Friday, August 31, 2007

La legge sull'aborto ha bisogno di un tagliando

Che i bambini affetti da trisomia 21, cioè da sindrome di Down, vengano ormai sistematicamente eliminati prima di nascere, l'abbiamo denunciato più d'una volta su queste pagine. E più d'una volta abbiamo lamentato come la legge 194 sull'interruzione di gravidanza sia ormai diventata un colabrodo, un testo che in alcune sue parti non è mai stato attuato, in altre è male applicato, e in altre ancora è tranquillamente violato.
L'intervento di aborto selettivo con cui, all'ospedale San Paolo di Milano, è stata uccisa per errore la gemella sana anziché quella malata, non è che la spia di pratiche che si diffondono fino a modificare la nostra sensibilità, la percezione che abbiamo degli avvenimenti. Chi si ricorda del piccolo Tommaso, nato nel marzo scorso dopo un aborto alla 22° settimana praticato al Careggi di Firenze? Il caso divenne pubblico solo perché il bimbo, a cui era stata diagnosticata una malformazione che non c'era, era rimasto vivo per alcuni giorni: pochi, ma abbastanza per suscitare commozione e scandalo. Se Tommaso non fosse sopravvissuto, non se ne sarebbe parlato affatto; e altrettanto sarebbe accaduto se la bimba eliminata al San Paolo fosse stata effettivamente la piccola Down.
Ogni volta che un episodio del genere viene alla luce, si riapre la polemica tra chi è a favore di una legge sull'aborto e chi no, e il dibattito etico si arroventa. Dopo alcuni giorni, però, tutto torna come prima, e una pesante coltre di silenzio e indifferenza copre la terribile marcia che stiamo compiendo verso la selezione genetica, travestita da libera scelta dei genitori. In questo modo stiamo approdando a risultati di pulizia etnica che nemmeno la peggiore violenza razzista dei governi totalitari è mai riuscita ad ottenere. Si scrivono articoli politicamente corretti sull'accoglienza nei confronti dei Down, si girano film emozionanti con protagonisti diversamente abili, ma poi si chiudono gli occhi di fronte alla realtà di una pratica di selezione genetica diventata ormai ordinaria routine.
Sembra che non si possa fare niente, che si tratti di una deriva inarrestabile, consentita dalla legge. Non è così. La 194 non considera lecita la selezione genetica, così come - se fosse stata applicata - non avrebbe permesso che Tommaso venisse abortito.
Su Avvenire del 23 maggio scorso noi l'abbiamo fatta, la nostra "modesta proposta per prevenire", chiedendo al ministro Turco una risposta, un segnale. La 194 ha ormai trent'anni, e li dimostra; forse le servirebbe un tagliando. Le nuove tecniche mediche, e le scelte che implicano, tendono a svuotarla di senso, approfittando delle incertezze interpretative. Il Ministero potrebbe fornire indirizzi e regole, stilando delle linee guida, senza toccare la legge. Quella parte della 194 che riguarda la prevenzione non è mai stata messa in pratica, e in tutti questi anni le donne che avevano bisogno di aiuto per diventare madri si sono trovate vicine solo i volontari dei Centri di aiuto alla vita.
La diffusione e lo sviluppo delle diagnosi prenatali hanno scardinato gli articoli 6 e 7 della legge, fatti in origine per circoscrivere il ricorso all'aborto terapeutico, ed escluderlo quando il bambino ha possibilità di sopravvivenza autonoma (quindi a partire dalla 22° settimana).
Per mettere qualche paletto basta dunque un atto amministrativo, senza modificare la legge, e probabilmente il ministro potrebbe contare su un'ampia area trasversale di consenso. C'è stato un tavolo dei volonterosi sui temi economici. Perché non provare a farne uno sui temi della vita umana?

Eugenia Roccella, su Avvenire del 29 agosto 2007

Metafore da tipi svegli

Se passando da queste parti non avete trovato nulla di interessante, lasciate che vi suggerisca in che direzione continuare. Potreste infatti dare un'occhiata qui.

Wednesday, August 29, 2007

Madre Teresa e “la notte oscura”

Riporto un bell’articolo di Antonio Socci sulle recenti speculazioni riguardanti Madre Teresa.


PERCHE’ SI CERCA DI ATTACCARE MADRE TERESA?
di Antonio Socci

Uno scoop che fa sorridere. Il settimanale “Time” lo anticipa e subito i giornali italiani gli vanno dietro. Prima pagina del Corriere della sera di ieri: “I tormenti di Madre Teresa: non trovo Cristo. Mezzo secolo di dubbi sulla fede”. Prima pagina della Stampa: “Teresa, la santa che dubitava di Dio”. Parrebbe clamoroso. In realtà la notizia è stravecchia e così è pure presentata a rovescio. Personalmente dedicai a questa straordinaria vicenda una puntata di “Excalibur” nel dicembre 2002 e non su una tv locale, ma su Rai 2, in prima serata, davanti a circa 3 milioni di telespettatori. Si parla di 5 anni fa. Dunque la notizia di ieri non è proprio freschissima…

Erano ospiti in studio un giovane indiano che, da bimbo abbandonato, era stato raccolto su una strada di Calcutta da Madre Teresa e da lei “adottato” e cresciuto come un vero figlio naturale. C’era poi Elisabetta Gardini, un missionario, padre Piero Gheddo, che era stato amico della suora. E c’era infine Saverio Gaeta, il giornalista che aveva appena pubblicato “Il segreto di Madre Teresa” (Piemme) il cui sottotitolo recitava: “Il diario e le lettere inedite dei colloqui con Gesù riportati alla luce dal processo di beatificazione”.

Adesso il libro che sta uscendo, “Come be my light”, torna sulla vicenda, ma non alza i veli su un “lato sconosciuto” della suora, come annuncia il Corriere, perché la cosa era nota. “La Stampa” titolando sulle “lettere segrete” mette in evidenza un brano (“il sorriso è una maschera o un mantello che copre ogni cosa”) che si trova già, ed espresso meglio, a pagina 95 del libro di Gaeta: “Il mio sorriso è un grande mantello che copre una moltitudine di dolori”.

Perché dei giornali importanti lanciano come scoop, come “lato sconosciuto della missionaria di Calcutta”, qualcosa su cui si discute da anni? Escludo che sia un caso di provincialismo. Escludo pure che non conoscano le buone regole del giornalismo che impongono di fare verifiche e di presentare un fatto con cognizione di causa. Ha prevalso forse un certo scandalismo estivo a buon mercato: la più celebre santa dei nostri tempi che sembra dire di non credere in Dio è ritenuta cosa divertente dal circo mediatico che ha ridotto il mondo a pettegolezzo. E questo spiega qualche superficiale tendenziosità dei giornali (si presenta Madre Teresa come una che diceva una cosa e ne sentiva un’altra). Taluno, in casa cattolica, denuncerà l’emergere qui della nota ostilità ideologica contro la Chiesa. Dirà che si è voluto dare un colpo pesante a una santa che è un simbolo del cattolicesimo per milioni e milioni di persone. Può darsi. Ma francamente dovrebbero dare qualche spiegazione anche gli ecclesiastici che hanno pubblicato un simile libro con questo lancio mediatico che non rende giustizia a Madre Teresa. Sarà stata ingenuità, ma la suora così è finita nel tritacarne scandalistico.

Al contrario il libro di Saverio Gaeta, che pure rese noti per primo i brani delle lettere sulla “notte oscura”, partiva anzitutto dalla rivelazione degli eventi soprannaturali che hanno dato inizio alla missione di Madre Teresa che, altrimenti, sarebbe del tutto inspiegabile (lei infatti era già una suora missionaria in India: insegnava in istituti per figlie delle famiglie facoltose). Le accadde dicevamo l’irruzione di Cristo nella sua vita. Si trattò di locuzioni interiori, cioè delle voci percepite di Gesù e di Maria e di almeno due visioni. Senza questo sensazionale antefatto non si comprende la “notte oscura”.

Dunque è il 1946 quando la giovane suora missionaria percepisce chiaramente questa voce dolce, appartenente a Gesù, che le dice: “Desidero suore indiane, vittime del mio amore, che siano Maria e Marta, che siano talmente unite a me da irradiare il mio amore sulle anime. Desidero suore libere, rivestite della mia povertà della Croce; desidero suore obbedienti, rivestite della mia obbedienza della Croce; desidero suore piene di amore, rivestite della carità della Croce. Rifiuterai di fare questo per me?”.

La Voce comincia a farsi sentire dal 10 dicembre 1946, “innanzitutto nei dieci giorni di ritiro spirituale che la religiosa trascorre nel convento di Darjeeling” scrive Gaeta “e poi per buona parte del 1947, la Voce si manifesta con sempre maggiore chiarezza. Gesù Cristo in persona le chiede la disponibilità ‘a lasciare tutto e a raccogliere intorno a sé alcune compagne per vivere la Sua vita, per svolgere il Suo lavoro in India’. E’ l’inizio di un serrato dialogo”.

Suor Teresa è chiamata da Gesù a lasciare il suo ordine e ad andare a vivere come i più poveri fra i poveri. Gesù le indica perfino il nome dell’opera che deve costruire: “Desidero suore indiane, Missionarie della Carità, che siano il mio fuoco d’amore tra i più poveri, gli ammalati, i moribondi, i bambini di strada. Voglio che tu conduca a me i poveri, e le suore che offriranno le loro vite come vittime del mio amore condurranno a me queste anime”. Ed ancora Gesù le dice: “Hai sempre affermato: ‘Fai di me ciò che vuoi’. Ora voglio agire. Lasciami fare, mia piccola sposa, mia piccola cara. Non temere, io sarò sempre con te. Tu soffrirai e stai soffrendo anche ora, ma se sei la mia piccola sposa – la sposa di Gesù Crocifisso - dovrai sopportare questi tormenti nel tuo cuore. Lasciami agire, non respingermi. Confida in me con amore, confida in me ciecamente”.

E infatti – dopo queste straordinarie grazie mistiche - Madre Teresa sarà attesa da 50 anni di aridità spirituale, di notte oscura (quella di cui dicevamo all’inizio), salvo brevi parentesi di sollievo. Chi può dire quale senso di abbandono e di buio sperimenti un’anima quando deve tornare nel mondo dopo essere stata abbracciata dalla bellezza di Dio stesso? E’ il sentirsi respinti e abbandonati da Dio, una sensazione drammatica che anche padre Pio descrive in tante sue lettere giovanili. E’ la “notte oscura” che hanno sperimentato anche gli altri mistici. Perché quando l’immedesimazione con Gesù Cristo raggiunge quelle vette, insieme ai doni soprannaturali della sua presenza e della sua bellezza, percepite in modo tangibile, Dio fa sperimentare anche il buio e la croce che visse Gesù.

Vuole infatti che le anime da lui privilegiate somiglino in tutto al Figlio. Se ne rende conto la stessa Madre Teresa quando scrive: “Per la prima volta in questi undici anni ho cominciato ad amare l’oscurità. Perché ora credo che essa sia una parte, una piccolissima parte, del buio e del dolore vissuto da Gesù sulla terra. Oggi ho davvero sentito una profonda gioia, perché Gesù non può più vivere direttamente l’agonia, ma desidera viverla attraverso di me. Mi abbandono a lui più che mai. Sì, più che mai sarò a sua disposizione”.

Questa è la fede eroica per cui Madre Teresa è stata elevata agli onori degli altare. Paradossalmente la vicenda è un’occasione preziosa per riflettere sul cristianesimo. Che non è affatto un’attività sociale o umanitaria, né un sistema astratto di dottrine e di morale, né un ragionamento umano o una civiltà, né un insieme di riti o sentimenti. Ma è l’incontro con una persona, Gesù Cristo, che sceglie e chiama, senza alcun nostro merito. E’ l’appassionata e drammatica storia d’amore con lui, che si manifesta in modalità speciali nella vita dei mistici. Per tutti però il cristianesimo è l’avventura più straordinaria, perché attraverso questo cammino Dio divinizza le creature umane che gli dicono liberamente “sì”. Questo infatti è lo scopo della creazione (anche il nostro corpo sarà divinizzato). S. Agostino ha scritto: “Colui che era Dio si è fatto uomo, facendo dèi coloro che erano uomini”. E questa trasformazione, che s’intravede già nei santi, regala una felicità senza fine già sulla terra, ma passa sempre attraverso il Getsemani e la Croce. Anche per Madre Teresa.

Da “Libero”, 26 agosto 2007

Monday, August 27, 2007

I coniugi Messori: tra fede e apostolato

Fra i libri che porterei con me sulla classica isola deserta ho aggiunto da poco Credere per vivere, di Rosanna Brichetti, moglie di Vittorio Messori. Devo dire che sarebbe stata sufficiente la prefazione di Messori per invogliarmi alla lettura del saggio. È anche vero però che avevo già avuto modo di conoscere ed apprezzare l’autrice attraverso alcuni suoi interventi sulla rivista Il Timone. La raccolta in volume e lo sviluppo di quelle riflessioni mi sono così apparsi non solo un’ottima idea editoriale, ma anche e soprattutto una valida opportunità per approfondire la conoscenza di un’interessante scrittrice cattolica.
Le mie aspettative non sono state deluse, anzi. Il libro è un autentico gioiello, una preziosa catechesi scritta in linguaggio chiaro, sobrio ed elegante, dove nulla dei suoi contenuti è superfluo o scontato. Non c’è da parte mia intento adulatorio nel sostenere che le osservazioni dell’autrice sono profonde e illuminate da una solida consuetudine alla preghiera. Grande attenzione, circa un terzo del libro, è dedicata a Maria, com’è opportuno se si è cattolici, cioè se si è veramente cristiani. In sostanza, sono convinto che le pagine di questo volume siano il frutto di un vero incontro col Cristo.
Il libro ha per sottotitolo “Alla riscoperta della fede cristiana”. La scelta non è casuale. Il saggio infatti espone i capisaldi del cristianesimo nel pieno rispetto del dogma e nel solco tracciato dalla Tradizione e dal Magistero della Chiesa di Roma. Credere per vivere soddisfa quindi l’esigenza, sentita da tanti cattolici, di meditare su testi che siano depurati dalle involuzioni e dalle fantasie ‘progressiste’ propagandate da certi ambienti, persino ecclesiastici. All’esortazione che San Pietro rivolge ai cristiani – Siate sempre pronti a dar ragione della speranza che è in voi - Rosanna Brichetti, al pari di suo marito, risponde in modo puntuale e convincente.
Per tutti questi motivi, nella mia biblioteca personale, Credere per vivere ha trovato subito un posto, e lo ha trovato al fianco, guarda caso, di Ipotesi su Gesù. A riguardo vorrei aggiungere un’annotazione personale: questo post vuol essere un’espressione di gratitudine ai coniugi Messori per l’opera di apostolato da essi compiuta con i loro libri e articoli. I due scrittori cattolici hanno accompagnato nel tempo la crescita religiosa del sottoscritto, spesso assillata da dubbi e sbandamenti. Non aspetterò certo di trovarmi sull’isola per prendere in mano e gustare nuovamente molte di quelle pagine.

Tuesday, August 21, 2007

Bisessualità: Veronesi e Pannella perdono altre occasioni per zittire

Su il Giornale di oggi: Fare figli è roba vecchia, fuori moda. L’ultima perla è del duo Marco Pannella-Umberto Veronesi. Lo scienziato sostiene che «la bisessualità è il futuro del genere umano», il leader radicale sorride soddisfatto e annuncia: «Basta procreare come bestie, basta con questo militantismo organizzato che vuole il matrimonio, poi i figli... La riproduzione animale non è più una necessità». (...)

Ho fatto una ricerca su Google sulle gag del neonato duo comico. Ecco i risultati:

«La pigrizia riproduttiva dell'Occidente». Veronesi prospetta un futuro bisessuale

Veronesi: «L'umanità sarà bisessuale», dal Corriere della Sera.

Monday, August 20, 2007

Il Card. Bertone e la prospettiva cattolica sulla tassazione

Dopo le ragionevoli affermazioni del Cardinal Bertone sul dovere di pagare le tasse in base a leggi giuste, Vittorio Messori dà un contributo sul Corriere della Sera di oggi per chiarire ulteriormente la posizione della Chiesa cattolica in materia di tassazione.
Si veda anche questo Antidoto di Rino Cammilleri, Lo statalista Prodi tradisce la Chiesa di Massimo Introvigne e La Dottrina sociale della Chiesa e la visione di Prodi, di Stefano Fontana.


Se Cesare supera la misura, di Vittorio Messori

Prima che dai principii val forse meglio partire dall'esperienza. Se sto alla mia, so di non violare privacy ricordando quanto ho visto praticare sovente da parroci, da religiosi, da suore. E non soltanto in Italia ma, ad esempio in Francia e in Spagna, da economi di istituti e da rettori di santuari. E ho qualche ragione per credere che la prassi non valga solo per i Paesi latini. Spesso, cioè, ho constatato che — dovendo regolare conti con muratori, artigiani, fornitori vari — uomini (e donne) di Chiesa non si comportano diversamente dal cittadino comune.
Dunque, per quanto possibile, praticano un principio di «legittima difesa», ricorrendo a sistemi che non sottopongano tutto l'importo a tutta la tassazione prevista. Non, intendiamoci, con metodi truffaldini, da professionisti dell'evasione, ma limitandosi alla forma più semplice: il pagamento in contanti di parte di quanto dovuto o una fatturazione inferiore al reale. Ora: la vita spirituale di ciascuno è inviolabile, ma oso pensare che nessuno di quegli amministratori ecclesiali aggiunga le elusioni fiscali alla lista dei peccati di cui accusarsi nelle periodiche confessioni. Una supposizione, la mia, che si fonda anche sul fatto che nessun confessore mi ha mai chiesto conto del comportamento quanto a tasse, imposte, tributi.
Malcostume clericale, mancanza di senso civico in preti e suore che non solo non predicano dal pulpito l'obbligo morale di pagare le tasse sino all'ultimo cent (come depreca il «cattolico adulto» Prodi) ma cercano essi stessi di sfuggire almeno un poco alla pressione fiscale? Ma no: semplicemente, come si diceva, un istinto di «legittima difesa». Non a caso l'aggettivo usato dal cardinal Bertone riferendosi alle imposte meritevoli di essere pagate è «giuste». Così come di «giusti tributi» parla il Nuovo Catechismo cattolico e di «giustizia» nel carico fiscale parlano tutti i trattati di morale. In effetti, è scontato ricordare che norma basilare del cristiano è il «dare a Cesare quel che è di Cesare»; e il Segretario di Stato non poteva non citarlo.
Ma, per usare giustappunto il latino della Chiesa, est modus in rebus: che fare se Cesare supera, e di molto, il modus, cioè la misura? L'Ancien Régime dava poco ma chiedeva anche poco, la tassazione era per lo più irrisoria se confrontata a quanto sarebbe poi avvenuto. È, nella teoria, con i dottrinari illuministi e poi, nella pratica, con giacobini e girondini rivoluzionari, che lo Stato si fa «etico», si fa «sociale», si fa «totalitario», assume per sé tutti i diritti e tutti i poteri, affermando che farà fronte a tutti i doveri e a tutte le necessità. Nascono e si sviluppano sino all'ipertrofia le burocrazie, si creano smisurati eserciti permanenti, si confiscano i beni con cui la Chiesa e i corpi sociali intermedi facevano fronte alle esigenze sociali, basandosi non sul torchio dell'esattore ma sulla volontarietà dell'elemosina.
Cesare, insomma, pretende sempre di più, sino a casi come quello italiano dove ogni anno, sino a fine luglio, il cittadino lavora per uno Stato di fantasia inesauribile quanto a tasse e balzelli diretti e indiretti e — bontà sua — lascia al suddito il reddito di cinque mesi su dodici del suo lavoro. Siamo in chiaro contrasto, dunque, con la «giustizia » chiesta dalla Chiesa, i cui moralisti — quelli moderni, non quelli antichi che si accontentavano delle «decime» — giudicano, in maggioranza, equa una tassazione che, nei casi più severi, non superi un terzo del reddito. Non sorprende, dunque, che anche in gente di Chiesa scatti un istinto di autodifesa, un bisogno di equità davanti a uno Stato che sembra configurarsi non come un padre ma come un padrone e un predone.
Dopo avere detto che è «dovere del cittadino pagare le tasse» ma «secondo leggi giuste» (e tali spesso non sono, secondo il giudizio comune), il cardinal Bertone ha aggiunto che lo Stato ha il dovere «di destinare i proventi di esse ad opere giuste e all'aiuto ai più poveri e ai più deboli». E qui c'è tutto lo spazio per un'ironia amara, tutti sapendo in quali «opere» siano dissipate somme enormi prelevate dai redditi di chi lavora. Tutti sanno, ad esempio, che stando alle impietose statistiche, buona parte delle «istituzioni sociali» statali hanno sì un fine assistenziale: ma, in massima parte, a favore delle burocrazie che le gestiscono.
Tutti sanno — o almeno intuiscono — che sprechi, ruberie, privilegi, demagogie, incurie inghiottono tanta parte non del «tesoretto» casuale ma dell'immenso, sempre rinnovato «tesoro» fiscale. Giustizia, dunque, nel prelievo ed impiego virtuoso di esso: queste le basi della prospettiva cattolica a proposito di tributi. Basi che sono ben lontane dall'essere rispettate. Per cui non sembra ingiustificato il commento di Rocco Buttiglione: «Non pagare le tasse è una colpa. Indurre i cittadini nella tentazione di non pagare, pretendendo tributi esosi ed ingiustificabili, è colpa ancora più grave».

Sunday, August 19, 2007

L’Apocalisse e la fede, una riflessione domenicale

Che senso ha una rapidissima e banalissima incursione sulle cose ultime? e da qui sulla fede? Lo dico chiaramente, non lo so. È che mi va di farlo. Tanto non costa nulla, a parte il rischio di fare figuracce.
In una biografia di Padre Pio scritta da Renzo Allegri, ricordo di aver letto che, a chi gli chiese della fine del mondo, il santo rispose: “L’umanità non è nemmeno a metà del suo cammino”.
Da parte mia, non avendo a disposizione un interlocutore di così alto livello, mi limitai anni fa a proporre la stessa questione ad un amico che studiava teologia. “Con l’Apocalisse è probabile che non ci saranno fiamme e devastazioni o quant’altro appartiene all’immaginario collettivo. Si tratterà forse di un cambio di dimensione. Da quella che adesso conosciamo, passeremo ad un’altra dove fede, speranza e carità saranno virtù superate, perché saremo ormai una cosa sola con Dio”. (Mi astenni dal chiedergli dell’Anticristo, adattando al riguardo il consiglio della Chiesa sullo spiritismo: tenersi scrupolosamente lontani da certe faccende, soprattutto se non si posseggono la fede, le conoscenze e gli strumenti di lavoro adeguati.)
Non so perché, ma fino a poco tempo fa ho sempre pensato che la fine del mondo sarebbe giunta quando gli uomini, a qualunque latitudine, si fossero convertiti a Cristo. Tutti gli uomini, mussulmani compresi! Non avrebbe avuto grande importanza, dicevo tra me, che tutti fossero battezzati. Ciò che conta veramente per Dio è l’abbandono sincero e totale al Suo amore, che si esprime ogni giorno nella carità concreta verso il prossimo.
Oggi, per quel che vale, non credo più che la fine del mondo sarà anticipata dalla conversione generale. È ragionevole invece pensare che, al momento dell’Apocalisse, non tutti saranno cristiani, anzi. Addirittura, è possibile che in Occidente pochi crederanno ancora in Dio. È possibile che soprattutto i cattolici si saranno ridotti a ‘quattro gatti’. Tutto ciò però non vuol dire che la Chiesa di Roma, l’unica in cui sussiste il Vangelo di Cristo, sarà stata sconfitta. Significa solo tenere nel debito conto il dubbio di Gesù «Ma quando tornerò, troverò ancora la fede sulla terra?» (Luca 18,8). Questa fede in un Dio che non si può vedere e toccare, in un Dio che, essendo Amore, rispetta la libertà dell’uomo di non credere. “Beati coloro che crederanno senza aver veduto”. Lui che potrebbe mostrarsi all’umanità quando vuole per toglierle ogni dubbio su Se stesso, preferisce invece che Lo si cerchi e Lo si trovi nel silenzio e nei piccoli segni che ci invia di continuo.
Ho scoperto di recente una frase di Pascal. Può essere d’aiuto per il cristiano, anzi, per il cattolico che rischia di scoraggiarsi di fronte alle nubi che si addensano all’orizzonte: “Sempre si troveranno abbastanza luci per chi voglia credere e abbastanza ombre per chi voglia dubitare”.
Andiamo avanti.

Thursday, August 16, 2007

Apostasia

Nuovamente da Antidoti di Rino Cammilleri.

Leggo sul «Giornale» di ferragosto che in Iran un uomo rischia l’impiccagione perché trovato in possesso di un Vangelo. Nel “moderato” Egitto un giovane passato al cristianesimo copto deve vivere latitante. Più volte arrestato e torturato per l’apostasia, non può sposarsi in chiesa con la moglie incinta di quattro mesi perché in Egitto sui documenti compare la religione professata. Perciò, vale solo il suo matrimonio islamico. Fotografato con la moglie all’interno di un centro di preghiera copto davanti a un poster con la Madonna, la foto è finita su internet e da quel momento si è scatenata la caccia all’apostata.

L’università Al-Azhar del Cairo, il centro sunnita più importante del mondo, ha praticamente emesso la sua fatwa per bocca del preside della facoltà di scienze islamiche. I cristiani copti in Egitto sono “solo” otto milioni, ma se l’«apostata» si azzarda a battezzare suo figlio, guai a lui.

Tutte le religioni del mondo, in un mondo sempre più secolarizzato, faticano a tenersi i proprio fedeli. Non così quella musulmana, perché chi prova a lasciarla ci rimette il collo. Semplice ma geniale, e ne spiega la straordinaria diffusione. Espansasi nei secoli per via di conquista, è sempre rimasta nei suoi numeri grazie al divieto di apostasia pena la morte.

È davvero un religione unica nel suo genere, altro che l’umiltà, la pazienza, il porgere l’altra guancia e l’amore del prossimo come se stessi del complicato e difficilissimo cristianesimo.

Il quale, nella sua versione cattolica, ha, per giunta, un clero che si affanna a cercare di «dialogare» con i musulmani, laddove questi non hanno neanche questo problema.

Thursday, August 09, 2007

«E tu, governo insaziabile, cosa ne fai del sangue che ci succhi?»

Riporto il bellissimo antidoto di Rino Cammilleri su Mortadella, Fisco e Chiesa.

L’antico vizio dei politici “laici”, siano atei, agnostici o «cattolici adulti» è il volere che la religione sia solo un instrumentum regni, buona cioè a forgiare sudditi obbedienti e sottomessi. Alla tentazione non è riuscito a sottrarsi neanche Prodi, il quale, com’è noto, vorrebbe che nelle omelie si denunciasse l’evasione fiscale come peccato gravissimo e si sferzassero i fedeli con parole di fuoco circa l’obbligo «religioso» di pagare, zitti e bravi, le tasse.

Citando opportun(istic)amente san Paolo (che, in realtà, invitava i cristiani al lealismo verso l’autorità costituita e mai parlò di fisco), ecco l’invito a usare la mezz’ora di predica domenicale per ricordare i doveri del buon cittadino. Forse che gli stessi vescovi, di tanto in tanto, non emanano decaloghi del buon guidatore? Già: è questa la Chiesa che piace, quella che non fa gridare all’«ingerenza» e non fa sperare alle Bindi che sia finita l’«era di Ruini».

Qualche parroco, però, ha fatto capire che, al contrario, preferirebbe dedicare omelie al buon uso da parte del governo delle tasse percepite. Ma la voracità di questo governo meriterebbe ben altro che omelie: magari qualche invito all’insurrezione o, almeno, all’obiezione di coscienza.

Sono vecchi cavalli di battaglia della sinistra lo statalismo e la demonizzazione dell’evasore. Ricordate i manifesti per le strade e gli spot governativi ai tempi del duo Craxi-De Michelis? Lo slogan era: «Io pago le tasse, e tu?».

E giù giri di vite sui commercianti e le (solite) categorie incise sulla Colonna Infame. La risposta corretta alla domanda socialista sarebbe stata: «E tu, governo insaziabile, cosa ne fai del sangue che ci succhi?». Poi venne Mani Pulite e ci fu spiegato dove finivano i nostri soldi.

Ora, con gli statalisti coalizzati al potere, ritorna l’ossessione: lotta continua agli evasori. Tacendo che si spende di più nel recupero di tasse evase che nell’introito effettivo (l’1% scarso).

Tacendo che in qualunque manuale di Scienza delle Finanze sta scritto che l’aumento della pressione fiscale è direttamente proporzionale a quello dell’evasione, perché il rischio di essere beccati è compensato da quel che ci si rimette. Purtroppo, la Chiesa non predica queste cose, ridottasi com’è al solo ambito della morale sessuale.

Timorosa delle accuse di «ingerenza», dimentica gli esempi illustri di san Giovanni Battista, sant’Ambrogio, san Gregorio VII e tanti altri che al Potere le cantavano chiare e forti. O san Francesco di Paola: dalle monete donategli dal re di Napoli spremette sangue dicendo davanti a tutta la corte che, quello, era sangue dei sudditi.

Wednesday, August 08, 2007

L’eterogenesi dei fini e le regole della Natura

Alla luce dell’analisi di Gianfranco Piombini sul femminismo nei paesi dell’Europa del Nord, Norvegia in testa, qualcuno – il sottoscritto per esempio - può sostenere che questa notizia non gli giunge affatto inaspettata. Questo qualcuno può scomodare addirittura Gianbattista Vico e i suoi ‘corsi e ricorsi della storia’. Volendo, quel qualcuno può anche interpretare la notizia come un primo effetto, pur se debole e sfumato, dell’inevitabile ribellione della natura ‘umana’ di fronte agli squilibri sociali e psicologici provocati dall’ideologia femminista.
Fa un po’ sorridere il modo in cui la giornalista del Corriere presenta la notizia. Dopo aver accennato al dramma in cui versa il maschile norvegese, questa giunge a sottolineare la situazione italiana in termini che sembrano voler dire: “Sarà pure che gli uomini da quelle parti sono in crisi, ma che invidia per queste donne scandinave! Altro che le donne italiane, ancora vessate da una mentalità maschilista e retriva!”. Il dato del nostro Paese sarebbe semplicemente che la donna non gode di opportunità pari a quelle dell’uomo, soprattutto in termini retributivi. Tutto il resto non conta, men che meno il fatto che c’è modo e modo di ottenere le pari opportunità.
Passando dal particolare al generale, mi sembra doveroso ribadire una banalità, e cioè che nulla succede per caso. Va senz’altro riconosciuto che qualcosa di giusto c’era nelle rivendicazioni del femminismo sessantottino. All’epoca, il piatto pendeva troppo da una parte; così si è cercato un bilanciamento spingendo nel senso opposto. Solo che, come spesso avviene, il senso delle proporzioni è andato perduto. Per dirla con Vittorio Messori, le istruzioni per l’uso dell’essere umano sono state dimenticate. Al distacco dalla realtà cui conduce ogni forma di ideologia, ogni ismo - come illuminismo, positivismo, fascismo, nazismo, comunismo, femminismo, ecologismo e liberalismo - consegue, puntualmente, l’eterogenesi dei fini. Fortunatamente, a rimettere le cose a posto provvede la Natura, alter ego della Provvidenza divina.
In ordine di tempo, l’ultima ideologia a finire nella spazzatura della storia è stato il comunismo. Il riflusso, lentissimo ma inesorabile, comincia a farsi sentire adesso anche per quanto riguarda il femminismo. Poi toccherà all’ecologismo. E poi al liberalismo, se e quando quest’ultimo dovesse mai prevalere nella sua versione radicale.
Ripensando ad altre pretese del ’68, in particolare a quelle inerenti la famiglia e la scuola, è interessante constatare come oggi si sente parlare nuovamente di autorità, di ritorno alle regole e alla disciplina. Si sta addirittura rivalutando il ruolo dei padri nella crescita dei figli. Tutto ciò non sorprende. Di fronte allo stato pietoso in cui versano tante famiglie e tanti nostri ragazzi, c’è chi comincia a invocare finalmente un’inversione di rotta rispetto a quell’insensata mentalità del “vietato vietare”.
Ma a guardarsi bene intorno ci si accorge che altre nuvole oscure si profilano all’orizzonte.
Quelli di oggi sono i tempi delle rivendicazioni omosessuali. I gruppi di pressione gay esigono la parificazione delle unioni omo a quello etero, l’adozione dei bambini, il mantenimento e la crescita della confusione fra identità maschile e femminile a livello sociale. Non ho ovviamente poteri di premonizione, ma il vento che spira non mi sembra incoraggiante. È tristissimo dirlo ma, prima o poi, i gay riusciranno a ottenere ciò che vogliono.
In Italia, è vero, la lobby gay dovrà battagliare un po’, ma non incontrerà ostacoli insormontabili nel mondo politico e nel mondo laico. Non sarà cioè il centro-destra a fare da diga a questa nuova marea che sta per arrivare. Come elettore di centro-destra mi dispiace dirlo, ma dalle parti di Forza Italia, di An, della Lega e dell’Udc, vedo col lanternino coloro su cui fare affidamento. Manca la solidità dei valori e la statura morale. Solo la Chiesa, l’unica voce autorevole nel nostro Paese e una delle pochissime a livello mondiale, continuerà a mettersi di traverso. Purtroppo, però, la sua azione di contenimento non potrà durare a lungo di fronte all’assalto di tanti scriteriati, esperti nella tecnica del vittimismo e del fumo negli occhi.
Quelli di oggi sono anche i tempi di una forte aggressività islamica. Eurabia si va realizzando con la forza della demografia, con la connivenza dei politici nostrani, del cattolicesimo cd. progressista e di quella porcheria che è ormai diventata l’Unione Europea. Si compirà quindi l’islamizzazione del continente? Anche qui, procedendo a lume di naso, la faccenda mi puzza di sconfitta. Quelli di sinistra continuano a svendere la nostra civiltà in nome di un filo-arabismo suicida e di una malintesa solidarietà sociale. Fuori da ogni logica, c’è l’immancabile accusa di razzismo a chi invoca il rispetto, da parte dei mussulmani, delle più elementari regole di integrazione. Alcuni settori del mondo cattolico - religiosi e intellettuali - confondono, più o meno in buona fede, il cedimento morale con la carità cristiana e il dialogo interreligioso. Per quanto riguarda l’Italia, e per gli stessi motivi suaccennati, non saranno i politici di centro-destra a contrastare la marcia verso l’islamizzazione. Su questo fronte, nemmeno la Chiesa, nonostante gli sforzi di quel grande Papa che è Benedetto XVI, sarà granché efficace. Non c’è la necessaria compattezza e comunione di intenti.
Anche se le cose stessero veramente come le ho descritte, però, non ci sarebbe da disperare. Infatti, le regole della Natura rimetteranno le cose al loro posto, come sempre. Lo dicevamo prima, nulla succede per caso. Se una società, mi si passi la brutta espressione, si femminilizza; se accetta di far educare dei bambini a persone confuse nella propria identità sessuale; se si vergogna di se stessa e apre di buon grado le porte a chi vuole sottometterla, bé, c’è solo da prendere atto che quella società è decadente e ha bisogno di una fase di ... ‘purificazione’.
È un po’ come quello che avviene ad una persona che vede la sua vita andare improvvisamente a rotoli. Disorientato dagli eventi, costui si domanda: “Ma che cosa mi è successo? Dove ho sbagliato?”. “Lo sai benissimo invece, amico mio!”, gli risponde la vita, o chi per lei. “Ora, se vuoi veramente salvarti, dovrai prima fare i conti con la tua storia e mettere in gioco le tue convinzioni. Ciò significa che dovrai attraversare momenti di dolore. Solo quando non avrai più lacrime da versare e le idee ti saranno più chiare, potrai riprendere il cammino”. Buona fortuna, Occidente. Buona fortuna, Italia.

Thursday, August 02, 2007

Chi ricorda ancora Bob Hope?

Ieri mattina, un collega di lavoro mi fa: “Sai per caso chi è Bob Hope?”. Mi sono schiarito la voce e ho risposto: “È stato un comico americano degli anni ’50 e ’60, con all’attivo un bel po’ di commedie. All’apice della popolarità, era molto ricco, forse l’uomo di spettacolo più ricco di sempre. Era capace di condurre da solo programmi di beneficenza in TV per ore e ore. E raccoglieva una barca di soldi. I suoi film venivano trasmessi in Italia negli anni ’70. Ora non più”.
Nel pomeriggio, mentre rincasavo, mi sono ricordato la domanda del mio giovane collega. Mi sono tornati in mente i film che vedevo da ragazzino, i primi film che ho visto in vita mia. Credo fosse il 1975 o il 76. Mediaset ancora non esisteva e la RAI aveva solo due canali, il primo e il secondo. Facevano ancora il carosello. Le trasmissioni cominciavano alle 20,00 col telegiornale. Il film c’era solo il lunedì. Per la maggior parte, se escludiamo Totò e i mitici della commedia italiana, si trattava di film americani degli anni ’40 e ’50, talvolta anni ’60.
Ho ricordato Le quattro piume nell’edizione del 1939, la stessa che era piaciuta a mio padre da piccolo (era un film inglese, ora che ci penso); Il Mago Houdini con Tony Curtis; La vita è una cosa meravigliosa, con James Stewart. Ho rivisto la biondina con gli zigomi in su che cantava come un usignolo, Doris Day, di cui ero pazzamente innamorato - mio fratello invece stravedeva per Laureen Bacall, la moglie di Humphrey Bogart. Mi ha fatto tenerezza ripensare ai sogni ad occhi aperti che facevo seguendo le avventure di Cary Grant; assieme a lui ero, di volta in volta, giornalista, avvocato o architetto. Poi, di botto, un fiume di nomi e di volti cinematografici: Fred Astaire, Jim Cagney, Johnny Weissmuller, William Holden, Natalie Wood, Kim Novak, Dean Martin, Jerry Lewis ...
Pensando alla domanda del mio giovane collega, mi sono reso conto che un patrimonio enorme di film, di attori e di registi, una selva di nomi e titoli familiari per quelli della mia generazione - oltre che per quella di mio nonno e mio padre, è diventato materiale da cineteca per la generazione venuta subito dopo. In pochi anni, dacché la televisione non li ha più trasmessi, tutti quei film sono finiti nell’oblio.
Il mio collega di lavoro appartiene ad un’altra epoca cinematografica e televisiva. Né migliore né peggiore della mia, solo diversa. È comprensibile che i giovani, i giovanissimi ignorino i film e gli attori che sono stati popolari fra chi li ha preceduti. Non succede solo perché quelli di oggi sono tempi in cui si consuma tutto con rapidità. È un fatto il susseguirsi delle generazioni, la trasformazione dei gusti, la sostituzione del vecchio col nuovo.
Sono un sentimentale e un nostalgico, è vero, ma non mi spingo a dire che il passato sia migliore del presente. Mio nonno è stato uno dei pochi anziani che ho conosciuto che non ha mai rimpianto i tempi della sua giovinezza. Diceva: “Quand’ero ragazzo c’era poco cibo e, se ci si ammalava, si moriva facilmente. Oggi è molto meglio”. I tempi di mio nonno erano duri, ma lo sono anche gli attuali, seppur per ragioni diverse.
Devo riconoscere che la domanda del mio giovane collega mi ha comunque lasciato addosso una sottile malinconia. “Sai per caso chi è Bob Hope?” Sì, per caso, lo so. Era uno che faceva film quando io ero un ragazzino. Acqua passata non macina più!