Monday, December 31, 2007

Welcome aboard, King Arthur

Questo blog è da diversi mesi monotematico ed è probabile che rimarrà tale anche nel nuovo anno. Infatti, l’autore prevede di continuare a martellare i suoi sparuti lettori con post personali o articoli altrui in cui si parla di fede/religione cattolica. Va da sé che la scelta di cui si tratta, rispecchiando un semplice interesse dell’autore, è priva di pretese.
Nel 2008, ad ogni modo, etendard presenterà un’importante novità: la partecipazione di un co-autore. Pur nell’intento di diversificare gli argomenti trattati dal blog, la filosofia di base a cui ci si ispirerà sarà quella di sempre, cioè non prendersi troppo sul serio. Il co-autore, che ha scelto il nickname King Arthur, ha interessi che spaziano dalla politica alla sociologia alla psicologia. Per impratichirsi con gli attrezzi del mestiere, King Arthur ha cominciato la collaborazione riportando un editoriale del buon Giuliano Ferrara su Il Foglio di sabato scorso. Do quindi il benvenuto al nuovo passeggero di questa piccola ma solida imbarcazione, augurandogli un divertente 2008 da blogger e sperando che la convivenza col sottoscritto non sia troppo soffocante.

Sunday, December 30, 2007

Molti Vescovi e preti non credono più all'esistenza di Satana

... padre Amorth assieme ai tanti colleghi, rilancia l’attacco “all’Italia fortemente materialista, priva di fede, che crede solo a ciò che scientificamente vede, e agli uomini di chiesa, che non predicano più né sull'Inferno né sul Paradiso”. “Guai - dice Amorth in una dichiarazione all'ANSA - parlare al giorno d’oggi del fuoco eterno; non solo la gente si spaventa, ma addirittura si offende e così anche tanti preti e vescovi sono ingannati da quella sorta di cattolicesimo sincretistico dove tutto deve essere in formato positivo, artificiosamente buono e bello, e dove il diavolo sarebbe un concetto medievale. Ma la salvezza eterna, è bene ricordare, non la si guadagna per meriti, pensando di essere brava gente, ma solo aderendo al piano meraviglioso che il Signore ha stabilito per ciascuno di noi con la sua morte in Croce. Il nostro sì oggi a Gesù, senza riserve, oppure il nostro no decideranno la sorte eterna dell’uomo, e quindi il Paradiso o l’Inferno. Satana, l’ingannatore per eccellenza - dotato di una astuzia incredibile - sostiene l’esorcista -, sta invece facendo di tutto, e con grande successo, per far credere che le realtà spirituali sono superate, che non è vero nulla e che lui è andato in pensione da un pezzo”.

Tratto da Petrus, Il quotidiano online sul pontificato di Benedetto XVI

Il giudice M. Travaglio condanna a morte B. Contrada

Bruno Contrada, vecchio e malato, chiede secondo legge alla magistratura di sorveglianza il differimento della pena per potersi curare o per morire dignitosamente. In termini morali il prigioniero chiede alla coscienza civile dell’Italia, che si batte per l’abolizione della pena di morte in tutto il mondo, di pronunciarsi su una pratica carceraria disumana quando si accanisce su senilità e malattia, una pratica talvolta equivalente all’irrogazione di una pena di morte graduale, lunga, particolarmente dolorosa. A questa domanda rivolta da un uomo che teme di perdere, assieme alla vita, la possibilità di rivendicare il proprio onore e la propria innocenza, si può rispondere in modi diversi. Uno è certamente ripugnante: l’irrisione rivolta con sufficienza e protervia a un uomo in quelle condizioni.
Marco Travaglio ha scritto proprio in questo modo, sostenendo che chi si ammala prima del termine della pena muore in carcere, e tanto peggio per lui, chissenefrega. Ha scritto questo me-ne-frego, degno di un pubblico di lettori che sarebbe anch’esso immondo se non lo coprisse di lettere censorie, su un giornale, l’Unità, che è stato fondato da Antonio Gramsci. Il fondatore di quel giornale, quando le condizioni carcerarie ebbero aggravato in modo irreversibile la sua malattia, venne scarcerato, per ordine di Benito Mussolini, il dittatore che un tempo aveva decretato di non lasciar funzionare più il suo cervello luminoso, in modo che adesso potesse appassire e morire in una clinica privata, da uomo libero. Sul suo giornale trovano ora spazio le immondizie di Travaglio.
Contrada non è Gramsci, e la sua vicenda divide l’opinione pubblica, ma il sadico sbeffeggiatore dei detenuti ammalati è quel che dimostra di essere. Il direttore liberal Antonio Padellaro, o quel delicato grafomane di Furio Colombo, o i nuovi proprietari della famiglia Angelucci, o i parlamentari del gruppo ex Ds che sostengono finanziariamente la testata, leggano quel che è stampato sul loro giornale e ne traggano l’unica conseguenza possibile. Quel che scrive Travaglio rende il giornale di Gramsci una tribuna peggiore dei peggiori fogli del regime fascista e ne oltraggia l’onore. Leggano e decidano se debbano porre fine a questa vergogna o diventarne complici.

Giuliano Ferrara, Il Foglio, 29 dicembre 2007

Thursday, December 27, 2007

Un impressionante dettaglio: l'Anticristo

C’è un personaggio inquietante e apocalittico che Benedetto XVI evoca, a sorpresa, nella recente enciclica “Spe salvi”: l’Anticristo. Per la verità il papa non cita direttamente questo oscuro soggetto che è drammaticamente preannunciato fin dal Nuovo Testamento, ma lo chiama in causa attraverso una citazione di Immanuel Kant che fa una certa impressione rileggere in questi tempi in cui l’Europa sembra in guerra contro la Chiesa, spesso strumentalizzando alcuni gruppi sociali (come gli immigrati musulmani o le donne o gli omosessuali) per sradicare le radici cristiane e per limitare la libertà dei cattolici e della Chiesa. Scriveva Kant: “Se il cristianesimo un giorno dovesse arrivare a non essere più degno di amore (…) allora il pensiero dominante degli uomini dovrebbe diventare quello di un rifiuto e di un’opposizione contro di esso; e l’anticristo (…) inaugurerebbe il suo, pur breve, regime (fondato presumibilmente sulla paura e sull’egoismo). In seguito, però, poiché il cristianesimo, pur essendo stato destinato ad essere la religione universale, di fatto non sarebbe stato aiutato dal destino a diventarlo, potrebbe verificarsi, sotto l’aspetto morale, la fine (perversa) di tutte le cose”.

Il Papa sottolinea proprio questa possibilità apocalittica che viene affacciata da Kant secondo cui l’abbandono del cristianesimo e la guerra al cristianesimo potrebbero portare a una fine non naturale, “perversa”, dell’umanità, a una sorta di autodistruzione planetaria, sia in senso morale che in senso materiale (e un tale orrore, peraltro, è oggi nelle possibilità tecniche dell’umanità). Essendo l’enciclica un testo molto rigoroso e ponderato, è da escludere che Benedetto XVI abbia evocato l’Anticristo e la “fine dell’umanità” a caso.

Il suo pensiero peraltro è del tutto lontano da suggestioni millenaristiche, c’è dunque da credere che se richiama questi temi scorga veramente nel nostro tempo un confronto drammatico e mortale fra Bene e Male. Oltretutto già in un’altra recente occasione è stata evocata e ben meditata, in Vaticano, la figura dell’Anticristo. E’ accaduto quest’anno, il 27 febbraio, negli esercizi spirituali predicati al Papa dal cardinale Biffi (immagino che i temi siano stati concordati): si è meditato proprio sulla profezia dell’Anticristo (vedi “Le cose di lassù”, ed. Cantagalli). Biffi ha citato infatti il “Racconto dell’Anticristo” di Vladimir Solovev scritto nella primavera 1900, come avvertimento al XX secolo che era agli albori. In quelle pagine il personaggio apocalittico veniva eletto “Presidente degli Stati Uniti d’Europa” e poi acclamato imperatore romano.

“Dove l’esposizione di Solovev si dimostra particolarmente originale e sorprendente e merita più approfondita riflessione” spiega Biffi “è nell’attribuzione all’Anticristo delle qualifiche di pacifista, di ecologista, di ecumenista”. Praticamente un campione perfetto del politically correct. Ecco le parole di Solovev: “Il nuovo padrone della terra era anzitutto un filantropo, pieno di compassione, non solo amico degli uomini, ma anche amico degli animali. Personalmente era vegetariano… Era un convinto spiritualista”, credeva nel bene e perfino in Dio, “ma non amava che se stesso”.

In sostanza questa figura – l’antagonista di Gesù Cristo – si presenterebbe, secondo un’antica tradizione, con gli aspetti più seducenti, una contraffazione dei “valori cristiani”, in realtà rovesciati contro Gesù Cristo, quelli che oggi carezzano il senso comune. L’Anticristo di questo racconto infatti tuona: “Popoli della terra! Io vi ho promesso la pace e io ve l’ho data. Il Cristo ha portato la spada, io porterò la pace”. Parole in cui molti sentono echeggiare quell’accusa al cristianesimo (che sarebbe causa di intolleranza e conflitti) oggi tanto diffusa. Tuttavia si sbaglierebbe a ritenere che il Papa stigmatizzi solo e semplicemente l’anticristianesimo dilagante a causa del laicismo, sebbene così aggressivo e pericoloso. C’è molto di più nei suoi pensieri. Proprio Ratzinger, da cardinale, in una memorabile conferenza a New York, il 27 gennaio 1988, davanti a un uditorio ecumenico, soprattutto di teologi, citò lo stesso racconto di Solovev esordendo così: “Nel ‘Racconto dell’Anticristo’ di Vladimir Solovev, il nemico escatologico del Redentore raccomandava se stesso ai credenti, tra le altre cose per il fatto di aver conseguito il dottorato in teologia a Tubinga e di aver scritto un lavoro esegetico che era stato riconosciuto come pionieristico in quel campo. L’Anticristo un famoso esegeta!”.

Questo discorso fu ripetuto dal cardinale anche a Roma, davanti a una platea di teologi cattolici. Molti, in quelle platee, trovarono sicuramente “provocatoria” questa citazione, sia pure espressa con la pacatezza tipica di Ratzinger che esorta tutti, sempre, a riflettere. Essa però esprime la consapevolezza dell’attuale pontefice – e prima di lui di Paolo VI e di Giovanni Paolo II – che il pericolo non viene solo dall’esterno, da una cultura avversa e da forze anticristiane, ma anche dall’interno, da “un pensiero non cattolico” che dilaga nella stessa cristianità, come denunciò con parole drammatiche Paolo VI quando arrivò a parlare del “fumo di Satana” dentro il tempio di Dio.

Che nella Chiesa, specialmente negli ultimi pontefici, sia diffusa la sensazione di vivere tempi apocalittici (non necessariamente “la fine dei tempi”, ma forse i tempi dell’Anticristo) appare evidente da tanti loro pronunciamenti. Inoltre fa riflettere, anche in Vaticano, la gran quantità di “avvertimenti” soprannaturali, che vanno in tal senso, contenuti in “rivelazioni private” a santi e mistici e in apparizioni di quesi decenni: in qualcuna di esse si afferma addirittura che l’Anticristo sarebbe un ecclesiastico di questo tempo (un “pastore idolo” che sconvolgerà la vita della Chiesa), ma è un’immagine che molti interpretano come riferita a un “pensiero non cattolico” dentro la Chiesa, fenomeno che in effetti è ben disastrosamente visibile. Dà un quadro ragionato e illuminante di tutto questo padre Livio Fanzaga nel volume, appena uscito, “Profezie sull’Anticristo” (Sugarco). Un quadro prezioso per comprendere il senso e la preoccupazione di tanti interventi pontifici. Angosciati sia per le sorti della fede che per le sorti dell’umanità.

La particolare attenzione della Santa Sede all’Italia è dovuta al fatto che qui il peso dei cattolici ha dato – come ha sottolineato il Papa stesso - il segnale di una inversione di tendenza rispetto alle devastazioni anticristiane e nichiliste del resto d’Europa. La Chiesa cioè scommette sull’Italia per riportare l’Europa alle sue radici cristiane e alla fede. Per questo allarma fortemente che in questi giorni, nel Palazzo della politica, si tenti di soppiatto – con la connivenza di alcuni cattolici – di reintrodurre un “reato di opinione riferito alla tendenza sessuale” (come lo definisce “Avvenire”) che apre la strada alla “demoralizzazione” del Paese e domani potrebbe fortemente minacciare la stessa libertà della Chiesa di insegnare la sua morale. Oltretutto tale limitazione alla libertà di pensiero e di parola viene pretesa in nome di un’ideologia libertaria, paradosso che fa riflettere amaramente oltretevere, dove questi scricchiolii sono percepiti come pericolosi avvertimenti prima di un possibile crollo.

di Antonio Socci, su Libero dell’8 dicembre 2007

Sullo stesso argomento e dello stesso autore si veda Un mistero che allarma il Papa.

Wednesday, December 19, 2007

Chi prega non è mai solo

Un’amica, ieri sera: «Quando sono tormentata da certi pensieri, faccio di tutto per distrarmi».
Non ho potuto fare a meno di risponderle: «Ma come, anche tu che sei cattolica agisci come gli altri? Quando ti assalgono i brutti ricordi, hai di meglio da fare che distrarti».

Non voglio essere frainteso. Non sono migliore di nessuno e se mi va proprio bene, soggiornerò un bel po’ in purgatorio. Il fatto è che rimango sorpreso ogni volta che scopro la difficoltà di noi credenti nel pregare. Dovrebbe essere invece qualcosa di automatico, un habitus mentale, qualunque sia la circostanza della vita che stiamo vivendo, bella o brutta.
Mia moglie mi ricordava che, soprattutto di fronte ad eventi dolorosi, la tendenza più frequente è quella di fuggire, di rimuovere. È vero. Ma ciò succede perché non ci siamo educati ad imitare Gesù, almeno nella preghiera. Se si ha fede e speranza in Cristo, se si ricorda che Lui ha detto di pregare incessantemente, di prendere la propria croce e di seguirLo, se non sfugge che Lui sarà sempre con noi fino alla fine, dovrebbe venire spontaneo confidarGli tutto. Lui invocava Dio Padre come Abbà, paparino! C’è poi Sua Madre a cui ricorrere. E perché non approfittare di San Giuseppe?

«Nell’antico dolore, così come nel nuovo, amica mia, entraci dando la mano a Gesù. Chiedi a Giuseppe di guidarti nel viaggio. Non cercare distrazioni, affronta i cattivi pensieri. Ogni volta che questi ti assalgono, recita piuttosto una, dieci Ave Maria, un Rosario intero. Prega per te stessa, per te quand’eri piccola, per il tuo dolore di ieri e di oggi, per …».

Monday, December 10, 2007

Uomini come Paul Claudel

Paul Claudel, ormai vecchio e malandato, incontrando gli universitari parigini, disse con la voce che gli restava:
«Io sono un rudere d’uomo, non so parlare più, non ci vedo più, non ci sento più, non cammino più. Però, nonostante la paralisi, riesco ancora a fare una cosa che mi dà l’idea di essere uomo: riesco ancora a mettermi in ginocchio».
(Citato in “E l’eutanasia?”, di Mario Palmaro, in “Piccolo manuale di apologetica 2”, Edizioni Piemme, 2006, pp. 90-91)

È strano! Io posso ancora parlare, vedere, sentire e camminare, ma ho la sensazione che manchi qualcosa. Sarà forse che non ho il cuore per inginocchiarmi e chiederGli un briciolo, solo un briciolo della fede, della speranza e della carità che hanno fatto di Paul Claudel … un uomo!

Monday, December 03, 2007

Scoprii cosa intendono i cristiani per grazia

Ora, dopo trentacinque anni di buddhismo, induismo e taoismo … cominciai a parlare con quel Dio. Gli dissi: «Padre, non credo che tu esista, né credo a quello che è scritto nel Vangelo. Posso credere che Gesù sia un profeta storicamente esistito, ma non che sia il figlio di Dio disceso dal cielo, né che tu ci voglia bene, che tu sia amore e che ci ascolti anche nelle occasioni più trascurabili. Però voglio dirti tutto quello che penso di te, di me e del mondo».
Poi gli raccontai tutta la mia vita, dall’infanzia all’adolescenza, all’età matura, fino a quel giorno. Gli spiegai che non è possibile credere in sciocchezze come l’idea di un Dio persona e che, se lui fosse veramente stato il padre-creatore dell’umanità e del cosmo, il mondo non sarebbe pieno di sofferenza e ingiustizia. Non è possibile che esista un Dio personale, una proiezione di Gesù, che si identificò con un Dio padre.
Gli spiegai che gli umani hanno bisogno di un punto fisso a cui aggrapparsi. «No, non è possibile che l’universo sia veramente nelle tue mani con tutti i cataclismi che si precipitano su questo pianeta e sull’umanità. È impossibile che Cristo abbia dato il potere ai suoi discepoli di alleviare le sofferenze con prodigi e miracoli. Non è vero che gli apostoli fossero in grado di fare cose più grandi di Te…».
Continuai per molte ore a gridargli la mia disperazione per tanta assurdità. Gli esseri umani sono esseri disperati, cercano di aggrapparsi alle religioni, hanno bisogno di intermediari che li assolvano. Sì, Padre, questa è una umanità smarrita nel buio, che viaggia su questa sfera celeste nell’immensità del cosmo. (…)
Da quel giorno ho continuato ad esporre tutto al Padre. Quando mi torna alla mente un trauma della mia infanzia, lo espongo a lui così come lo sto rivivendo. (…)
Scoprii che, nel cristianesimo, la via non è quella che parte dalla frustrazione o negazione di qualcosa, ma solo dal desiderio che le qualità divine della luce di Cristo si incarnino in noi.

L’umiltà è la chiave spirituale. Senza l’umiltà non otterrete lo Spirito e lo Spirito Santo non può convivere con un cuore indurito dall’orgoglio, sia spirituale sia intellettuale. Soltanto l’innocenza ci apre il regno di Dio.
Ma c’è dell’altro. La vera umiltà è un dono dall’alto, perché di natura soprannaturale. L’uomo decaduto, da solo, non la potrà mai realizzare, sarà sempre ingannato dal proprio io. È qui il nocciolo della questione, dove molte tradizioni inciampano.

(Da Mendicante di Luce, di Masterbee)

Antonio Socci sull’enciclica Spe Salvi

“Cosa significa la bellissima enciclica di Benedetto XVI sulla Speranza”
di Antonio Socci,
Libero, 1 dicembre 2007

Una bomba. È la nuova enciclica di Benedetto XVI, “Spe Salvi” dove non c’è neanche una citazione del Concilio (scelta di enorme significato), dove finalmente si torna a parlare dell’Inferno, del Paradiso e del Purgatorio (perfino dell’Anticristo, sia pure in una citazione di Kant), dove si chiamano gli orrori col loro nome (per esempio “comunismo”, parola che al Concilio fu proibito pronunciare e condannare), dove invece di ammiccare ai potenti di questo mondo si riporta la struggente testimonianza dei martiri cristiani, le vittime, dove si spazza via la retorica delle “religioni” affermando che uno solo è il Salvatore, dove si indica Maria come “stella di speranza” e dove si mostra che la fiducia cieca nel (solo) progresso e nella (sola) scienza porta al disastro e alla disperazione.
Benedetto XVI, del Concilio, non cita neanche la “Gaudium et spes”, che pure aveva nel titolo la parola “speranza”, ma spazza via proprio l’equivoco disastrosamente introdotto nel mondo cattolico da questa che fu la principale costituzione conciliare, “La Chiesa nel mondo contemporaneo”. Il Papa invita infatti, al n. 22, a “un’autocritica del cristianesimo moderno”. Specialmente sul concetto di “progresso”. Per dirla con Charles Péguy, “il cristianesimo non è la religione del progresso, ma della salvezza”. Non che il “progresso” sia cosa negativa, tutt’altro e moltissimo esso deve al cristianesimo come dimostrano anche libri recenti (penso a quelli di Rodney Stark, “La vittoria della Ragione” e di Thomas Woods, “Come la Chiesa Cattolica ha costruito la civiltà occidentale”). Il problema è l’“ideologia del progresso”, la sua trasformazione in utopia. Il guaio grave della “Gaudium et spes” e del Concilio fu quello di mutare la virtù teologale della “speranza” nella nozione mondanizzata di “ottimismo”. Due cose radicalmente antitetiche, perché, come scriveva Ratzinger, da cardinale, nel libro “Guardare Cristo”: “lo scopo dell’ottimismo è l’utopia”, mentre la speranza è “un dono che ci è già stato dato e che attendiamo da colui che solo può davvero regalare: da quel Dio che ha già costruito la sua tenda nella storia con Gesù”.
Nella Chiesa del post-Concilio l’“ottimismo” divenne un obbligo e un nuovo superdogma. Il peggior peccato diventò quello di “pessimismo”. A dare il là fu anche l’“ingenuo” discorso di apertura del Concilio fatto da Giovanni XXIII, il quale, nel secolo del più grande macello di cristiani della storia, vedeva rosa e se la prendeva con i cosiddetti “profeti di sventura”: “Nelle attuali condizioni della società umana” disse “essi non sono capaci di vedere altro che rovine e guai; vanno dicendo che i nostri tempi, se si confrontano con i secoli passati, risultano del tutto peggiori; e arrivano fino al punto di comportarsi come se non avessero nulla da imparare dalla storia… A Noi sembra di dover risolutamente dissentire da codesti profeti di sventura, che annunziano sempre il peggio, quasi incombesse la fine del mondo”. Roncalli fu ritenuto, dall’apologetica progressista, depositario di un vero “spirito profetico”, cosa che si negò – per esempio – alla Madonna di Fatima la quale invece, nel 1917, metteva in guardia da orribili sciagure, annunciando la gravità del momento e il pericolo mortale rappresentato dal comunismo in arrivo (dopo tre mesi) in Russia. Si verificò infatti un oceano di orrore e di sangue. Ma 40anni dopo, nel 1962, allegramente – mentre il Vaticano assicurava Mosca che al Concilio non sarebbe stato condannato esplicitamente il comunismo e mentre si “condannavano” a mille vessazioni santi come padre Pio – Giovanni XXIII annunciò pubblicamente che la Chiesa del Concilio preferiva evitare “condanne” perché anche se “non mancano dottrine fallaci… ormai gli uomini da se stessi sembra siano propensi a condannarli”. E infatti di lì a poco si ebbe il massimo dell’espansione comunista nel mondo, non solo con regimi che andavano da Trieste alla Cina e poi Cuba e l’Indocina, ma con l’esplosione del ‘68 nei Paesi occidentali che per decenni furono devastati dalle ideologie dell’odio. Pochi anni dopo la fine del Concilio Paolo VI tirava il tragico bilancio, per la Chiesa, del “profetico” ottimismo roncalliano e conciliare: “Si credeva che dopo il Concilio sarebbe venuta una giornata di sole per la storia della Chiesa. È venuta invece una giornata di nuvole, di tempesta, di buio, di ricerca, di incertezza… L’apertura al mondo è diventata una vera e propria invasione del pensiero secolare nella Chiesa. Siamo stati forse troppo deboli e imprudenti”, “la Chiesa è in un difficile periodo di autodemolizione”, “da qualche parte il fumo di Satana è entrato nel tempio di Dio”. Per questa leale ammissione, lo stesso Paolo VI fu isolato come “pessimista” dall’establishment clericale per il quale la religione dell’ottimismo “faceva dimenticare ogni decadenza e ogni distruzione” (oltre a far dimenticare l’enormità dei pericoli che gravano sull’umanità e dogmi quali il peccato originale e l’esistenza di Satana e dell’inferno).
Ratzinger, nel libro citato, ha parole di fuoco contro questa sostituzione della “speranza” con l’“ottimismo”. Dice che “questo ottimismo metodico veniva prodotto da coloro che desideravano la distruzione della vecchia Chiesa, con il mantello di copertura della riforma”, “il pubblico ottimismo era una specie di tranquillante… allo scopo di creare il clima adatto a disfare possibilmente in pace la Chiesa e acquisire così dominio su di essa”. Ratzinger faceva anche un esempio personale. Quando esplose il caso del suo libro intervista con Vittorio Messori, “Rapporto sulla fede”, dove si illustrava a chiare note la situazione della Chiesa e del mondo, fu accusato di aver fatto “un libro pessimistico. Da qualche parte” scriveva il cardinale “si tentò perfino di vietarne la vendita, perché un’eresia di quest’ordine di grandezza semplicemente non poteva essere tollerata. I detentori del potere d’opinione misero il libro all’indice. La nuova inquisizione fece sentire la sua forza. Venne dimostrato ancora una volta che non esiste peccato peggiore contro lo spirito dell’epoca che il diventare rei di una mancanza di ottimismo”. Oggi Benedetto XVI, con questa enciclica dal pensiero potente (che valorizza per esempio i “francofortesi”), finalmente mette in soffitta il burroso “ottimismo” roncalliano e conciliare, quell’ideologismo facilone e conformista che ha fatto inginocchiare la Chiesa davanti al mondo e l’ha consegnata a una delle più tremende crisi della sua storia. Così la critica implicita non va più solo al post Concilio, alle “cattive interpretazioni” del Concilio, ma anche ad alcune impostazioni del Concilio. Del resto già un teologo del Concilio come fu Henri De Lubac (peraltro citato nell’enciclica) scriveva a proposito della Gaudium et spes: “si parla ancora di concezione cristiana, ma ben poco di fede cristiana. Tutta una corrente, nel momento attuale, cerca di agganciare la Chiesa, per mezzo del Concilio, a una piccola mondanizzazione”. E persino Karl Rahner disse che lo “schema 13”, che sarebbe divenuto la Gaudium et spes, “riduceva la portata soprannaturale del cristianesimo”. Addirittura Rahner!
Ratzinger visse il Concilio: è l’autore del discorso con cui il cardinale Frings demolì il vecchio S. Uffizio che non pochi danni aveva fatto. E oggi il pontificato di Benedetto XVI si sta qualificando come la chiusura della stagione buia che, facendo tesoro delle cose buone del Concilio, ci ridona la bellezza bimillenaria della tradizione della Chiesa. Non a caso nell’enciclica non è citato il Concilio, ma ci sono S. Paolo e Gregorio Nazianzeno, S. Agostino e S. Ambrogio, S. Tommaso e S. Bernardo. Un’enciclica bella, bellissima. Anche poetica, che parla al cuore dell’uomo, alla sua solitudine e ai suoi desideri più profondi. E' consigliabile leggerla e meditarla attentamente.