Thursday, January 31, 2008

Madri e figli, esempi e tormenti

Ieri mattina, mentre viaggiavo sul mio solito treno, non ho potuto evitare di ascoltare la chiacchierata fra due donne, entrambe sulla quarantina.
Parlando del suo ex-capo, una fa all’altra: “Guarda, negli ultimi tempi, era proprio distrutto. Ai problemi di lavoro si aggiungeva il comportamento della figlia: lo ossessionava con continui piagnistei e rimproveri. Un giorno lui mi disse che, fra le tante cose, la figlia gli rinfacciava di non essere stato presente a casa quando lei era piccola. Ma, dico io, se questo benedetto uomo lavorava tutto il giorno, era ovvio che avesse poco tempo da dedicare ai figli. Non ti pare?”
L’altra donna ha assentito e poi ha aggiunto: “Anche mio padre stava fuori tutta la giornata. Siamo cinque figli e per mandare avanti la baracca, mio padre era costretto a fare due lavori. Usciva di casa la mattina alle 8 e tornava alle 10 di sera. Ricordo ancora la porta di casa che si apriva e, dal nero del pianerottolo, lui che emergeva. Noi e mamma avevano già cenato, mentre papà era stanco morto. Spesso lui lavorava anche di sabato. Invece di rimproverarlo per essere stato poco con noi quando eravamo bambini, tutti gli siamo grati”.
Mi sono domandato: la figlia che si lamentava del padre parlava solo per se stessa o prestava la voce ad un’altra persona? È possibile che fosse quest’altra persona, più che la figlia, la vera insoddisfatta di quell’uomo che lavorava troppo?
Il dialogo citato mi ha fatto ricordare che un giorno vidi per strada una giovane mamma la quale, insieme al figlio di circa sei anni, aspettava qualcuno dando segni di grande impazienza. Quando passai loro vicino, sentii la madre, inviperita, che istruiva il figlio: “Quando arriva papà digli che è un cretino!” Il piccolo veniva così introdotto nel mondo di Matrix.
Diciamola tutta: una madre - con parole e comportamenti, ma anche con i silenzi – comunica ai figli approvazione o disapprovazione per quanto il marito fa ed è. L’immagine che i figli hanno del padre dipende moltissimo da ciò che la madre insegna loro di lui. Quella immagine molti figli se la portano fin in età adulta, nel bene e nel male e con le relative conseguenze nella loro vita.
La seconda donna sul treno ha giustamente riconosciuto: “Invece di rimproverare (nostro padre) per essere stato poco con noi quando eravamo bambini, tutti gli siamo grati”. Mi sono ovviamente astenuto dal dire: “Cara signora, voi siete grati verso vostro padre perché, prima di voi, grata gli è stata vostra madre!”. Tra me e me, mi sono solo concesso una parola di ringraziamento a quel padre e a quella madre che non conosco.

Friday, January 25, 2008

Un nuovo libro sull’Opus Dei. Tutta la verità.

Il sacerdote ci diceva qualche giorno fa: “Se qualcuno è qui per fare scalate sociali, sappia che rimarrà deluso. L’Opus Dei vi aiuta solo ad incontrare Cristo e a santificare la vita secondo il vostro stato e attraverso il vostro lavoro”.

Segnalo un’importante novità della Lindau, in libreria dal 18 gennaio 2008: OPUS DEI. Tutta la verità, di Patrice De Plunkett.
L’Opus Dei è davvero il «mostro» che tutti dipingono? Una sorta di massoneria cattolica segreta, ultraconservatrice, che governa nell’ombra il Vaticano, una multinazionale del profitto al centro da sempre di spregiudicate operazioni finanziarie?
Patrice de Plunkett, giornalista e scrittore tra i più apprezzati in Francia, ne ripercorre le vicende con un’inchiesta serrata, a partire dalla sua istituzione nel 1928 e dalla figura del suo fondatore, il sacerdote spagnolo Josemaria Escrivá, una figura suggestiva e complessa – fatto santo nel 2002 da Giovanni Paolo II –, smascherando le tante leggende nere e i radicati pregiudizi.
Patrice de Plunkett ha condotto qui un’inchiesta a 360 gradi intorno all’Opus Dei: storia, cronaca, missione, protagonisti, leggende, scandali, anche legati ai misteri italiani, da Calvi allo Ior, alla Loggia P2. Tutto passato al vaglio della documentazione disponibile e soprattutto raccontato senza censure né pregiudizi di sorta. Chi legge ha così il modo di farsi un’idea plausibile di un’istituzione ormai presente in tutto il mondo e che si propone come uno dei centri propulsori più vitali del cattolicesimo moderno. Eppure poche organizzazioni sono oggi sinistramente evocative di mistero, trame oscure e potere come l’Opus Dei. Per questo la sua storia merita attenta considerazione e va letta innanzitutto come una decisa risposta della Chiesa di Roma alle sfide di una società sempre più secolarizzata e ostile.


Per la recensione del libro su Avvenire si veda qui.

Prodi lo aveva detto...

Aumento delle imposte, aumento del costo della politica, mancata crescita economica, mancato sostegno alle famiglie, figuracce a livello internazionale, ecc. ecc. Se è vero che Prodi non ha rispettato in pieno il programma proposto agli Italiani nel 2005, ieri, con la caduta del suo governo, almeno una promessa l’ha mantenuta: ci ha regalato la felicità!!!
Qui un pezzo del duello TV fra Prodi e Berlusconi nel corso della campagna elettorale.

Wednesday, January 23, 2008

Cari laici, allegria, la Chiesa vi salverà

Mi era sfuggito. Lo rendiconto adesso nelle sopravvenienze del 2007... ne vale la pena.

Dilaga e appassiona la diatriba su “Dio e politica”. Ieri (di nuovo) Eugenio Scalfari sulla Repubblica, Barbara Spinelli sulla Stampa, addirittura Sandro Bondi sull’Unità, Piergiorgio Odifreddi sulla Repubblica e il cardinal Bertone dovunque: tutti a cimentarsi con la stessa questione.
Allora vorrei chiedere ai nostri commentatori e ai nostri politici – specialmente a Marco Pannella, ma anche a Eugenio Scalfari – di indovinare chi ha pronunciato le parole che seguono. Sentite che bomba: “Per me non c’è politica che non sia contemporaneamente religione. La politica serve la religione. La politica senza la religione è una trappola per gli esseri umani, perché uccide l’anima. Sono fermamente convinto che oggi l’Europa non stia mettendo in pratica lo spirito di Dio e del cristianesimo, bensì lo spirito di Satana”.
Non si tratta di un prelato, né di un politico cattolico. E’ il Mahatma Gandhi. Sì, proprio quello che i radicali di Pannella hanno trasformato – con incredibile disinvoltura – in loro simbolo.

Era forse anche lui integralista, baciapile e confessionale? Difficile sostenerlo. Gandhi non era cattolico e viveva in un Paese dove i cristiani sono una piccola minoranza. Gandhi inoltre non aveva niente a che fare col fondamentalismo di cui anzi fu vittima (fu ucciso da un fanatico indù). Ma grazie all’incontro con la cultura europea (ovvero la democrazia inglese, “esportata” in India) aveva interiorizzato ciò che il cristianesimo aveva portato nel mondo. Innanzitutto la sacralità della persona umana, di ogni singolo essere umano, di cui nessuno può abusare, che nessuno può violare e uccidere.

Infatti Gandhi sosteneva l’esatto opposto delle idee dei radicali italiani sui temi fondamentali come l’aborto (“mi sembra chiaro come la luce del giorno che l’aborto è un crimine”). A lui era chiaro che non si può sostenere a parole la dottrina della “non violenza” e poi giustificare e teorizzare l’uccisione degli esseri umani più indifesi e innocenti. Così come non si può gridare “Nessuno tocchi Caino” e poi legalizzare la soppressione di milioni e milioni di Abele. Questa era la “religiosità” gandhiana in politica.
Eredità laica perché cristiana: è stato infatti il cristianesimo che ha inventato la laicità dello stato e delle istituzioni umane ponendo loro dei limiti (i diritti della persona umana e i diritti di Dio). Prima di Cristo il potere ha sempre sacralizzato se stesso, imponendo ai popoli sterminati sacrifici umani. In un memorabile discorso alla Sorbona l’allora Cardinale Ratzinger sostenne che il cristianesimo era stato il vero “Illuminismo” che aveva dissolto le tenebre delle superstizioni. Sia le superstizioni delle religioni pagane che sacralizzavano la natura, impedendo fra l’altro all’uomo di conoscerla, dominarla e usarla e spesso sacrificando esseri umani. Sia la sacralizzazione del potere (l’Imperatore, lo Stato e via dicendo).

Certo è accaduto pure che degli uomini di Chiesa in passato abbiano in qualche modo appoggiato eccessivamente certi regimi detti “cattolici”. E hanno sbagliato: non a caso Giovanni Paolo II ha voluto chiedere certi dolorosi “mea culpa” alla cristianità. Così come sarebbe sbagliato oggi che degli ecclesiastici pretendessero di interferire in politica, esorbitando dai propri compiti pastorali (tentazione possibile e da rifiutare). Tuttavia sono proprio queste eccezioni che confermano la regola.

E’ stato il cristianesimo a “desacralizzare” il potere e il mondo. Anzi, per la verità Ratzinger afferma che già il primo libro della Bibbia, la Genesi, è la prima grande desacralizzazione del cosmo perché mostra il sole, la luna e le stelle come opere create (e non divinità) e quindi spalanca all’uomo l’avventura della conoscenza razionale e scientifica.
E’ in questo paradosso che sono sbocciate, nella storia, la democrazia e la libertà. Il paradosso è il seguente: la necessaria laicità è stata partorita storicamente ed è “garantita” da una “religione”. Questa verità ha trovato una conferma clamorosa proprio nel Novecento, quando è accaduto che l’abbandono del cristianesimo, anzi la lotta ad esso, ha permesso l’esplodere di ideologie assolutiste e neopagane, che di nuovo sono tornate tragicamente a divinizzare lo Stato, il Capo, la Razza, il Partito, la Classe e quant’altro (ultimamente la Scienza, o meglio la sua degenerazione scientista, viene presentata come nuova ideologia indiscutibile da adorare).

Ancora Ratzinger ha scritto che quando si rifiuta “la speranza che è nella fede” si rifiuta anche “il senso di misura della ragione politica”. Allora nella politica si proiettano speranza messianiche, palingenetiche e accadono le tragedie che abbiamo visto consumarsi nel Novecento: “Una simile politica, che fa del regno di Dio un prodotto della politica e piega la fede sotto il primato universale della politica è per sua natura politica della schiavitù; è politica mitologica”.
Il cristianesimo è il vero illuminismo che libera da queste mitologie oppressive e disumane: “il primo servizio che la fede fa alla politica” scrive Ratzinger “è la liberazione dell’uomo dall’irrazionalità dei miti politici, che sono il vero rischio del nostro tempo”. Infatti il cristianesimo ha reso possibile quel pensiero liberale autentico – penso a Karl Popper – che rifiuta come pericolosi e tragici le utopie e ogni “perfettismo” indicando proprio l’ “imperfetto” come il terreno vero di lavoro dell’uomo. “Il cristianesimo, in contrasto con le sue deformazioni” scriveva ancora il cardinale Ratzinger “non ha fissato il messianismo nel politico… Ha insegnato l’accettazione dell’imperfetto e l’ha resa possibile”.
Accettare l’imperfetto non significa affatto rassegnarsi a un mondo sbagliato o ingiusto, ma riconoscere che la realtà è “semper reformanda”, scorgere dappertutto miglioramenti da portare, darsi da fare per cambiare continuamente il mondo senza pretendere mai di raggiungere l’ordine perfetto. E’ il rifiuto di ogni fondamentalismo, di ogni massimalismo, di ogni fanatismo (sia religioso che giacobino).

Infatti il cardinale Ratzinger – parlando a deputati della Cdu tedesca - osò teorizzare la profonda moralità del compromesso: “Essere sobri ed attuare ciò che è possibile, e non reclamare con il cuore in fiamme l’impossibile è sempre stato difficile; la voce della ragione non è mai così forte come il grido irrazionale. Il grido che reclama le grandi cose ha la vibrazione del moralismo; limitarsi al possibile sembra invece una rinuncia alla passione morale, sembra il pragmatismo dei meschini. Ma la verità è che la morale politica consiste precisamente nella resistenza alla seduzione delle grandi parole con cui ci si fa gioco dell’umanità dell’uomo e delle sue possibilità”.
Il cardinale concludeva con questa sciabolata: “Non è morale il moralismo dell’avventura, che intende realizzare da sé le cose di Dio. Lo è invece la lealtà che accetta le misure dell’uomo e compie, entro queste misure, l’opera dell’uomo. Non l’assenza di ogni compromesso, ma il compromesso stesso è la vera morale dell’attività politica”.

Questa è la vera scuola della laicità. La voce della Chiesa, la tradizione cristiana, è il miglior antidoto all’insorgere di ogni fanatismo, al risorgere di ideologie totalitarie e di ogni fondamentalismo. Il paradosso di fronte al quale si trova l’Europa e l’Italia è questo: se vogliono restare laiche, cioè regno della libertà e dei diritti umani (di tutti, bambini compresi), hanno bisogno della voce della Chiesa e della tradizione cristiana. Appena la mettono al bando calano le tenebre – come si è visto nel Novecento – e sulla nostra terra si scatenano i dèmoni.

Antonio Socci, su Libero del 31 dicembre 2007

Monday, January 21, 2008

Dalla parte di Risé e Nicolosi su psicologia e omosessualità

Diffondo l’appello di Fattisentire.net, scaturito dalla vicenda che ha coinvolto il professore Tonino Cantelmi, presidente dell'Associazione psichiatri cattolici, e il quotidiano comunista Liberazione.
Sul tema omosessualità, ho detto la mia in altre occasioni (si veda anche qui, qui e qui). Val la pena sostenere adesso questa iniziativa, volta a contrastare le pressioni ideologiche della lobby gay per sconvolgere l’ordine sociale.
Non mi sottraggo a dare il mio piccolo contributo, anche perché non si possono lasciar soli professionisti seri e competenti come (Joseph Nicolosi e) Claudio Risé che non hanno paura di esporsi per aiutare chi ha tendenze omosessuali indesiderate.

Aggiornamento del 26 gennaio. Prima di dare spazio all’analisi pubblicata su Fattisentire.net, richiamo l’attenzione su un brano del commento lasciato nel blog di Claudio Risé da un lettore. Ineccepibile.
"A me pare che si stia vivendo un paradosso. Se un eterosessuale si scopre una tendenza omosessuale, dovrebbe essere incoraggiato a viverla perchè normale, dando per scontato che sia stata repressa dai codici culturali. Se un omosessuale chiede aiuto perchè vive con disagio la sua condizione dovrebbe essere aiutato invece a superare il disagio e viversi normalmente la sua omosessualità".

Ecco l’analisi di Fattisentire. net
Il fronte contro la legge naturale ha incassato due clamorose e brucianti sconfitte: il referendum per l'abrogazione della legge 40 e lo stop dato dal Family Day del 12 maggio 2007 ai DICO del ministro Bindi. Sta cercando una rivincita e ha individuato come prossimi obiettivi l'eutanasia (nella forma politicamente corretta del testamento biologico) e l'introduzione nel nostro ordinamento del reato d'opinione per chi non approva l'omosessualismo.
Il mese scorso è stato inserito un emendamento "contro l'omofobia" nel "pacchetto sicurezza" presentato dal ministro Mastella, poi ritirato; per "rimediare" all'ennesima sconfitta, la norma contro l'omofobia è stata inserita nel progetto di legge contro lo stalking (persecuzione), che ha ottenuto un corridoio preferenziale che non prevede la discussione in aula parlamentare.
In questo contesto, è assolutamente necessario che esista nel nostro paese - che ha parlamentari bisessuali, gay e transgender, un presidente di regione gay - un "allarme-omofobia", che faccia apparire come necessaria e buona una persecuzione penale degli "omofobi".
E' capitata a fagiolo, quindi, l'inchiesta di un giornalista dell'organo del Partito della Rifondazione Comunista, Liberazione, che ha "scoperto" l'esistenza di professionisti che prestano sostegno a persone con attrazioni omosessuali indesiderate, che in termini tecnici viene definito "terapia riparativa". Niente di violento, prevaricatore, impositivo: semplice accoglimento di un disagio e ascolto della sofferenza che spontaneamente il giornalista ha presentato. Il metodo usato, però, è significativo: il giornalista si è finto omosessuale, ha mentito a chi lo ha accolto e si è fatto carico del suo (finto) disagio. Secondo il giornalista, l'infiltrazione è stata necessaria perché questi pericolosi professionisti agiscono nell'ombra, detto in altri termini: non vogliono cambiare o convertire nessuno, non fanno battaglie, non cercano clamore, chi si rivolge a loro deve essere ben motivato e non è possibile, quindi, che subisca un trattamento indesiderato o che non condivide. A meno che non finga, come il giornalista di Liberazione.
L'infiltrazione come strumento per scoprire ciò che non è occulto non è una novità: nel 2005 Stefano Bolognini, giornalista e pubblicista gay, collaboratore dell'onorevole Grillini, aveva usato lo stesso stratagemma per "scoprire" una realtà talmente nascosta da avere un sito internet, un fascicolo sull'omosessualità pubblicato dalla San Paolo e una serie di incontri mensili di accompagnamento pastorale e umano per persone che soffrono a causa del loro orientamento sessuale. Il clamore della notizie, si sa, non dipende però dai contenuti (anche in questo caso molto poveri) della notizia, ma dall'eco che ne danno i media e dalle conseguenze. L'inchiesta di Bolognini provocò, oltre alla persecuzione dei volontari di cui sopra, una interrogazione parlamentare dell'onorevole Grillini volta a vietare ogni tipo di sostegno alle persone omosessuali non conforme ai canoni dell'omosessualismo.
L'inchiesta di Liberazione – che, come abbiamo visto, capita in un momento politico diverso e più delicato – ha avuto però ben altre conseguenze. A fianco dell'inchiesta il giornale ha ospitato l'intervento del presidente nazionale della maggiore organizzazione omosessualista italiana che chiedeva all'ordine degli psicologi di prendere posizione contro l'ascolto terapeutico di persone con tendenze omosessuali indesiderate; questa richiesta ha avuto l'avvallo di alcune organizzazioni professionali legate ideologicamente orientate. L'esito è stato un lettera del presidente dell'Ordine Nazionale degli Psicologi – immediatamente ripresa dall'Ordine degli Psicologi del Lazio, che ha chiesto un documento ufficiale sulla questione - che, rifacendosi al Codice Deontologico degli Psicologi Italiani, ha concluso il suo intervento con queste parole: "E’ evidente quindi che lo psicologo non può prestarsi ad alcuna "terapia riparativa" dell’orientamento sessuale di una persona".
Il Codice Deontologico degli Psicologi Italiani, all'articolo 4, dice testualmente: "Nell’esercizio della professione, lo psicologo rispetta la dignità, il diritto alla riservatezza, all’autodeterminazione ed all’autonomia di coloro che si avvalgono delle sue prestazioni; ne rispetta opinioni e credenze, astenendosi dall’imporre il suo sistema di valori; non opera discriminazioni in base a religione, etnìa, nazionalità, estrazione sociale, stato socioeconomico, sesso di appartenenza, orientamento sessuale, disabilità".
Il Presidente dell'Ordine degli psicologi scrive che lo psicologo "non deroga mai" all'art. 4 del Codice, e quindi "non può prestarsi ad alcuna "terapia riparativa" dell’orientamento sessuale". La cosa potrebbe essere motivata solo nel caso in cui gay (cioè persone con tendenze omosessuali accettate e considerate in modo positivo) fossero sottoposti a terapie riparative coatte senza il loro consenso, cosa impossibile e che non è avvenuta nemmeno nel caso del giornalista di Liberazione; in tutti gli altri casi è assolutamente contraddittoria. Tre esempi:
a) "il diritto all'autodeterminazione e all'autonomia di coloro che si avvalgono" delle prestazioni di uno psicologo o di uno psicoterapeuta vale solo per chi prova una omosessualità egosintonica? Chi prova una omosessualità egodistonica (cioè indesiderata) non ha questo diritto? Non può cioè scegliere il terapeuta, il suo orientamento clinico, tipo di terapia?
b) Se un cattolico ha tendenze omosessuali e si rivolge ad un terapeuta perché queste ultime gli causano disagio, lo psicologo può derogare al rispetto di "opinioni e credenze, astenendosi dall’imporre il suo sistema di valori" imponendogli di accettare come buona l'omosessualità? Può operare "discriminazioni in base alla religione o all'orientamento sessuale del paziente", non rispettando, cioè, la sua fede religiosa solo perché ha un orientamento omosessuale?
c) Se una persona si reca da un terapeuta a causa di bassa autostima, difficoltà di relazione con gli individui dello stesso sesso, una immagine di sé distorta, distimia, il terapeuta può rifiutare il trattamento nel caso in cui questa abbia tendenze omosessuali indesiderate (cioè operando una discriminazione in base all'orientamento sessuale) o può adoperarsi per il superamento del disagio, anche se la terapia avesse come effetto collaterale un cambiamento, una diminuzione o una scomparsa delle tendenze omosessuali indesiderate (dopo averne, ovviamente, debitamente informato il paziente)?
E' evidente, e il contesto in cui è stata fatta lo dimostra, che si tratta di una presa di posizione ideologica, che limita la libertà, senza alcun legame con la realtà dei fatti. Che paese è il nostro, in cui gli psicologi non fanno riferimento alla scienza, ma alla politica e all'ideologia? In cui si vuole vietare un tipo di terapia praticata con successo in tutto il mondo? In cui si permette ad un gruppo di attivisti, che propagandano una ideologia contraria alla ragione e al bene comune, di vietare a dei professionisti della salute mentale di prendere in carico la sofferenza dei loro pazienti? In cui si stabilisce arbitrariamente, per legge, che non esiste una sofferenza legata alle tendenze omosessuali, che non esistono terapie efficaci, né persone che hanno tendenze omosessuali e non si adeguano allo stile di vita gay? Evidentemente, un paese in preda all'irrazionalità e ad un passo dalla dittatura ideologica.
Oltre a ciò, è triste constatare il sempre più evidente declino intellettuale del mondo scientifico, dimentico del suo compito di descrivere la realtà e impegnato nell'inventare una realtà sempre più simile all'utopia politicamente corretta. Facilmente riscontrabile, visto che le prese di posizione del mondo cosiddetto "scientifico" sempre più spesso non sono basate su dati di fatto incontrovertibili, ma su vere e propria menzogne. Non è un fenomeno solo italiano, e non riguarda solo l'evoluzionismo, l'ecologismo ed altri esempi di junk science, scienza spazzatura, ma anche il campo della salute mentale. La deriva ideologica dell'American Psychiatric Association è testimoniata dal libro di due ex dirigenti della stessa associazione (il secondo addirittura presidente emerito): Rogers H. Wright, Nicholas A. Cummings, Desctructive Trends in Mental Health. The Well-Intentioned Path to Harm (Routledge, New York 2005). Questa deriva è stata sottolineata anche dal nuovo presidente dell'APA, Alan Kazdin, che ha più volte sottolineato il principio del suo mandato, riassumibile con la posizione secondo la quale l'APA prenderà posizione o emetterà risoluzioni solamente su questioni riguardanti posizioni esclusivamente scientifiche e sulle quali c'è una adeguata esperienza clinica. Ovverosia, basta ideologia e political correctness, solo scienza.
Un bell'esempio per l'Ordine degli Psicologi Italiani.

Imparando da Dostoevskij e dal cardinal Martini

Non siate superbi con i piccoli, non siate superbi nemmeno con i grandi. Non odiate chi vi respinge e disonora, chi vi ingiuria e calunnia. Non odiate gli atei, né i cattivi maestri e i materialisti, neppure i malvagi fra loro – per non parlare dei buoni giacché ve ne sono molti di buoni, specialmente ai nostri tempi. Ricordateli così nella vostra preghiera: “Salva, o Signore, tutti coloro per i quali nessuno prega, salva anche quelli che non ti vogliono pregare”. E aggiungete anche: “non per orgoglio ti prego, o Signore, perché anch’io sono un vile peggio di tutto e di tutti…”.

Ragazzo, non scordare la preghiera. [...] Rammenta di ripetere dentro di te, ogni giorno, anzi ogni volta che puoi: “Signore, abbi pietà di tutti coloro che oggi sono comparsi dinanzi a te”. Poiché a ogni ora, a ogni istante, migliaia di uomini abbandonano la loro vita su questa Terra e le loro anime si presentano al cospetto del Signore e quanti di loro lasciano la Terra in solitudine, senza che lo si venga a sapere, perché nessuno li piange né sa neppure se abbiano mai vissuto. Ma ecco che forse, dall’estremo opposto della Terra, si leva allora la tua preghiera al Signore per l’anima di questo morente, benché tu non lo conosca affatto né lui abbia conosciuto te. Come si commuoverà la sua anima, quando comparirà timorosa dinanzi al Signore, nel sentire in quell’istante che vi è qualcuno che prega anche per lei, che sulla Terra è rimasto un essere umano che ama pure lei. E lo sguardo di Dio sarà più benevolo verso entrambi, poiché se tu hai avuto tanta pietà di quell’uomo, quanta più ne avrà Lui, che ha infinitamente più misericordia e più amore di te. Egli perdonerà grazie a te.

Chi parla così è lo staretz Zosima, uno dei protagonisti de I fratelli Karamazov di Dostoevskij.
Ho trovato queste citazioni in un articolo molto interessante, comparso ieri su Avvenire, del cardinale Carlo Maria Martini. Consiglio a cattolici e non di dargli un’occhiata nel sito del quotidiano. È un’ottima opportunità per comprendere il significato della preghiera cristiana di “intercessione”.
In altre occasioni, non ho condiviso alcune idee del cardinale. Questa volta, non posso che ringraziarlo. Quando parla il cuore, si tace e si ascolta.

Sunday, January 20, 2008

Libera espressione in libera Chiesa

Questa è una domenica speciale, perché la testimonianza di fede verso nostro Signore si accompagna ad una particolare manifestazione di affetto per il Papa, custode in terra della Parola di Dio.
È pronta la risposta dei fedeli all’invito del Vicariato di Roma di partecipare all’Angelus di oggi come gesto di solidarietà a Benedetto XVI, dopo l’annullamento della Sua visita alla Sapienza. Per tutti coloro che non possono essere presenti in piazza San Pietro, ma vogliono comunque esprimere la propria vicinanza al Pontefice, caselle di posta elettronica e numeri di fax sono stati messi a disposizione da associazioni di vario tipo, cattoliche e non.
Aderisco all’invito di Mons. Ruini e riporto nel blog di etendard, che gentilmente mi ospita, il messaggio che ho inviato al Forum delle associazioni familiari (manifestazione@forumfamiglie.org) in difesa della libertà di espressione di tutti... specialmente di chi ha veramente qualcosa da dire.
Santo Padre,

La mia famiglia desidera esprimerLe affettuosa solidarietà a fronte dell’episodio di superbia e intolleranza di cui è stato vittima. Oggi, noi tutti vorremmo essere a San Pietro come atto di riparazione per quei docenti e contestatori che sono stati vinti dal mondo.
I falsi “sapienti” non l’hanno accolta, perché non vogliono o non sanno tributare il giusto riconoscimento alla Sua testimonianza, che è per noi guida preziosa e luce nel cammino di fede; il cuore degli umili è sempre pronto a dare ospitalità al più grande fra i servi di Dio.

Saturday, January 19, 2008

Domani in piazza per il Papa. Ecco dieci motivi per andarci tutti

Ecco dieci motivi per essere domani all'Angelus del Papa in piazza San Pietro. Si avverte che alcune ragioni possono essere molto personali, altre funzionano per atei, alcune persino per gaudenti. Talune molto nobili, tal'altre meno. Ciascuno trovi la sua: e ci si vede lì, meglio prima delle undici per sistemarsi vicini, con Feltri.

1) Riparazione di un torto.

Mettendo Benedetto XVI nelle condizioni di non potersi esprimere gli si è negato un diritto dell'uomo, stante che il Papa è un uomo e non un pastore tedesco. L'offesa ha precisi autori diretti (chi lo ha accusato di aver ri-condannato Galileo) e indiretti (le autorità politiche del nostro Stato che non hanno tutelato il Pontefice). Ci piacciano oppure no, costoro sono parte eminente e/o deficiente della nostra comunità nazionale. Occorre un atto di pubblica ammenda. Invitiamo a mescolarsi tra noi anche il presidente Giorgio Napolitano: in certi casi non è il caso prevalga la diplomazia e i suoi aperitivi, ma il sentimento popolare cui un capo dello Stato deve fornire sostegno semplice e forte.

2) Affetto e riconoscenza.

Come si fa a non voler bene a questo Papa? In tempi di invasione islamica e di paure d'ogni genere ripropone con la sua persona e il suo insegnamento il cristianesimo nella semplicità della tradizione.

3) Identità dell'Occidente.

Come ci ha insegnato Oriana Fallaci la nostra civiltà, fondata sulla libertà dell'indi viduo ed insieme sulla responsabilità verso la libertà e il benessere del prossimo, è figlia del cristianesimo; in Italia, in particolare del cattolicesimo. Anche chi si professa ateo o agnostico è impastato dei valori e dei sentimenti che arrivano da una storia millenaria segnata dal crocefisso.

4) La ragione contro il rimbambimento.

Il nostro amico Marco Pannella ha snocciolato delle cifre per dieci minuti a Porta a Porta. Tesi: il Papa è sempre in televisione, se da qualche parte non lo fanno parlare amen, che sarà mai. È come quelli che non facevano entrare gli ebrei o i negri nel loro bar: e allora per ore e ore elencavano i locali, le strade, i parchi per ebrei e negri, i tram dove potevano avere accesso, molti di più di quelli riservati agli ariani. Una logica da scienziato pazzo. Per i liberali di solito la libertà è indivisibile. Censurare una pagina di un libro di mille pagine resta censura: quella era la mia pagina, amico, lì dentro ci sono io, tutto io; se mi amputi un braccio non ti ringrazio perché poi mi restano tre arti e forse potevi tagliarmi la testa. La Stampa di Torino ieri invece si è messa sulla stessa lunghezza d'onda: Ratzinger si vede più in televisione di Napolitano e di Pannella! Mamma mia.

5) Ripicca.

Non è un gran sentimento, ma dà le sue soddisfazioni. Secondo i padroni sempiterni delle piazze, andare al colonnato del Bernini in San Pietro significherebbe rialzare gli "storici steccati" tra cattolici e laici. Vorrebbe dire mescolare religione e politica, cercando la prova di forza contro i non credenti. Che panzane. Qui la prova di forza, anzi di mitezza, è per distinguersi dalla teppa più o meno accademica. Chi ha fatto scempio della libertà di espressione non era "laico", ma apparteneva alla famiglia dei cretini. Poco male se uno è cretino per conto suo, ma quando fa valere questa sua qualità per imbavagliare la gente, si eleva a cretino intollerante. E - anche se poco caritatevole - uno storico steccato per impedire agli asini violenti di scalciare gli altri è legittima difesa della democrazia.

6) Orgoglio ateo
.

Feltri si è dimesso per un giorno da ateo. Altri come lui, recandosi sotto la finestra del Palazzo Apostolico, impediranno le velleità di chi vorrà pesare la gente convenuta come massa per un "partito cattolico". Non c'entra, guai a chi farà questa conta un po' simoniaca. Si può stimare e manifestare affetto al Papa anche senza trasformarsi in gente pia. Non è una manifestazione di cattolici, ma semplicemente cattolica, che vuol dire universale.

7) Unità.

Chi ha già esperienza di incontri intorno a un Papa lo potrà testimoniare. Si crea un clima intorno a quel puntolino bianco dove non esiste la tensione nevrastenica della folla senza volto, capace di ogni ribalderia. Ma ciascuno è misteriosamente se stesso eppure unito. Non ci si raduna per fare volume e ribaltare questo o quel governo o regime. Semplicemente ci si porta dietro il fardello di desideri e speranze, di dolori e angosce: è inevitabile, non si sa perché, ma accade così a tutti. Più modestamente: è uno dei pochi posti dove si può portare la famiglia senza paura di petardi o cazzotti, senza necessità di sorbirsi slogan da galera.

8) Godurie.

Roma vale sempre un viaggio, specie la domenica mattina ha uno speciale incanto. Andare dal Papa e all'Angelus non implica particolari digiuni. Ci si può caricare di energia forse mistica, certo foriera di buon umore, con un cappuccino e un paio di maritozzi alla panna. Questo prima. Poscia ci sono trattorie mica male. Se volete rovinare il pranzo a Giuliano Ferrara andate a salutarlo alla "Campana", nel vicolo omonimo. Cossiga invece va al buffet dell'Hotel de Russie, vicino a piazza del Popolo.

9) Joseph Ratzinger.

Lui, le parole che dice, il modo come spiega il Vangelo, con la chiarezza del parroco di montagna e la finezza di un cherubino, valgono il viaggio, ritemprano la mente stanca e il cuore desolato di credenti peccatori e di atei incorruttibili.

10) L'Angelus in sé.

È una preghiera bellissima. È l'essenza del cristianesimo: ricorda cioè tempo, luogo e contemporaneità di Gesù che si incarna nel ventre della Madonna. Prima ci sono le campane, il loro concerto che rallegra. Poi la benedizione. E magari ci sarà pure qualche miracolo. E non è affatto irrazionale sperarlo: in fondo la suprema categoria della ragione è la possibilità. A Roma, a Roma.

RENATO FARINA
© Copyright Libero, 19 gennaio 2008

(Ringrazio Raffaella di Papa Ratzinger blog per aver segnalato quest'articolo)

Wednesday, January 16, 2008

Santo Padre, se hanno rifiutato Lui…

Giorni fa, qualcuno mi rammentava che il Dio rivelatoci da Gesù è un Padre prodigo (per inciso, è tale il padre della famosa parabola, non il figlio). È un Dio, il nostro, con una particolare predilezione per le pecorelle smarrite. È sempre impaziente di andarle a recuperare, bontà sua. Queste caratteristiche di Dio mi hanno talvolta messo in difficoltà. Oggi è così. “Ma come”, vorrei dirGli, “ti sei fatto crocifiggere anche per coloro che ti offendono, ti calunniano, ti scherniscono? Ami pure costoro e li aspetti fino alla fine?”.
Lo so, ci sono comportamenti ben peggiori di quelli messi in campo contro il Papa in queste ultime ore, ma l’intenzione ha il suo peso. È poi inutile nascondere che il compatimento per i 67 professori della Sapienza e per gli studenti-marionette dei centri sociali si associa in me a tanta rabbia.
Giorni fa, leggevo che uno dei modi con cui il diavolo cercò di dissuadere Gesù dal vivere la sua Passione fu probabilmente racchiuso in questa domanda: “Ma gli uomini meritano il tuo sacrificio?” Si comprende facilmente che questa era una potente tentazione. Potentissima. Pur conoscendo l’ingratitudine e la miseria dell’uomo, Lui invece andò avanti fino in fondo. Per Amore.
Sto esagerando, è vero, la sto facendo troppo drammatica per quattro povere anime che attaccano il Vicario di Cristo, ma, lo dicevo prima, la rabbia esige oggi un tributo, laddove dovrebbe esserci solo la pietas.
Benedetto XVI non ha certo bisogno del mio affetto e della mia solidarietà. Stamattina lo scrivevo comunque ad un amico: dobbiamo sempre ricordare che “un servo non è più grande del suo padrone”. Santo Padre, non si curi della miseria di certi uomini, hanno già fatto tutto il male possibile a Qualcun’altro ben più grande di lei. E ne è uscito vincitore.

Tuesday, January 15, 2008

Sì, il processo a Galilei fu giusto

C’è tanto materiale a disposizione per comprendere cosa fu realmente il caso Galilei. Da parte mia, suggerisco le pagine che Vittorio Messori vi ha dedicato in Pensare la storia, SugarCo, Milano, 2006. Quelle pagine sono disponibili qui, qui e qui, nella precedente edizione del libro per i tipi della San Paolo.

Come tutti, mi sono formato anch’io in una scuola e in un’università dove si insegnano una sfilza di “leggende nere” sulla Chiesa cattolica. È ora di dire le cose come sono! A questo proposito, non fa male ricordare le parole di Leo Moulin, medievista francese:
«Date retta a me, vecchio incredulo che se ne intende: il capolavoro della propaganda anti-cristiana è l’essere riusciti a creare nei cristiani, nei cattolici soprattutto, una cattiva coscienza; a instillarli l’imbarazzo, quando non la vergogna, per la loro storia. A furia di insistere, dalla riforma sino ad oggi, ce l’hanno fatta a convincervi di essere i responsabili di tutti o quasi i mali del mondo. Vi hanno paralizzato nell’autocritica masochista, per neutralizzare la critica di ciò che ha preso il vostro posto. Da tutti vi siete lasciati presentare il conto, spesso truccato, senza quasi discutere. Non c’è problema o errore o sofferenza nella storia che non vi siano stati addebitati. E voi, così spesso ignoranti del vostro passato, avete finito per crederci, magari per dar loro man forte. Invece io (agnostico, ma storico che cerca di essere oggettivo) vi dico che dovete reagire, in nome della verità. Spesso, infatti, non è vero. E se qualcosa di vero c’è, è anche vero che, in un bilancio di venti secoli di cristianesimo, le luci prevalgono di gran lunga sulle ombre. Ma poi: perché non chiedere a vostra volta il conto a chi lo presenta a voi? Sono forse stati migliori i risultati di ciò che è venuto dopo? Da quali pulpiti ascoltate, contriti, certe prediche?»

Riporto di seguito l’Antidoto di Rino Cammilleri pubblicato oggi.
Il papa, invitato a tenere una Lezione all’università La Sapienza di Roma, è stato respinto al mittente da una levata di scudi di 63 (o 67?) professori di quell’ateneo, i quali hanno inalberato il solito Galileo e riesumato la consueta paccottiglia scientista.

Anche chi ha difeso il diritto del papa di parlare, come il filosofo Zecchi («Il Giornale» 14 gennaio 2008) non ha saputo trovare di meglio che perle come questa: il cardinale Bellarmino si sarebbe rifiutato di guardare nel telescopio di Galileo. Ora, a parte il fatto che s. Roberto Bellarmino è Dottore della Chiesa (scusate se è poco) e insegnava astronomia a Lovanio, e che a rifiutarsi di guardare nel cannocchiale erano i colleghi laici di Galileo (quest’ultimo li chiamava sprezzantemente «la piccionaia» dal nome del loro leader, Ludovico Delle Colombe), la moderna epistemologia dice che in quel processo aveva ragione la Chiesa e torto Galileo, perché non era la Chiesa a metter bocca nella scienza ma Galileo a voler fare il teologo.

Il punto è che l’università è un’invenzione della Chiesa che nel XIX secolo i massoni scipparono, facendosela a loro volta scippare dai comunisti nel XX, quando, col Sessantotto, i «baroni» vennero sostituiti da tribuni della plebe che salirono in cattedra a bastonate e «18 politico», nonché «esami collettivi». Ancora oggi, comunque, per un posto «accademico» c’è chi accoltellerebbe la mamma, dato l’ottimo stipendio e il quasi non-obbligo di tenere lezioni.

La casta si autoinveste di infallibilità, spregiando come «non scientifico» ogni scritto che non disponga di migliaia di note a piè pagina e altrettanti titoli di bibliografia, anche se lo scritto in questione consta di tre righe. Sono esperti di Storia della Filatelia nella Prima Metà del XIX Secolo e di Fenomenologia della Comunicazione Tribale nei Paesi Afro-Asiatici quelli che danno la laurea honoris causa a Vasco e/o Valentino Rossi ma non vogliono che il massimo teologo del mondo metta piede in posti pomposamente chiamati La Sapienza. E’ vero, non si può fare di ogni erba un fascio; ma forse sì di ogni squadra & compasso e di ogni falce & martello.

Un’ultima cosa: la pretesa di assoluta autonomia da parte della scienza, inaugurata con Galileo, conduce dritto alla bomba atomica e agli odierni embrioni-chimera. Neanche Galileo ci starebbe (v. il mio «Il caso Galileo», Quaderni del Timone: info@iltimone.org).

Saturday, January 12, 2008

In Italia: "tuttaposto"

Al direttore - Finalmente, dopo tanto patire, l’Italia è calma e serena. Il problema dei rifiuti, dopo la geniale idea dell’obbligo di depositare il proprio sacco di immondizia dal proprio vicino, è ormai sotto controllo. La sicurezza non è più privata ma pubblica quindi controllata dalla nuova istituzione detta appunto “Pubblica sicurezza”. Il costo della vita diminuirà vistosamente dopo l’applicazione della formula magica che dice: “Tutto diminuirà del venti per cento”. Tutto: prodotti, costi e stipendi. Il nuovo slogan che descrive l’Italia è ormai inequivocabile: “Tuttaposto”.

Gianni Boncompagni, su Il Foglio del 12 gennaio.

Friday, January 11, 2008

Il segreto dell'Europa

A febbraio è prevista l’uscita de Il segreto dell'Europa. Guida alla riscoperta delle radici cristiane, di Massimo Introvigne. Riporto l’indice del libro. Se tanto mi dà tanto!

Indice
Introduzione
1. L’Europa «sembra volersi congedare dalla storia»
C’è una crisi dell’Europa?
L’«apostasia da se stessa»
La separazione fra la morale e le leggi
Il suicidio demografico

Lettura. La malattia dell’Occidente. L’11 settembre e le teorie del complotto

Le teorie del complotto e il Truth Movement
«L’Ombra delle Torri»: le questioni tecniche
«Le altissime torri»: le questioni politiche

2. Le cause della crisi dell’Europa
Tutto cominciò a Verdun
Ragione e valori universali
In difesa della sana laicità

Lettura. Esalen: splendore e miseria del multiculturalismo

3. Europa: malattia o funerale?
Eppure non è un funerale
L’«eccezione italiana»
Segni di contraddizione?
Ricette per il malato Europa

Lettura. Il disegno sociologico intelligente di Rodney Stark

4. Ritorno a Roma
La fede cattolica è una «religione del Libro»?
Del carattere unico del cristianesimo secondo Joseph Ratzinger
Incontrare Gesù nel magistero
«Movimenti» e «agenzie» nella Chiesa

Letture. I – Il Vangelo di Giuda: «patacca» o scoperta? II – Morton Smith e la truffa del Vangelo Segreto di Marco

5. Da Ratisbona una luce sulla storia
Un giudizio cattolico sulla storia
Prima rivoluzione: il fideismo protestante e l’assolutismo
Seconda rivoluzione: l’illuminismo francese e la Rivoluzione del 1789

Letture. I – L’uomo che non amava l’Occidente. II – Bat Ye’or e l’idea di Eurabia. III – La religione come antidoto al totalitarismo: leggere Michael Burleigh

6. L’epoca della morte e del disonore
Equilibri che si rompono
La terza rivoluzione: il comunismo
Quarta rivoluzione: il relativismo libertario
Il rifiuto dell’Occidente

Letture. I – La Birmania? Chiamiamolo comunismo. II – Quando i comunisti mangiavano (per davvero) i bambini

7. La memoria e la speranza
Fare memoria della storia
La Contro-Riforma
La resistenza all’illuminismo laicista
La resistenza al comunismo e al radicalismo libertario
Due ermeneutiche del Concilio Vaticano II
Un Motu Proprio val bene una Messa

Lettura. I cristeros: fu davvero guerra di religione

8. Il magistero e la politica
È giusto interessarsi di politica?
La priorità dei «valori non negoziabili»
Democrazia e valori non negoziabili
La politica della vita eterna

Lettura. Il montanaro che scalò la Cina

La conversione di Giuliano Ferrara

La “conversione” di Giuliano Ferrara – che poi, almeno per ora, non risulta essersi convertito – sta suscitando più allarme di quella di Tony Blair o di quella – pur clamorosa – dell’erede di Bertrand Russel, Antony Flew o di quella – su cui i giornali benpensanti sorvolano – di Roberto Benigni. Perché Giuliano si sta divertendo, in questi giorni, a terremotare con baldanzosa pietà la morta gora dell’avvizzita cultura laica. Li strapazza sulla loro macroscopica e tragica contraddizione: l’aborto. Dove è affondato l’umanesimo. Una cultura nata sull’esaltazione dell’uomo e dei diritti umani, che ultimamente ha ottenuto la moratoria dell’Onu sulle esecuzioni capitali, come può cacciarsi – argomenta il Nostro - nell’abisso dell’aborto di massa, teorizzato e legalizzato, uno strazio di vite innocenti (un miliardo negli ultimi 30 anni) che non ha eguali nella storia? Come si può gridare che nessuno tocchi Caino, legalizzando invece l’eliminazione di tanti Abele? E come si può continuare a ignorare e tacere?

Il digiuno natalizio di Ferrara – che chiede provocatoriamente una moratoria sull’aborto - è un masso sulla palude dell’ipocrisia postkantiana. Mentre la regnante polizia del pensiero vieta perfino la parola aborto (si inventa l’eufemismo ivg, interruzione volontaria della gravidanza). E chi osa discuterne viene “linciato”. A meno che non sia uno come Giuliano Ferrara.
Il “caso Ferrara” è una delle più straordinarie vicende spirituali (quindi politiche e culturali) dell’ultimo mezzo secolo in Italia. Tutti – perfino i suoi nemici – s’inchinano alla guizzante intelligenza dell’uomo. Chi ha la fortuna frequentarlo conosce anche, di Giuliano, le immense doti umane. E’ come un cavaliere medievale. Un animo nobile, generoso e intimamente umile. Che uno così sia anche un grande intellettuale è quasi incredibile. Ma Ferrara, gigante in un teatro di nani, è un caso a sé per molti altri motivi. Solo lui potrebbe tranquillamente – da domattina – fare il direttore del Corriere della sera o tenere un popolare show televisivo o fare il ministro o scrivere un saggio filosofico. Lo puoi sorprendere a parlare in russo o tedesco come in inglese o francese con intellettuali di tutto il mondo, ma anche a strologare romanescamente con un oste di Trastevere.
Del resto fa un giornale d’élite che è letto e apprezzato contemporaneamente sia dal Papa che da Pannella. Pur avendo un fortissimo profilo anticonformista, Giuliano è stimato sia da Veltroni e D’Alema che da Berlusconi. Il suo salotto televisivo è ormai il club più esclusivo in cui qualunque vip della politica o del mondo intellettuale smania di essere invitato. Compreso Scalfari che di recente lì è apparso un po’ statico e che – anche nell’editoriale di ieri sulla Repubblica – sembra in forte apprensione per la “conversione” di Giuliano. Mentre il suo successore Ezio Mauro afferma che Il Foglio è l’unico giornale che fa veramente cultura (insieme, ovviamente, alla Repubblica, dice lui…).

Certo, Giuliano è anche una grande calamita di odio. Fu per anni “Giuliano l’Apostata” per la Sinistra che lo sputazzava come “traditore”. Oggi viene preso di mira da qualche comico schierato, ma viene anche criticato, con un saggio filosofico, dalla rivista dei lefebvriani, “Sì, sì, no, no” a base di citazioni del “suo” Leo Strauss. Però viene invitato dal cardinal Ruini a “insegnare” addirittura nella Basilica lateranense, la cattedrale del Papa, sul “Gesù di Nazaret” di Ratzinger e viene attaccato dai chierici senza truppe del cattoprogressismo nostrano che scrivono sui giornali non avendo il popolo nelle loro chiese. Infine viene difeso e abbracciato nientemeno da Benedetto XVI nel discorso ai cattolici italiani tenuto al convegno ecclesiale di Verona.
Io stesso ho avuto occasione di parlare a Ratzinger di lui (era l’ottobre 2004, sei mesi prima della sua elezione al pontificato) e ho visto la stima e l’affetto che nutre per Giulianone. Così come conosco l’ammirazione e la venerazione di Giuliano per questo mite teologo tedesco che è il nostro grande papa. Non mi pare ci sia un caso analogo a quello di Ferrara nella storia della cultura italiana, almeno dal 1945.

Giuliano è un generoso con una percezione leopardiana della fragilità della vita, uno che avverte l’infinita vanità del tutto e la noia delle banalità consuete, uno che non fa calcoli e che abbraccia impetuosamente la verità intuita e sperimentata. Se uno così un giorno, camminando sul Lungotevere Raffello Sanzio o sulla strada che va da Cafarnao a Betsaida, incontra Gesù di Nazaret, con i suoi amici, è molto probabile che resti incuriosito da quel giovane rabbi galileo. Ed è sicuro che si fermerà a parlare con lui. Nel Vangelo si riferiscono diversi incontri del genere. Gesù risponderebbe alle sue domande fissandolo negli occhi e nell’anima in quel suo modo unico che nessuno più riusciva e riesce a dimenticare (Pietro per tutta la vita porta impresso nel cuore lo sguardo indimenticabile e sconvolgente di Gesù che fece vacillare perfino il cinico Pilato).
C’è un momento in cui il fascino umano per Gesù di Nazaret diventa domanda: chi è mai uno così? Compie cose stupende, per negarlo bisognerebbe non credere ai propri occhi e alla propria testa. Ma essere accecati dal pregiudizio non è razionale. E se davvero Dio si fosse fatto uomo? Sembra pazzesco, ma il saggio Eraclito dall’antica Grecia invitava alla lealtà: “Non troverai mai la verità se non sei disposto ad accettare anche ciò che non ti aspettavi”. E chi poteva aspettarsi questo: trovare Dio incarnato in un volto di uomo. Anzi, di più: essere da Lui trovati.
Del resto la nostra umanità ha fame di Lui. Dalla notte dei tempi lo ha atteso, bramato, cercato. Tutta l’umanità si dibatte nella fame, non solo fame di pane, ma di amore, di bellezza, di significato, di giustizia, di verità, di vita, di felicità. E Gesù nasce in quella Betlemme che significa “Casa del pane”. Gesù stesso infatti è il pane di cui tutti, lo si sappia o no, siamo smaniosamente affamati. Così la proposta di digiuno natalizio di Ferrara mi ricorda il Pane di Betlemme.

C’è un certo stupore anche fra i cattolici per il “caso Ferrara”. Era così pure nei primi secoli cristiani quando a Roma dei famosi intellettuali, come Vittorino, annunciavano di aver chiesto il battesimo. Giuliano viene dall’aristocrazia intellettuale romana, quella borghesia laico-liberale e antifascista che poi ha dato al Pci togliattiano una straordinaria classe dirigente. Giuliano era il figlio più promettente di questa aristocrazia senatoria. I cattolici – abituati a decenni di complessi di inferiorità e subalternità – se lo ritrovano oggi come valoroso apologeta della Chiesa e il popolo semplice ne è grato a Dio e gli vuole bene, mentre qualche chierico si affanna a rincorrerlo per potersi addossare il merito di averlo convertito lui (vanitas vanitatum…).
Non sapendo cogliere lo spettacolo della Grazia che tocca e illumina un’anima. Anche per Agostino d’Ippona – intellettuale di rango a Roma e a Milano – fu un’attrazione fatale. Un giorno scrisse: “Tardi ti ho amato, o Bellezza sempre antica e sempre nuova, tardi ti ho amato! Ed ecco tu eri dentro di me e io ero fuori e là ti cercavo ed io nella mia deformità mi gettavo sulle cose ben fatte che tu avevi creato. Tu eri con me ed io non ero con te. Quelle bellezze esteriori mi tenevano lontano da te e tuttavia se esse non fossero state in te non sarebbero affatto esistite. Tu mi hai chiamato e hai squarciato la mia sordità; tu hai brillato su di me e hai dissipato la mia cecità; tu hai emanato la tua fragranza e io ho sentito il tuo profumo e ora ti bramo; ho gustato e ora ho fame e sete; tu mi hai toccato e io bramo la tua pace”.

Antonio Socci, su Libero del 28 dicembre 2007

Wednesday, January 09, 2008

La visitatrice

Il giorno di Natale il sito mariano francese a cui sono abbonato mi ha mandato una specie di fiaba (tratta da J. e J. Tharaud, Les contes de la Vierge, 1940) di cui voglio farvi parte. E’ intitolata «L’ultima visitatrice» e immagina che la notte in cui nacque Gesù, dopo che tutti i visitatori se ne furono andati, la porta della stalla si aprì lentamente come spinta da un soffio e non da una mano.

Comparve una vecchia velata, rugosissima, di cui ogni passo, nell’avvicinarsi alla culla, «sembrava lungo come i secoli». Maria ebbe paura, come se avesse visto «una sorta di fata malevola». Ma non l’asino e il bue, che continuarono tranquillamente a ruminare. Gesù dormiva. «Ma si dorme la notte di Natale?». Quando la vecchia si chinò su di lui, aprì gli occhi «e sua madre fu molto stupita nel vedere che gli occhi della donna e quelli del suo bambino erano esattamente uguali e brillavano della stessa speranza».

La vecchia si mise a frugare tra le pieghe dei suoi stracci e «sembrò metterci dei secoli». Finalmente trasse qualcosa che Maria non vide perché era nascosto nella mano chiusa. Vedeva solo il dorso della vecchia, curvo sulla culla. Capì, dai movimenti, che ciò che la donna teneva in mano era stato consegnato al Bambino. «Poi la vecchia si drizzò, come alleggerita dal peso gravosissimo che l’aveva piegata verso terra». Si volse: «il suo viso aveva ritrovato miracolosamente la giovinezza».

Maria la vide uscire silenziosamente com’era venuta e vide cos’era il misterioso dono che aveva portato. Una piccola mela rossa. Maria comprese: Eva aveva restituito al Bambino «la mela del primo peccato». E «la piccola mela rossa nelle mani del Neonato brillava come il globo del mondo nuovo che era appena nato con Lui».

(Da Antidoti, di Rino Cammilleri)

Tuesday, January 08, 2008

Sofferenza ed eutanasia per credenti e non

Riporto delle considerazioni di Vittorio Messori e Michele Brambilla sull’eutanasia e sulla sofferenza, tratte da Qualche ragione per credere, Mondadori, 1997, pp. 188-190.
V.M. A proposito di ammalati: sono così poco amante della retorica e tanto amico del realismo, che non ho esitato a scrivere (e lo ribadisco ora) che l’eutanasia, o qualsiasi forma di «suicidio assistito», non è solo un diritto, probabilmente è un dovere per chi non condivida la prospettiva [della fede]. Il deserto del dolore – oggi spesso interminabile, a causa della tecnologia medica che provoca «l’accanimento terapeutico» - la terra desolata da attraversare prima di morire, vanno eliminati, se si crede inutile questa come ogni altra sofferenza. Lo esige la pietà umana, ma anche la ragione.
I soliti cattolici volenterosi quanto (forse) un po’ miopi, quelli che si agitano, protestano, progettano referendum, dimenticano che il dolore ha un valore, e altissimo, solo nella prospettiva di chi crede in quel Dolorante per eccellenza che è il Dio appeso alla croce. Fuori di quella prospettiva la sofferenza è un flagello che, non potendo essere domato altrimenti, esige la radicalità della soppressione il più possibile «dolce» del sofferente.
[…] Abbiamo paura di coloro che piangono, perché sappiamo che prima o poi toccherà a tutti: tutti, infatti, non siamo che futuri degenti di ospedale in più o meno lunga libera uscita. Dietro quel bisogno della legalizzazione dell’eutanasia c’è anche l’impossibilità per noi, provvisoriamente ancora «sani», di affrontare lo spettacolo, indecente e intollerabile, dell’agonia degli altri. In fondo, gli ospedali moderni – dove ricoverare tutti, anche quelli che potrebbero essere curati a casa – rispondono al bisogno di nascondere alla vista, di segregare in luoghi deputati lo scandalo del dolore.
[…] M.B. Occorre riconoscere che sembra essere andato al cuore del dramma il Concilio Vaticano II, con il suo «Appello agli uomini», a chiusura dei lavori: «Il Cristo non ha soppresso la sofferenza. Non ha voluto neppure svelarne interamente il mistero. L’ha presa su di sé, e questo è abbastanza perché ne comprendiamo tutto il valore».
[…] V.M. Il cristiano tribolato sa di non essere né un abbandonato né un punito ma, al contrario un privilegiato. Duro privilegio, certo, ma in conformità con quel Gesù che … anche dopo la Risurrezione – e per l’eternità – porta sul suo corpo le cicatrici della Passione.

Monday, January 07, 2008

Per migliorare la 194, si insegni a fare l’amore

Ancora una volta, nel nostro Paese risulta difficile, se non impossibile, affrontare con maturità argomenti cd. ‘eticamente sensibili’. La tentazione di sfruttare politicamente la querelle tra favorevoli e contrari ad una moratoria sull’aborto vince sulla necessità di un dibattito serio e sereno.
Uno Stato laico e democratico ha il dovere di garantire l’esistenza di una legge sull’aborto. Tuttavia, credo sia indispensabile accogliere l’invito di Giuliano Ferrara ad una riflessione attenta sul significato attuale della legge 194.
Il pericolo che la legge, più che tutelare la donna nel suo diritto alla maternità, diventi, come suggerito da Ferrara, uno strumento di condizionamento culturale è concreto. Una prova? È sufficiente un rapido sondaggio fra le giovanissime che hanno vissuto esperienze abortive.
Nella maggior parte dei casi, la scelta di abortire è stata la scontata soluzione ad un errore, ad un ‘incidente di percorso’, come se fare l’amore fosse solo un incontro fra corpi e non implicasse la possibilità di un concepimento (anche facendo uso di contraccettivi). Va riconosciuto, allora, che l’aborto “selvaggio” è stato il risultato di una cultura che ha scalzato lo spirito originario della legge 194.
Ma il vero dramma, psicologico oltre che etico, si presenta dopo aver abortito. Nessuna donna può negare il dolore di una esperienza del genere, per quanto dettata da specifiche situazioni personali. Se è così per donne adulte, quali sono gli effetti sulle più giovani, che fanno sesso con leggerezza, per gioco, come una forma di iniziazione al mondo dei grandi o, ancor più drammaticamente, come un modo per colmare una solitudine affettiva, il tutto escludendo a priori l’idea di diventare ed essere madri?
Gli aspetti della prevenzione vanno dunque potenziati, perché con una legge non si esaurisce il compito di una società che vuol garantire la libertà degli adulti e i diritti dei più deboli e indifesi. Prevenire, però, non significa solo avviare programmi di educazione sessuale nelle scuole (che, tra l’altro, non si sa bene a chi dovrebbero essere affidati). È molto importante, è indispensabile diffondere una cultura per la vita - e torniamo all’iniziativa di Ferrara - in cui fare l’amore implichi una presa di responsabilità verso se stessi, verso il partner e verso il concepito.

Friday, January 04, 2008

L’aborto è un omicidio, lo dice la scienza

Sottoscrivo parola per parola l’articolo di Michele Brambilla su Il Giornale di oggi. Non che ce ne fosse bisogno, ma con questa ennesima, lucida, misurata e solida argomentazione, mi convinco sempre più che Michele Brambilla sia uno dei migliori giornalisti italiani in circolazione. Dopo la sviolinata, riporto di seguito l’opinione del nostro sulla legge 194.
Dirò subito quello che penso, e pazienza se sarò espulso dal politicamente corretto consesso civile: l'aborto è un omicidio. Mi correggo. Che l'aborto sia un omicidio non è «quello che penso»: è una verità oggettiva, sperimentalmente verificabile da chiunque, basta osservare un'ecografia.
A causa di questa evidenza, appiccicare l'infamante marchio di «baciapile» a chi, come me, dice che «l'aborto è un omicidio», è una reazione sterile, inefficace e un po' vigliacca da parte di chi non ha altri argomenti se non quello di squalificare come retrogrado e bigotto chi lo mette di fronte a un fatto incontestabile. La fede religiosa qui conta zero, anzi meno di zero: ripeto, bastano gli occhi e la ragione per rendersi conto che con l'interruzione di gravidanza si distrugge una vita che è già cominciata. Che è già cominciata e che - come dimostrano tutti gli studi medici in materia: ripeto medici, non teologici - ha già una sua particolarissima autonomia, tanto che interagisce con la mamma e prova sensazioni positive o negative che lo segneranno anche dopo la nascita.
Fa veramente tristezza sentir ripetere ancora oggi che «solo la donna ha il diritto di decidere». È fin troppo facile rispondere a queste persone che anche loro furono embrioni, e che oggi non potrebbero dire quello che dicono se le loro madri avessero deciso che eliminarle era un «diritto». Basta ipocrisie, qui non è in gioco solo la libertà della donna: è in gioco anche la libertà di esistere a chi c'è già.
Per questi motivi, credo che sia sbagliata perfino la posizione di quei cattolici che dicono: «applichiamo la 194 anche nella sua parte che tutela la gravidanza». Sì, so perfettamente che la 194 prevede norme che incentivano la donna in difficoltà a scegliere la strada giusta, che è quella di non sopprimere il bambino. E so perfettamente, anche per esperienza familiare, che negli ospedali e nei consultori pubblici chi cerca di applicare quelle norme è ostacolato, quando non insultato come «terrorista», da chi sponsorizza la soluzione più veloce, che è l'aborto.
Ma, anche se nella 194 c'è questa parte «buona» da valorizzare, penso che quella legge sia intrinsecamente sbagliata, perché rende legale un omicidio. Si obietta che prima si abortiva lo stesso, e in condizioni più pericolose per le donne. Vero. Ma a quella piaga si sarebbe dovuto reagire facendo di tutto per impedire situazioni del genere e aiutando le mamme in difficoltà: non legalizzando l'errore. Anche i furti, gli stupri e le rapine in villa esistono: ma nessuno si sogna di risolvere il problema rendendoli legali e controllati dallo Stato.
Che sia chiaro, chiarissimo: io non voglio che la donna che abortisce vada in galera. Ma ritengo che il danno della 194 non sia la sua incompleta applicazione. Il danno è che ha confuso le coscienze, ha creato falsi alibi, insomma ha instillato in molte donne (e in molti uomini: perché non dimentichiamoci che, così come si genera in due, si abortisce in due) la convinzione che l'aborto, se lo Stato lo consente, non è poi così sbagliato. È questa la colpa grave, gravissima, della 194, anzi di ogni legge che permette l'interruzione di gravidanza. E vengo al dibattito politico di questi giorni. Del dialogo destra-sinistra, del confronto tra laici e cattolici, dei rischi di spaccature, sconfitte politiche eccetera, non me ne frega niente. Certi scrupoli vanno bene quando si discute di riforma elettorale o di finanziaria: non quando si tratta di affermare un principio incontestabile, e cioè che un omicidio non può essere considerato lecito.
Mi inquietano anche certe prudenze della Chiesa. Con tutto il rispetto, non capisco come mai sia così intransigente sulle unioni civili, e timorosa nel chiedere l'abolizione della legge sull'aborto. Personalmente penso che anche in materia di matrimonio e famiglia la posizione della Chiesa corrisponda a una legge naturale; ma non c'è dubbio che per l'uomo di oggi sia molto più facile capire (che non vuol dire ammettere: ma capire sì) l'errore dell'aborto che non quello dei Dico. Ma poi: perché aver timore di perdere una battaglia politica? Ci sono cause che vanno combattute a prescindere dal risultato. Ci scandalizziamo per la pena di morte e la fame nel mondo, ma forse la nostra generazione sarà giudicata soprattutto per aver eliminato, con la benedizione della legge e con la quieta coscienza del mondo perbene, cinquanta milioni di bambini all'anno.

Thursday, January 03, 2008

I falsi mea culpa dei darwinolatri e i veri evoluzionisti

Leggo sul sito del Corriere della Sera di ieri: “Quando la scienza confessa: ho sbagliato”. Sottotitolo: “Dalle teorie sull’evoluzione alle differenze tra razze, in rete i mea culpa degli studiosi”. L’articolista annuncia una “gamma di dietro front tra il clamoroso e il simpatico”.
Vuoi vedere, ho pensato ingenuamente, che il quotidiano più venduto in Italia, portavoce, insieme a Repubblica, dell’intelligentsia liberal nostrana, sta facendo un’improvvisa retromarcia sul darwinismo (che è cosa ben diversa dalla teoria scientifica dell’evoluzione)? Vuoi vedere, mi sono detto ancora una volta con ingenuità, che qualche “luminare” della scienza, pregiudizialmente e fanaticamente ateo, è rinsavito sulla strada di Damasco e torna sui suoi passi?
Niente di tutto ciò. Più che clamorosa e simpatica, la sostanza dei dietro front si rivela tanto irrilevante che eminentemente confermativa delle panzane messe in giro dai darwinolatri (brutto ma efficace neologismo coniato da Rosa Alberoni ne Il Dio di Michelangelo e la barba di Darwin, il suo ultimo e appassionato saggio).
Nessuna sopresa, quindi. L’articolista e i ‘ravveduti’ cucinano la loro minestrina con gli ingredienti di sempre (tra cui, la selezione naturale e il razzismo genetico), continuano a spacciare per teoria scientifica un’ipotesi che non è mai stata suffragata da dati e fatti e lasciano ad intendere che la comunità degli esperti sia unanimemente orientata.
La chiusura dell’articolo è poi bizzarra, per non dire una chiara presa in giro: “Che lo scienziato possa cambiare idea e sia in grado di ammetterlo, secondo Dawkins, è un bene. Anzi, gli fa onore […]: «Come saremmo inflessibili, rigidi e dogmatici altrimenti»”. Magari fosse così, magari!

[Aggiornamento del 6 gennaio] Più informazione e meno ideologia darwinista nell’articolo che il Giornale ha dedicato allo stesso argomento.

Segnalo infine l’articolo di Francesco Agnoli, Wallace, l’altro Darwin, pubblicato ieri su Avvenire. Non essendo più disponibile il collegamento diretto alla versione online, riporto l’articolo di seguito, anche se un po’ lunghetto.
Wallace, l’altro Darwin,
di Francesco Agnoli

Quando si parla dell’evoluzionismo, si dimenticano spesso di approfondire il ruolo e le idee di Sir Alfred Russel Wallace , il grande naturalista nato nel Galles nel 1823, considerato il padre della biogeografia, di pionieristici studi sull’urang-utan e sull’uccello del paradiso, oltre che coautore della teoria della selezione naturale, insieme a Darwin. È proprio quest’ultimo, nella sua Autobiografia, a raccontare che Wallace gli aveva inviato un suo scritto contenente le sue stesse identiche considerazioni. Giuseppe Scarpelli, nel suo Il cranio di cristallo (Bollati Boringhieri), aggiunge che «il testo di Wallace aveva straordinarie corrispondenze con quello di Darwin, oltre che nel significato generale e nel modo di investigare il problema, anche per quanto riguardava la concatenazione concettuale e la scelta terminologica».
Effettivamente in tutti i testi di biologia, il nome di Wallace compare accanto a quello di Darwin. Anche due studiosi rigorosamente atei, come Watson e Dawkins, citano spesso il nome di Wallace , e il secondo lo considera, insieme a Darwin, il nume tutelare della sua visione ateistica.
Eppure la storia di Wallace è piuttosto diversa, ed è misconosciuta, specialmente in Italia, dove sono stati pubblicati solo alcuni dei suoi scritti, e per lo più ormai moltissimi anni fa. Tra questi occorre ricordare almeno Esiste un’altra vita?, I miracoli e il moderno spiritualismo, L’origine delle razze umane, Il darwinismo applicato all’uomo.
In tutte queste opere, Wallace , che partiva da una visione dell’esistenza atea e scettica, affronta il mistero dell’uomo con estrema curiosità ed apertura, e, deluso dal determinismo materialista dell’epoca, che negava la dimensione dello spirito e della libertà, arriva sino a sperimentare l’evocazione di spiriti, insieme a eminenti scienziati come madame Curie, criminologi materialisti come Lombroso, e scrittori atei come Conan Doyle.
Soprattutto, Wallace indaga e mette in luce l’originalità dell’uomo, il suo non essere del tutto riconducibile a mera materia in evoluzione. Il suo pensiero è caratterizzato dalla convinzione che «l’immane labirinto dell’essere, che vediamo estendersi ovunque attorno a noi, non sia senza un piano» divino, e che non tutto l’uomo sia spiegabile unicamente con la selezione naturale, quasi fosse una «causa onnipotente ».
In questa sua visione Wallace trova l’appoggio di altri evoluzionisti della prima ora, tra cui quello di alcuni intimi amici di Darwin, da Lyell, ad Herschel, ad Asa Gray, il più grande darwinista americano, tutti propensi ad accogliere sì l’evoluzionismo, ma come processo finalizzato, guidato, e non casuale.
Riguardo all’uomo Wallace sottolinea l’unicità della sua pelle, sensibile, morbida e senza peli, delle sue mani, capaci di straordinarie applicazioni, e aggiunge che «nessun principio dell’ereditarietà, neppure la selezione naturale, può dar ragione del superiore sviluppo cerebrale dell’uomo, ma neppure della stazione eretta, degli organi del linguaggio, dell’abilità manuale, della pelle priva di peli» (G. Scarpelli, p. 133).
A tutt’oggi, oltre cento anni dopo, su molti testi di biologia appena un poco seri si possono leggere affermazioni in perfetta armonia con l’opinone di Wallace : «Non si sa con sicurezza quali spinte evolutive hanno favorito l’ingrandimento dell’encefalo »; quanto alla stazione eretta, la locomozione bipede, la pelle glabra e il cervello più grande, propri dell’uomo, e non della scimmia, la domanda è come mai... e «la risposta è che nessuno lo sa» (Audesirk- Byers, Biologia, vol.I, Einaudi, 2003; sulla derivazione del linguaggio umano dal «linguaggio» animale sono invece molti i linguisti a negare la possibilità di tale passaggio; tra questi il celebre Noam Chomsky e quanti invece sottolineano, come già faceva Wallace , l’assoluta originalità fisica della laringe umana rispetto a quella delle varie specie di scimmie).
Wallace , inoltre, metteva in luce altre due constatazioni interessanti per ogni naturalista.
La prima è che la comparsa della vita e dell’uomo sulla Terra sono «eventi assolutamente unici, spiegabili con la posizione privilegiata del nostro pianeta nella galassia e con una complessa e singolare concomitanza di fattori fisici e chimici» (Scarpelli, p. 134): è in sostanza la stessa idea che va oggi sotto il nome di principio antropico, e che viene sostenuta da fisici e astronomi credenti, per la quale sono tante e tali le condizioni necessarie perché si sviluppi la vita sulla Terra, che non possono essere semplicemente frutto del caso.
Per comprendere l’attualità delle idee di Wallace basti citare brevemente quanto scrive un famoso divulgatore scientifico come Franco Prattico, nel suo Dal caos... alla coscienza (Laterza), dopo aver analizzato i grandi punti di domanda della scienza sulla mente, l’intenzionalità, la coscienza dell’uomo: «Bisogna perciò avere il coraggio di dire, a conclusione di questo viaggio nella storia dell’Universo, che ognuno dei concetti che abbiamo così disinvoltamente usati cela un mistero. E che forse il mistero più profondo è proprio la nostra coscienza... »; mentre poco più avanti, riguardo al linguaggio umano, segno evidentissimo della differenza tra uomo e animale, e strumento principe dell’evoluzione culturale, aggiunge: «Eppure, come per la stazione eretta, l’apparizione del linguaggio articolato sembra configurarsi come un dono del 'caso', una coincidenza fortunata poco spiegabile sulla base di una evoluzione lineare e deterministica: una sorta di ‘scherzo’ della natura».
La seconda constatazione assai interessante di Wallace è che l’uomo «ha tolto alla natura quel potere, che essa esercita su tutti gli altri anima-li, di mutare lentamente ma definitivamente la forma e la struttura esterna secondo i cambiamenti del mondo esterno... Egli compie tutto questo per mezzo del solo intelletto, le cui variazioni lo mettono in grado di mantenersi, anche con un corpo immutato, in armonia con l’universo che muta»: ciò significa che l’uomo, a differenza degli altri animali, non ha necessità di adattarsi materialmente, fisicamente, all’ambiente, perché, essendo dotato dell’intelligenza, è capace di affrontare ogni clima e ogni situazione attraverso la creazione di vestiti, indumenti e strumenti vari. Ciò ne fa, evidentemente, una creatura originale, la più debole e la più inadatta, fisicamente, ma, grazie allo spirito, la più forte, l’unica che si pone di fronte alla natura con capacità di dominarla: il vertice della natura, insomma.
Una simile posizione permetteva a Wallace di non cadere nel razzismo tipicamente vittoriano, in cui invece incapparono molti evoluzionisti, T. Huxley, il «mastino di Darwin», Francis Galton, cugino di Darwin, John Lubbock, allievo di Darwin, e, a tratti, lo stesso Charles Darwin. Mentre il primo, infatti, «cercherà di documentare la presenza di caratteri affini tra uomo di Neanderthal e ottentotti, considerando quest’ultimi come i gradini più bassi della scala delle razze umane», il secondo «si cimenterà in una raccolta di dati statistici allo scopo di quantificare la maggior dignità dell’uomo bianco rispetto al negro» (Scarpelli, p.72).
Wallace invece, rifiutandosi di ridurre l’uomo a materia in evoluzione, da una parte condanna apertamente l’eugenetica, creata dal cugino di Darwin, Francis Galton, e sostenuta da moltissimi evoluzionisti contemporanei, bollandola come una credenza non scientifica, dall’altra sostiene che «la specie umana ha posseduto ab initio l’insieme delle caratteristiche intellettive, etiche, creative che lo contraddistinguono; di conseguenza essa deve essere stata in grado di produrre in alcune situazioni favorevoli, anche in epoche remote, grandi opere artistiche, architettoniche, intellettuali in genere. E dunque i selvaggi odierni, identici a noi anatomicamente e cerebralmente, non vanno considerati come varietà rimaste al palo...» (Scarpelli, p.76). È lo stesso Scarpelli ad aggiungere che il pensiero di Wallace è confermato dai ritrovamenti nel 1879 delle magnifiche pitture rupestri di Altamira e nel 1940 di quelle di Lascaux, entrambe attribuite ai CroMagnon, già 40.000 anni fa provvisti di un volume cerebrale pari al nostro o addirittura superiore.

Wednesday, January 02, 2008