Tuesday, July 29, 2008

La Unicredit si butta sui sexy shop

Ricevo e diffondo.
Cari amici di FattiSentire.net,
Vi invio per conoscenza e per darne diffusione, se ritenuto opportuno, una copia della lettera che ho appena spedito alla Direzione della Unicredit.
La notizia trova conferma nei seguenti siti d'informazione: http://www.affaritaliani.it/economia/unicredit-sexyshop220708.html;
http://www.ticinonews.ch/articolo.aspx?id=86537&rubrica=22;
http://news.kataweb.it/item/471016/unicredit-si-butta-sui-sexy-shop.
Ho scritto (un po' alla cieca, perché non è facile orientarsi nei meandri del sito Unicreditgroup) questa email contemporaneamente a: azionisti@unicreditgroup.eu - csr@unicreditgroup.eu - communication@unicreditgroup.eu - investorrelations@unicreditgroup.eu . Per conoscenza ho scritto a Famiglia Cristiana, Avvenire, Tempi e Il Timone.
Per parte mia potete procedere con la distribuzione del testo.
Un caro saluto,
Franco Serafini

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Spettabili Signori,
mi chiamo Franco Serafini, sono un normale cittadino italiano, risiedo a Bologna dove faccio il medico, sono un padre di famiglia.
Sono uno dei milioni di vostri clienti in Europa. In famiglia abbiamo un conto corrente (il xxxxxxx), un mutuo per pagare la prima casa e un deposito titoli. Niente di speciale, un cliente e una famiglia come tanti altri.
Leggo sui giornali che la "mia" banca avrebbe comprato il 10% della catena di sexy shop Beate Uhse (Sueddeutsche Zeitung del 22 luglio 2008); evidentemente in tempi difficili per la finanza non bisogna temere investimenti "spregiudicati".
Bene: la stessa "spregiudicatezza" mi riservo di usarla anche io nelle prossime settimane salutandovi e spostando conto corrente, mutuo e deposito titoli in un altro istituto bancario.
Concludo ammettendo realisticamente l'insignificanza di questo mio gesto isolato (infatti mi propongo di pubblicizzarlo nella rete dei media cattolici che leggo o di cui faccio parte).
Non mi ritengo un idealista sprovveduto e so bene che la banca "ideale" non esiste; vorrei solo una banca di cui non vergognarmi troppo.
Franco Serafini, Bologna

Friday, July 25, 2008

Il sacerdote e i sacramenti. Punto.

Dico un’emerita banalità, soprattutto per un cattolico, ma credo di aver afferrato col cuore ciò che prima avevo capito solo con la mente.

Domenica scorsa.
Il giovane sacerdote sollevava l’ostia all’altezza dei suoi occhi, la fissava intensamente per un istante, e poi la distribuiva a ciascun fedele. Lo stesso movimento per tutti coloro che si comunicavano. L’Eucarestia sempre protagonista! Un ministro da una parte, una fila di credenti dall’altra e Lui, al centro, penetrato da quello sguardo. Sembrava che il sacerdote dicesse: “A te, fratello/sorella, che lo chiedi, il cibo di vita eterna”.

Arrivato il suo turno, un giovane si è prima inginocchiato e poi si è avvicinato al sacerdote per prendere l’Eucaristia. Il cerchio si è chiuso in quel momento.

Un ministro di Dio, un sacerdote ha una funzione precipua. Tutto quello che egli fa si racchiude in questo: donare la salvezza eterna agli uomini, distribuendo i sacramenti. Punto.
Un sacerdote potrebbe anche non compiere altro gesto che celebrare la Messa, dare la Comunione, confessare, impartire l’estrema unzione, pregare una vita intera per la salvezza delle anime, e la sua missione sarebbe pienamente compiuta. Addirittura, potrebbe non compiere alcun atto comunemente inteso di amore verso il prossimo. E ciò perché il massimo atto di amore verso il prossimo che un sacerdote può compiere, la carità di cui parla San Paolo, sta proprio nel donare Gesù ai fratelli attraverso il potere che la Chiesa gli conferisce. Gesù salva attraverso i suoi ministri.

Si pensa che il sacerdote sia un assistente sociale e la Chiesa un’agenzia filantropica. Non è così. La Chiesa ha per missione quella di farsi da tramite per avvicinare gli uomini, tutti gli uomini, a Cristo in vista della loro salvezza eterna. Punto.
Se è vero, come è vero, che le chiavi del Paradiso sono in mano alla Chiesa, l’amministrazione dei Sacramenti è tutto per un sacerdote e per la Chiesa. Il resto è buono e giusto, ma è un di più. Il resto, tutto il resto, appartiene sempre e comunque a Dio.

Monday, July 21, 2008

Il senso cristiano della sofferenza: da Orazio Petrosillo a Padre Livio Fanzaga

Ho appena finito di leggere “Aldilà, la vita oltre la morte” (Editore Gribaudi, 2008, € 8, pag. 128), quarto libro-intervista di Andrea Tornielli a Padre Livio Fanzaga, direttore di Radio Maria. Come già anticipato dal titolo, l’intervista si incentra sulle cosiddette ‘cose ultime’ o ‘novissimi’, ovvero morte, paradiso, inferno, purgatorio, resurrezione finale. Lo scopo dichiarato del libro è quello di fornire ai lettori una catechesi in linea con il Magistero della Chiesa cattolica. L’obiettivo, a mio parere, è stato perfettamente raggiunto. La chiarezza di Padre Livio e la sensibilità di Andrea Tornielli nel parlare di argomenti così poco digeribili per la sensibilità comune, anche dei credenti, sono esemplari.
Di seguito, riporto un brano dell’intervista in cui si accenna al valore della sofferenza. Per quanto mi riguarda, il caso citato da Tornielli è stato un pugno nello stomaco. La risposta di Padre Livio è sincera e cristianamente virile. Ritengo di far cosa utile nel segnalare le loro parole.
[Tornielli] Orazio Petrosillo, vaticanista de “Il Messaggero”, un amico, un maestro, che io ho sempre conosciuto con il suo carattere molto scherzoso, un uomo di fede, è stato colpito da una grave emorragia cerebrale mentre seguiva le vacanze del Papa nel 2006 in Val d’Aosta ed è morto l’anno successivo, dopo molte sofferenze. La moglie mi ha raccontato qualcosa che mi ha molto colpito e che non avrei mai immaginato. Orazio aveva chiesto, prima di morire, di poter soffrire ed è stato esaudito perché per un anno ha sofferto un calvario, in ospedale con la tracheotomia …

[Padre Livio] Non avrei avuto il coraggio di fare questa preghiera! È una grazia. Per fare questa richiesta lui ha avuto una grazia, una grazia speciale. Io non avrei mai chiesto una cosa del genere. Senza una grazia non si chiede questo. È stata una cosa soprannaturale. … la sofferenza è una grazia speciale a cui alcuni sono chiamati.
C’è un problema della valorizzazione della sofferenza umana, perché attraverso di essa si salvano le anime. Non è solamente un fatto personale, ma è una forma di apostolato. Cioè i malati, uniti a Cristo in croce, salvano le anime, ottengono grazia di conversione per le anime: … le sofferenze salvano le anime. (…) Mi ha sempre impressionato molto come Padre Pio abbia voluto chiamare il suo ospedale “Casa Sollievo della Sofferenza”. Questo mi colpisce di più dei suoi tanti miracoli, cioè questa sua sensibilità umana, che è poi quella di Gesù verso i malati. Perché Gesù si sentiva colpito dai malati, era colpito dalla loro sofferenza e la alleviava. (…)
Non bisogna pensare che la sofferenza sia causata dal peccato. La sofferenza fa parte della redenzione umana, la vera sofferenza fa parte della carità, del piano di Dio. Comunque la sofferenza la si allevia anche dandole un significato, finalizzandola. Cioè affrontandola per la salvezza delle anime in Cristo risorto.
La sofferenza, allora, finisce per non avere più una valenza negativa, ma acquista una valenza positiva. Quindi si può persino soffrire con gioia. Bisogna offrire la sofferenza a Cristo sofferente per la salvezza delle anime e per la propria purificazione personale, perché se si fa il purgatorio in questa vita, non la si fa più nell’altra vita.

Tuesday, July 15, 2008

Il paradiso senza crocifissi

I socialisti di Zapatero hanno annunciato di voler togliere i crocifissi dagli spazi pubblici. Il caso ha voluto che la notizia uscisse in contemporanea con l’assassinio di Federica, proprio in Spagna, a Llorett de Mar, in un divertimentificio che è il nuovo santuario dello sballo giovanile. Dove la discoteca è – come ha spiegato Vittorino Andreoli – la cattedrale pagana di “un grande rito di trasformazione collettiva” che fa dimenticare la vita e la realtà. Gli ingredienti (anche chimici) di questa “nuova religione” sono noti, con il solito comandamento: “vietato vietare”. La felicità si trova davvero lì? E perché Federica ci ha trovato la morte, macellata come un agnello?

Nessuno ci riflette. Nell’euforica Spagna le autorità sembrano preoccupate soprattutto che il delitto non porti pubblicità negativa alla località turistica. E vai con la tequila bum bum, dimentichiamo la povera Federica e via i crocifissi. Anche noi da tempo li abbiamo tolti dai cuori, oltreché dalla vita pubblica. Anzi, l’immagine del crocifisso o quella della Madonna vengono periodicamente dileggiati da sedicenti artisti in nome della libertà d’espressione. Del resto il Papa stesso subisce questa sorte nelle manifestazioni di piazza della sedicente “Italia dei migliori”. E la fede cattolica viene azzannata, senza alcuna obiettività, in programmi televisivi che, se fossero realizzati contro qualsiasi altra religione, scatenerebbero subito l’accusa di intolleranza o razzismo. Contro Gesù Cristo invece sembra che tutto sia permesso.

Poi, quando ci visita il dolore o si consuma la tragedia o assistiamo all’orrore, gridiamo furenti – col dito accusatore – “dov’è Dio?”, “Perché non ha impedito tutto questo?”. Dopo l’ecatombe dell’ 11 settembre a New York si alzò questo stesso grido e una donna, in tutta semplicità, parlando in televisione rispose così: “per anni abbiamo detto a Dio di uscire dalle nostre scuole, di uscire dal nostro Governo, e di uscire dalle nostre vite. E da gentiluomo che è, credo che Lui sia quietamente uscito. Come possiamo aspettarci che Dio ci dia le Sue benedizioni, e la Sua protezione, se prima esigiamo che ci lasci soli?”.

Continuava ricordando quando si lanciò la crociata perché non si voleva “che si pregasse nelle scuole americane, e gli americani hanno detto OK. Poi qualcun altro ha detto che sarebbe meglio non leggere la Bibbia nelle scuole americane. Quella stessa Bibbia che dice: ‘Non uccidere, non rubare, ama il tuo prossimo come te stesso...’, e gli americani hanno detto OK. Poi, in molti paesi del mondo, qualcuno ha detto: ‘Lasciamo che le nostre figlie abortiscano, se lo vogliono, senza neanche avvisare i propri genitori’. Ed il mondo ha detto OK”.

Si girano film e show televisivi che sommergono le anime di fango. E si fa musica che celebra violenza, suicidio, droga o ammicca al satanismo. E tutti trovano questo normale e dicono che è solo un gioco, com’è normale che, secondo le statistiche, un bimbo italiano, prima di aver terminato le elementari, veda in media in tv 8 mila omicidi e 100 mila atti di violenza, ma per carità togliamo la preghiera dalla scuola ché sarebbe un atto di “violenza psicologica”.

”Ora” proseguiva quella donna americana “ci chiediamo perché i nostri figli non hanno coscienza, perché non sanno distinguere il bene dal male, e perché uccidono così facilmente estranei, compagni di scuola, e loro stessi. Probabilmente perché, com’è stato scritto, ‘l'uomo miete ciò che ha seminato’ (Galati 6:7). Uno studente ha ‘sinceramente’ chiesto: ‘Caro Dio, perché non hai salvato quella bambina che è stata uccisa in una scuola americana?’. Risposta: ‘Caro Studente, a Me non è permesso entrare nelle scuole americane. Sinceramente, Dio’ ”. Tutto questo non è solo americano. Dopo Auschwitz una folla di intellettuali accusò Dio: “Dov’eri? Come hai potuto permettere tutto questo?”. Nessuno ricordava quale fu la prima battaglia fatta dal nazismo appena arrivato al potere: la guerra dei crocifissi. Il nuovo regime pretese di spazzar via da tutte le scuole l’immagine di Gesù crocifisso. Fu uno scontro durissimo e la Chiesa fu praticamente lasciata sola a sostenerlo. Dov’erano gli intellettuali? Poi il nazismo, fra il 1939 e il 1940, spazzò via migliaia di “crocifissi viventi”, una eutanasia di massa per 70 mila disabili e malati mentali: ritennero le loro delle vite indegne di essere vissute e dettero loro “la morte pietosa”, ma anche in quel caso la Chiesa fu lasciata quasi sola perché nei cuori il crocifisso era stato spazzato via dalla pagana e feroce croce uncinata. E così alla fine Hitler scatenò la guerra e la Shoah. Dov’era Dio? Era stato cacciato da tempo. E stava agonizzando nei lager con Massimiliano Kolbe, Edith Stein o Dietrich Bonhoeffer, accanto a una moltitudine di croficissi.

Siamo la generazione che ha visto poi consolidarsi nel mondo il più immane tentativo di strappare Dio dai cuori, imponendo l’ateismo di Stato: l’impero comunista che si è risolto nel più colossale genocidio planetario di uomini e popoli. Tutto questo c’insegna qualcosa? No. Noi siamo la generazione che non impara dalle tragedie del suo tempo. E per questo forse sarà destinata a ripeterle. Non abbiamo forse consegnato la costruzione europea a una tecnocrazia laicista e dispotica che ha voluto strappare le radici cristiane dell’albero europeo? Ed eccoci all’inverno demografico, al declino e all’invasione islamica.

Un grande economista come Giulio Tremonti, nel suo celebre libro, ha affermato che il riscatto è possibile solo con una rinascita spirituale. Ma noi siamo “gli uomini impagliati” di Eliot, con la testa piena di vento e il cuore pieno di solitudine. Abbiamo sputato su Gesù Cristo e sulla Chiesa credendo che questo fosse “libertà”, poi ci troviamo soli o disperati e allora puntiamo il dito accusatore sulla presunta “indifferenza” di Dio. Di quel Dio che non cessa un solo giorno di darci il respiro e di farsi incontro a noi.

Siamo la generazione che non sa più dare senso alla vita, né speranza ai propri figli, che vede addensarsi all’orizzonte nubi cupe di crisi planetarie, di guerre, di carestie, ma non afferra la mano della “Regina della Pace”, presente fra noi per salvarci. Perché si ride del Mistero e del soprannaturale, mentre si va da maghi e astrologi, perché si crede ai giornali e a internet e non al Vangelo, perché si irride chi parla di Satana e dell’Inferno, ma si affollano come non mai sette sataniche o esoteriche, perché si venerano le maschere vuote dei palcoscenici e della tv e si disprezzano i santi, perché si crede che libertà sia poter fare qualunque cosa, anziché essere veramente amati.

Questa stagione iniziò nel ’68, quando si cominciò a sparare sulla religione come “oppio dei popoli”, così oggi l’oppio (o la cocaina) è diventata la religione dei popoli, anche di notai, industriali e deputati. Nietsche tuonò contro il crocifisso perché – scrisse – abolì i sacrifici umani che erano il motore della storia pagana. E infatti oggi, cancellato il crocifisso dai cuori, sono tornati i sacrifici umani. Siamo la generazione che ha assistito tranquillamente in 30 anni allo sterminio – con leggi degli Stati – di un miliardo di piccole vite umane nascenti, il più immane sacrificio umano della storia. La generazione che torna a discettare di vite “indegne di essere vissute”, che pretende di trasformare i più piccoli esseri umani in cavie da laboratorio, che esige – specialmente “in nome della scienza” - che tutto sia permesso. In effetti “se Dio non c’è, tutto è permesso”. Ma con quali conseguenze?

L’abbiamo visto nel recente passato. E siccome non ne traiamo le conseguenze lo vediamo nel presente e ancor più lo vedremo nel futuro. Qualcuno ha osservato: “Strano come sia semplice per le persone cacciare Dio per poi meravigliarsi perché il mondo sta andando all'inferno”.

Antonio Socci

Da “Libero”, 11 luglio 2008

Friday, July 04, 2008

Violenza e solitudine: chiave di lettura

Mi è molto piaciuta questa semplice e diretta chiave di lettura del mondo che ci circonda. L’ho sentita da un signore con i capelli bianchi e lo sguardo sereno. Cito a memoria.
Guardate le persone intorno a voi e ascoltate le loro storie, leggete i libri, seguite i notiziari. Qual è il filo che lega le guerre, gli omicidi, i suicidi e tanta parte dei comportamenti umani e delle loro tragedie? Io credo che si chiami ‘bisogno inappagato di amore’. Tutta la vita è una rincorsa affannosa ad amare ed ad essere amati. Se si riesce a trovare l’amore e a restituirlo, è fatta, altrimenti … I problemi per la stragrande maggioranza degli esseri umani nascono dall’avere una concezione distorta dell’amore, cercato poi nei modi e nei posti sbagliati.

Thursday, July 03, 2008

Dal medico

Stamattina sono passato dal medico di famiglia. Non ci vedevamo da un pezzo. Mi fa: “Buongiorno, come stai?” Gli ho risposto: “Bene”. Poi ci ho pensato un attimo e ho aggiunto: “Bé, a dire il vero, non proprio bene, se sono qui”.

Lo so che è una sciocchezza, ma mi è piaciuto ugualmente appuntarla.