battaglia” di cui parla San Paolo, non conta proprio nulla ai fini della salvezza?

Tuesday, October 23, 2007

Voci di uomini

Ieri, il sole tramontato ormai da un pezzo, sono entrato in cattedrale. Era quasi deserta. Mi sono seduto su una panca. Dopo qualche minuto, dietro di me, sento la voce di un uomo che inizia ... una preghiera. Poi, altre voci lo seguono. Tutte maschili. Sorpreso da ciò che pregavano, mi sono voltato. Una trentina tra giovani e meno giovani, alcuni in giacca e cravatta. Tre donne avanti negli anni, venendo dalla cripta, erano intente a chiacchierare. Una di esse si è fermata, ha notato quegli uomini e ha detto alle altre: “Facciamo silenzio, recitano il Rosario”.

Pensiero a caso, ma non troppo, di San Josemaria Escriva: “Il nostro orgoglio si spegne un’ora dopo che siamo morti”.

Wednesday, October 10, 2007

Questo blog cambia nome

Sono trascorsi poco più di due anni da quando è nato questo blog - il primo post risale infatti al 3 settembre 2005. Ho già fatto tanta pulizia. Ora è giunto il momento di dargli un’ulteriore sistemata.
Hoka Hey, dal grido di battaglia dei pellirosse Lakota (o Sioux) che notoriamente significa “Oggi è un buon giorno per morire”, raggiunge i verdi pascoli di Manitou e cede il posto ad Etendard.
Il motivo del cambiamento non importa a nessuno. Mi piace però dire che è il risultato di un processo di liberazione iniziato diversi mesi fa e giunto a totale compimento in giorni recentissimi.
La modifica del nome non dovrebbe arrecare alcun problema ai pochi che hanno inserito questo blog tra i loro link. Ciò che conta è infatti l’indirizzo, il quale rimane ovviamente inalterato.
Capirò se qualcuno, distrattamente, dovesse continuare a chiamarmi col vecchio nome. In fin dei conti, mi ci ero abituato anch’io!

Monday, October 08, 2007

Noi cattolici, felici di obbedire al Papa

Venerdì scorso, alle 21.30, mi sono sintonizzato sulle frequenze di Radio Maria per ascoltare, prima volta nella mia vita, padre Livio Fanzaga, sacerdote dei Padri Scolopi, nonché direttore dell’emittente cattolica. Sì, proprio quel padre Livio la cui voce trovavo molto irritante quando, giovinetto, vivevo con i miei e mia madre seguiva Radio Maria in solitudine. Ricordo la noia e il fastidio che provavo, all’epoca, per la recita del Rosario in radio. Molte cose sono cambiate da allora, tanto che, oggi, io e mia moglie preghiamo il Rosario a casa nostra senza fare troppe storie. E ne capiamo sempre più l’enorme importanza.

Recentemente, un amico mi consigliava di seguire la catechesi per i giovani del sacerdote bergamasco, ricominciata da poche settimane. Ho seguito il consiglio. Da quanto ho capito, quest’anno la catechesi si incentra sul suo ultimo libro, Non prævalebunt. Manuale di resistenza cristiana, edito dalla Sugarco. Mi sembra di fare cosa utile riportando qualche concetto emerso nella puntata radiofonica di venerdì.

Padre Livio ha menzionato l’episodio narrato in Mt 16, 13-19, quello in cui Gesù domanda ai discepoli: Voi chi dite che io sia? È nota la risposta di Simon Pietro: “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente”. Di fronte a questa professione di fede, Gesù proclama: “Beato te, Simone, figlio di Giona, perché né la carne né il sangue te l’hanno rivelato, ma il Padre mio che sta nei cieli. E io ti dico: Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa”.

Il sacerdote ha posto una domanda di importanza cruciale per chi si professa cattolico: perché le porte degli inferi non prevarranno contro la Chiesa? perché, cioè, la Chiesa è invincibile, indistruttibile, nonostante i potenti attacchi che satana scatena furiosamente fino al giorno del giudizio?
La risposta di padre Livio, basata sulle parole di Gesù, è stata molto semplice: “La Chiesa è invincibile perché si poggia su una roccia, che è la fede di Pietro e di tutti i suoi successori”.

Da parte mia, pensavo che, nella sua lotta contro il maligno, la Chiesa sarà vincitrice perché Gesù Cristo ha promesso di essere al suo fianco fino alla fine dei tempi. È certamente così, ma mi sfuggiva un piccolo particolare di tutta la questione. Come dice padre Livio, “è vero che la fede è un dono di Dio, ma è anche vero che ad esso occorre corrispondere”. Pietro ha il primato nella Chiesa e detiene le chiavi del Cielo perché ha corrisposto con fermezza, unico tra i discepoli, nel professare la verità cardine sulla persona di Gesù Cristo.

Padre Livio ha proseguito facendo una constatazione di non poco conto. Ha osservato che, “in duemila anni di storia della Chiesa, mai è accaduto che un Pontefice dicesse qualcosa in contrasto col Credo”. Le eresie sono nate da chi, all’interno della Chiesa, era tenuto a professarne e custodirne la dottrina. “Talvolta, cardinali o vescovi sono venuti meno nella fede, ma non il Papa. Mai!”.
La fede di Pietro è il porto sicuro del cattolicesimo nelle tempeste della storia. Va ribadito ancora una volta: “Uno solo non perderà mai la fede: il Papa”. Egli è “il dolce Cristo in terra”; quando si pronuncia su argomenti di fede, è come se parlasse Cristo medesimo. Questo è il dogma dell’infallibilità papale, stabilito dal Concilio Vaticano I nel 1870.

A sostegno e integrazione di quanto riportato fin qui, cito dei brani tratti da La Sfida della fede, di Vittorio Messori.
[…] Secondo la prospettiva cattolica, la Chiesa è santa non perché i suoi uomini siano tutti santi, ma perché possiede e insegna con fedeltà la Verità rivelata. Il vescovo è pastore non innanzitutto perché vive secondo il vangelo, ma perché quel vangelo annuncia senza errori.
“In principio era il Verbo”: nella Chiesa il prius è dato alla Parola, dunque alla fede, dalla quale deve discendere poi – ma come derivato, come frutto necessario – la prassi, l’azione della carità.
[…] la catastrofe non è un papa peccatore, ma lo sarebbe un papa eretico. Un papa, cioè, che (secondo il mandato a Pietro nell’ultimo capitolo di Giovanni) più non “pascesse le pecorelle” del Cristo con il pane della Sua Parola. E un pane genuino, non inquinato dall’errore.
[…] Prendiamo, ad esempio, il simbolo stesso della decadenza papale, quel catalano Rodrigo Borgia pontefice dal 1492 al 1503 con il nome di Alessandro VI. Cattolico fedelissimo e insieme storico rigoroso, scrisse il grande storico dei papi, Ludwig von Pastor: «La vita di questo gaudente dalla sensualità indomita fu in tutto opposta a Colui che doveva rappresentare sulla terra. Eppure, il modo in cui Alessandro VI amministrò gli interessi autenticamente religiosi non ha dato appiglio ad alcun biasimo. Con disinvoltura quel papa si abbandonò a una vita viziosa, ma la purezza della dottrina della Chiesa rimase intatta: in lui, la Provvidenza volle confermare che i Pastori possono danneggiare la Chiesa, non distruggerla». […]
Con una soprendente inversione, molti sembrano considerare un catechismo (cioè il Credo svolto nelle sue conseguenze e attualizzato) come un peso imposto dalla Gerarchia; mentre esso è un diritto inalienabile dei credenti, il proporlo è il dovere primo dei Pastori. […]
Nella dinamica cristiana, non si può “agire bene” se prima non si “pensa bene”, in fedeltà cioè a una Parola che la Tradizione ha fissato in verità definite di fede.
Ritorniamo alla catechesi di padre Livio. Il sacerdote ha sottolineato che “i veri mariani” – cioè, coloro che si consacrano alla Madre di Dio – “non perderanno mai la fede «di Maria» nel Figlio e guarderanno sempre al Papa con gli occhi di Maria”. Il posto centrale che il Papa occupa nel progetto divino ci viene confermato, innanzitutto, nei messaggi che Maria diffonde durante le sue apparizioni e, poi, dai santi, come ad esempio, S. Caterina da Siena, la quale racconta di aver avuto la visione di Nostro Signore vestito … da Papa.

Ben si comprende allora il motivo per cui satana odî il Papa, lo perseguiti e abbia ingaggiato una lotta senza quartiere contro di lui. Ciò che conforta il cattolico è che, qualunque cosa faccia il maligno, le porte degli inferi non prævalebunt.

Padre Livio ha concluso la parte di catechesi che ho qui riproposto con questa frase: “Noi cattolici guardiamo al Papa e siamo felici di obbedirgli”. Sì, è vero, noi cattolici siamo obbedienti e devoti a colui cui Gesù disse: “Simone, Simone, ecco, satana vi ha cercato per vagliarvi come il grano; ma io ho pregato per te, che non venga meno la tua fede; e tu, una volta ravveduto, conferma i tuoi fratelli”. (Lc, 23, 31)

Wednesday, October 03, 2007

Papà, mi benedici?

Nel blog dell’amico Salo trovo un post in cui lui rivolge a suo padre questi pensieri:
Papà, ti ringrazio per tutto ciò che sei e per tutto il bene che mi vuoi. Anche se non riesco a dirtelo quanto vorresti e quanto vorrei, sappi che mi accorgo di tutto ciò che fai per me, di tutti i sacrifici e di tutte le buone parole, di tutti i consigli e di tutti i semplici e nobili valori che mi hai trasmesso: per me sei il miglior papà del mondo.

Ti voglio bene.
Sono le frasi che qualunque figlio vorrebbe rivolgere al proprio padre, e sono le parole che qualunque papà dovrebbe sentirsi dire dai figli. Costituiscono il riconoscimento di un lavoro fatto bene e un pezzo di eredità che si tramette di generazione in generazione.
Purtroppo, però, quelle parole spesso non si dicono. Non si possono dire. Quanti figli si trovano lontani dall’affetto, dalla guida e dall’esempio dei padri! Quanti figli si perdono per questa assenza nella loro vita! Quanti figli viaggiano nel mondo in solitudine, così come hanno fatto, a loro volta, i padri!

Fa allora bene all’anima leggere di un papà e di un figlio che si sono subito incontrati, che non si sono perduti per strada.
Ho dato un piccolo suggerimento al mio giovane amico. Gli ho proposto di andare da suo padre, di dirgli quello che aveva scritto nel post e poi di mettersi in ginocchio davanti a lui. Dovrebbe chiedere al padre di posargli le mani sulla testa e di benedirlo: “Carne della mia carne, sangue del mio sangue, io ti benedico, figlio mio”.
Quadretto zuccheroso? Forse. E se ci scappasse un po’ di commozione? Bé, che male ci sarebbe, la cosa, dopotutto, rimarrebbe in famiglia! Ma poi, qual è il significato di tutto questo? Diciamo che si tratta di una consegna, la consegna della spada al figlio che entra nel mondo. Per viaggiare sicuro, da uomo e guerriero. Nel segno del padre.

Il mondo è pieno di angeli. Non sono tutti invisibili. Molti sono in carne ed ossa. Tutto sta a volerli riconoscere.

HH.

Tuesday, October 02, 2007

Oggi, anniversario della fondazione dell'Opus Dei

“Il 2 ottobre del 1928 [...] san Josemaría "vide" l’Opus Dei. Da allora il lavoro apostolico dell’Opus Dei si è sviluppato in tutto il mondo portando a migliaia di persone il messaggio di santità predicato instancabilmente da san Josemaría”.

Aggiornamento: qui l’articolo di Mons. Angelo Bagnasco, pubblicato su Avvenire del 6 ottobre 2007; qui l’articolo di Vittorio Messori, pubblicato sul Corriere della Sera del 6 ottobre 2007.
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Monday, October 01, 2007

Ma la morte fa pensare al senso della vita

Viviamo tutti come se non dovessimo mai morire, come se la spiacevole incombenza riguardasse solo gli altri. Come se non sapessimo che da un momento all’altro noi, proprio noi, potremmo essere chiamati a render conto della nostra esistenza davanti al trono dell’Altissimo che ce l’ha donata, che è l’unico Padrone e Signore della vita.
Lo storico francese Pierre Chaunu tempo fa scrisse: “ci è capitata una curiosa avventura: avevamo dimenticato che si deve morire. E’ ciò che gli storici concluderanno dopo aver esaminato l’insieme delle fonti scritte della nostra epoca. Un’indagine sui circa centomila libri di saggistica usciti negli ultimi vent’anni mostrerà che solo duecento (una percentuale, dunque, dello 0,2 per cento) affrontavano il problema della morte. Libri di medicina compresi”. Tuttavia la morte, che se ne frega dei libri di saggistica, testardamente continua a farci visita con una certa frequenza. Quando irrompe fastidiosamente nelle nostre giornate parrebbe inevitabile parlarne, ma abbiamo studiato una serie di procedure e riti per evitare di guardarla in faccia. In genere si dribbla l’inquietante domanda, straparlando del deceduto. Se si tratta di un personaggio famoso è tutto sopra le righe, tracima in chiacchiericcio, in retorica o in pettegolezzo. Nessuno prega. E nessuno accenna una riflessione. Eppure è chiaro che cosa fragile ed effimera sia la vita: sic transit gloria mundi…
Anche per Pavarotti è stato così. Celebrazioni, fiumi di inchiostro ore di televisione, dichiarazioni, discussioni, canonizzazioni. Ci si è messo pure il vescovo di Modena che ha trasformato l’antica Cattedrale in camera ardente come si fa per i papi o per i santi. E Romano Prodi è andato a fare l’orazione funebre. Tutti parlano. Nessuno sui giornali accenna una riflessione sul mistero della vita. Nessuno fa silenzio. Nessuno prega.
Padre Remo Sartori, che ha dato l’estrema unzione a Pavarotti, ha raccontato ieri che negli ultimi mesi il maestro lo cercò: “Mi contattò a Pasqua. Sapeva di essere malato, e sentiva la necessità di un conforto spirituale”. Così si è avvicinato di più a Dio: “in lui c'era una fede di fondo sulla quale non nutriva dubbi”.
Quando sorella morte si fa annunciare dalla malattia e dalla sofferenza all’inizio ci sentiamo ingiustamente bersagliati dalla sorte, ma alla fine per tanti si rivela una grazia, un tempo di misericordia. Don Giussani diceva: “Dio chiede una più particolare partecipazione alla Croce per la redenzione del male del mondo. Dio desidera la purificazione dei nostri peccati. E il digiuno e la disciplina che non pratichiamo volontariamente, il Signore misericordioso ce li fa vivere attraverso questi dolori e queste privazioni. Ma lo scopo più grande di tali avvenimenti è di richiamarci, soprattutto nei momenti di lotta vertiginosa, che Lui solo è il Vero, Lui solo è la speranza”.

A me è capitato, solo pochi mesi fa, di vivere la malattia e la morte di mio padre pregando proprio con la voce di Pavarotti (che è stato un dono di Dio per tutti). Mio padre era in ospedale, ormai in rianimazione. Stava morendo. E per qualche giorno, andando a trovarlo, ascoltavo in auto una struggente canzone di Eric Clapton che questo artista cantò proprio con Pavarotti al “Pavarotti and friends for war child”. Era una preghiera alla Madonna.
Accenno (traducendole) le parole di “Holy Mother”, ma l’emozione dei suoni di Clapton e della voce di Pavarotti è indescrivibile. Le prime strofe cantate dalla voce malinconica di Clapton dicevano: “Madre Santa, dove sei?/ Stanotte sono a pezzi/ Ho visto le stelle cadere dal cielo/ Madre Santa, non posso trattenermi dal piangere./ Oh, stavolta ho bisogno del tuo aiuto/ Fai che finisca questa notte di solitudine/ Dimmi per favore per quale via andare/ per ritrovare me stesso di nuovo./ Madre Santa ascolta la mia preghiera/ In qualche modo so che ci sei sempre/ Manda un po’ di pace al mio cuore/ toglimi questa angoscia./
Poi Clapton ripeteva “I can’t wait”, non posso più aspettare a lungo, non farti attendere ancora. Qui entrava la voce travolgente di Pavarotti: “Madre Santa ascolta il mio pianto/ io ho imprecato il tuo nome migliaia di volte/ ho sentito la rabbia attraversarmi l’anima/ ma ora ho bisogno della tua mano da poter afferrare./ Oh sento che la fine sta arrivando/ le mie gambe non correranno più a lungo/ Tu sai che in questa notte io preferirei essere tra le tue braccia”. E il finale, dolcissimo: “Quando le mie mani non suoneranno più/ la mia voce ci sarà ancora, ma io svanirò/ Madre Santa, allora io sarò/ disteso, in salvo tra le tue braccia”.
Alla fine questo solo conta: di poter essere perdonati e abbracciati. Per questo la cosa più importante, secondo me, è morire in pace con Dio. Il resto è nulla. Siamo tutti ombre che passano in pochi istanti sul teatro del mondo. Come l’erba dei campi è la nostra vita: in un giorno dissecca. L’unica chiave per entrare nella vita vera, quella che dura per sempre, è affidarsi alla misericordia di Dio. E la Chiesa è la grande fontana della Misericordia. Tutti lo avvertiamo, per questo tanti (anche personalità note come laiche) alla fine si riavvicinano ai sacramenti.

La cosa più confortante per tutti noi è ascoltare quello che un giorno Gesù disse alla mistica polacca santa Faustina Kowalska (recentemente canonizzata). La citazione è lunga (mi scuserete), ma vale la pena: “Desidero che i miei Sacerdoti annunzino questa mia grande misericordia per le anime peccatrici. Il peccatore non tema di avvicinarsi a Me. Anche se l’anima fosse come un cadavere in piena putrefazione, se umanamente non ci fosse più rimedio, non è così davanti a Dio. Le fiamme della misericordia mi consumano, desidero effonderla sulle anime degli uomini. Io sono tutto amore e misericordia. Un’anima che ha fiducia in Me è felice, perché Io stesso mi prendo cura di lei. Nessun peccatore, fosse pure un abisso di abiezione, mai esaurirà la mia misericordia, poiché più vi si attinge più aumenta. Figlia mia, non cessare di annunziare la mia misericordia, facendo questo darai refrigerio al mio Cuore consumato da fiamme di compassione per i peccatori. Quanto dolorosamente mi ferisce la mancanza di fiducia nella mia bontà! Per punire ho tutta l’eternità, adesso invece prolungo il tempo della misericordia per loro. Anche se i suoi peccati fossero neri come la notte, rivolgendosi alla mia misericordia, il peccatore mi glorifica e onora la mia Passione. Nell’ora della sua morte Io lo difenderò come la stessa mia gloria. Quando un’anima esalta la mia bontà, Satana trema davanti ad essa e fugge fin nel profondo dell’inferno. Il mio cuore soffre perché anche le anime consacrate ignorano la mia Misericordia e mi trattano con diffidenza. Quanto mi feriscono! Se non credete alle Mie parole, credete almeno alle Mie piaghe!”

Antonio Socci, Libero, 9 settembre 2007