Monday, July 20, 2009

La Chiesa, il nuovo Harry Potter e il «segno di una ricerca»

Dal Corriere della Sera del 18 luglio 2009 riporto l’articolo di Vittorio Messori intitolato La Chiesa, il nuovo Harry Potter e il «segno di una ricerca».
Il cardinal Angelo Bagnasco che, nella recente lettera pastorale alla sua diocesi di Genova scrive: “Certe tendenze, pur non coerenti con la fede, come il fenomeno dell’occultismo e della superstizione, la suggestione delle filosofie orientali, la ricerca di spiritualità esoteriche, le diverse forme di New Age, sono a loro modo segni di una ricerca”.
L’Osservatore romano che pubblica l’articolo di un collaboratore che dà un giudizio cautamente positivo (o, almeno, non negativo) della sesta tappa della saga di Harry Potter, in proiezione nei cinema in questi giorni.
I media, si sa, sono alla ricerca costante di collegamenti tra notizie disparate, per spacciare presunte “nuove tendenze” o improbabili “prospettive inedite” e costruirvi servizi fuorvianti. È successo anche questa volta, mescolando una citazione estrapolata dell’austero presidente della CEI alle avventure cinematografiche del “maghetto” inglese. La tesi che si vorrebbe dimostrare è qualcosa del tipo: “C’è una nuova apertura della Chiesa al Soprannaturale“, quello estraneo alla Tradizione.
Vediamo di capirci qualcosa. Su Harry Potter si è fatto rumore, a suo tempo, attorno a un presunto giudizio negativo dell’allora cardinale Joseph Ratzinger, giudizio che – come si è poi scoperto – non era suo ma di un collaboratore ed era stato strumentalizzato da una giornalista tedesca. In realtà, come spiegò anche un articolo di Civiltà Cattolica, e come ribadisce ora il pezzo del quotidiano vaticano, sarebbe ingiustificata una crociata previa contro questa saga. In effetti, malgrado non vi sia un esplicito riferimento al cristianesimo, i suoi valori sono riaffermati dallo schema di fondo, che vuole le forze del Bene in difficoltà ma alla fine vincitrici su quelle del Male. I buoni sentimenti sono diffusi e mai irrisi. E, quanto alla magia, anche lo spettatore, o il lettore, giovani si accorgono che la storia non è che una favola, dove non manca l’ironia. E si sottolineano positivamente i siparietti comici che contribuiscono a demitizzare le vicende, allentando la tensione.
Nessuna attuale assoluzione “vaticana”, dunque, poiché non vi è stata prima nessuna “condanna”, se non da parte di settori tradizionalisti, quelli ossessionati da un onnipresente “complotto anticristiano” per il quale Harry Potter sarebbe un arma tanto micidiale quanto occulta. Sono quelli che si affannano ad ascoltare nastri musicali alla rovescia per individuarvi messaggi blasfemi; o a ricercare, nascosto ovunque, il 666, il “numero della Bestia” secondo l’Apocalisse; o a tentare di individuare segni diabolici subliminali negli spot pubblicitari. La Chiesa lascia fare, ma non partecipa a queste atmosfere di sospetti millenaristi.
Nulla di nuovo, ovviamente, anche nella parole di quel coriaceo e impenitente discepolo del grande cardinal Giuseppe Siri (sempre più riscoperto con ammirazione, negli ambienti ecclesiali) che è Angelo Bagnasco. Un suo confratello nella porpora, Giacomo Biffi, ripete da sempre che “il contrario della fede non è la ragione ma la superstizione”. Ed è citatissimo il Chesterton dell’aforisma secondo il quale “il guaio dell’uomo di oggi non è il fatto che non crede a niente ma il fatto che crede a tutto”. C’è forse qualcosa di nuovo nel segnalare, come fa Bagnasco, che al declino del cristianesimo si è accompagnato, in Occidente, un lussureggiare di veggenti, stregoni, guru, indovini, astrologi, esoteristi, sciamani? Ed è forse una interpretazione originale quella secondo la quale tutto questo è “a suo modo il segno di una ricerca”? Non si tratta di “aprire” come qualcuno ha detto ma, semmai, di constatare. Senza sorpresa ma con qualche amarezza. L’abbandono, cioè, di quella che per il cardinale è la via maestra, induce a smarrirsi in sentieri che non portano da nessuna parte.
Anche qui, intendiamoci, nessun fanatismo. Il cristianesimo autentico, quello non settario, è sempre inclusivo, mai esclusivo, secondo la parola di Gesù (“non sono venuto per distruggere ma per completare”) e l’esortazione di Paolo (“esaminate tutto, tenete ciò che è buono”). Così, l’attenzione attuale per certe tecniche orientali è presente oggi in molte Case di esercizi spirituali del tutto accettati. Se vale ancor oggi il consiglio, per il fedele comune, di astenersi dalla astrologia è per prudenza e non per un rifiuto previo, visto che astrologi erano presenti alla Corte papale e il principe stesso dei teologi, San Tommaso d’Aquino, credeva nell’influsso degli astri, pur conciliandolo con il libero arbitrio. Non poteva essere altrimenti, visto che i cosiddetti “Magi” erano quasi certamente astrologi caldei che avevano individuato l’arrivo del Messia degli ebrei scrutando le stelle. L’esortazione, poi, a star lontani dall’occultismo non è perché si tratti sempre e comunque di inganni e truffe ma perché può essere, talvolta, un pericolo reale. Come sperimentarono tanti santi che dovettero difendersi da trame oscure in cui la Chiesa istituzionale stessa, pur prudente e di primo acchito doverosamente scettica, ha dovuto riconoscere lo zampino diabolico.
Insomma , per dirla con Ernest Renan, “la verità è sempre triste, ahinoi!”. La tristezza della verità, in questo piccolo caso, è data dal fatto che non si riesce proprio a trovare alcunché di nuovo, né qualcosa che le accomuni, tra le parole dell’arcivescovo di Genova e quelle di un collaboratore dell’Osservatore romano. I cercatori di “clamorose svolte” dovranno, ancora una volta, attendere altre occasioni.
© Corriere della Sera

Friday, July 10, 2009

La svastica che ispirò Hitler

Riporto l'articolo Ecco la svastica che ispirò Hitler, di Vittorio Messori, pubblicato sul Corriere della Sera del 9 luglio.

Per penetrare nel luogo proibito, ho dovuto giocare la carta del riconoscimento, mostrando il passaporto e alcune pubblicazioni recenti che avevo con me. Ho superato così la diffidenza del monaco guardiano, fortunatamente lettore delle traduzioni tedesche dei miei libri. Affidato a un sagrestano e aperta la grande porta barocca chiusa a chiave, mi sono stati concessi pochi minuti per scattare qualche istantanea con la mia macchinetta automatica. Alla fine, l' esortazione a «far buon uso» del privilegio accordato a me e negato categoricamente a tanti altri, da molti anni. Tutto questo per accedere alla sagrestia di una chiesa non solo aperta al pubblico ma anche assai frequentata, essendo al contempo parrocchia e tempio della grande, antica abbazia di Lambach, nell'Alta Austria. Un monastero che, nella sua vita millenaria, ha vissuto anche una esperienza singolare: durante l'anno scolastico 1897/98 ospitò, per la terza classe elementare, un bambino di otto anni originario di Braunau am Inn. Bambino disciplinato, dal visetto grazioso (come mostra la ancora esistente foto della classe) ma ostinato e introverso. Il che non gli impedì di essere un diligente chierichetto e un buon elemento della corale di voci bianche, nonché un allievo attento delle lezioni di violino impartitegli da un Padre benedettino. Dopo l'aula della scuola nell' abbazia, la maggior parte del suo tempo lo trascorse, quell'anno, proprio nella sagrestia ora interdetta ai visitatori. Lì, infatti, aiutava i sacerdoti celebranti a indossare e a togliere i paramenti liturgici, lì lavava e riempiva le ampolle per l'acqua e per il vino, lì sistemava arredi e vesti negli armadi. Lì si radunava con gli altri bambini, ogni sabato pomeriggio, per le prove dei canti per la messa grande domenicale e si esercitava per le melodie previste per matrimoni, funerali, feste liturgiche varie. Ebbene, quel vasto ambiente barocco è dominato da una sorta di grande cenotafio in marmi dai colori vivaci, che termina in uno stemma abbaziale, sovrastato da una mitria e da un pastorale in pietra rossa, forse di Verona. Nell'ovale del blasone, una svastica con gli uncini piegati, vistosamente dorata. La stessa doratura per la data (1869) e per le quattro lettere che circondano la croce: T.H.A.L. Cioè: Theoderic Hagn Abate (di) Lambach. Per posizione, per imponenza, per policromia dei marmi pregiati, il cenotafio è il punto focale della sala, è impossibile non esserne attratti appena entrati. Dunque, in quell'anno scolastico di oltre 110 anni fa, attrasse anche gli occhi, avidamente curiosi, dell' allievo di terza classe della Volks-Schule, nonché chierichetto e corista. Il suo nome era Adolf Hitler. L'anno a Lambach del futuro Führer è ovviamente ben noto agli storici, anche perché l'interessato gli dedicò una pagina del Mein Kampf, dove dice di non avere condiviso l'ideale di quei monaci ma di averne stimato la serietà e, soprattutto, di avere provato tali emozioni durante le solenni liturgie da sentirsi, lui che sarà sempre astemio, berauscht, ubriaco. Alcune biografie accennano anche alla svastica del monumento abbaziale ma, curiosamente, sono quasi inesistenti, per quanto sappia, le fotografie che appaghino la curiosità dei lettori. In ogni caso, le rare immagini sono di molti anni fa, in sfocato bianconero. In effetti, come io stesso ho constatato, i religiosi hanno deciso di interdire l'accesso alla sagrestia per troncare una sorta di pellegrinaggio, ove ai curiosi si aggiungevano, pare, anche inquietanti nostalgici se non dei pericolosi pazzoidi. La gran maggioranza dei visitatori ignora che un' altra svastica, seppur di dimensioni minori, potrebbe risvegliare la curiosità.

La seconda croce uncinata è sulla fontana nel giardino di fronte all'ingresso. Il piccolo Adolf vide pure questa tutti i giorni, giungendo al mattino in abbazia, ma nel dopoguerra è stata coperta da rampicanti e da vasi di fiori e per vederla bisogna conoscerne l'esistenza e spostare le piante. Anche questa è «firmata» da padre Theoderic Hagn, abate di Lambach nella seconda metà dell'Ottocento che per il suo stemma (ogni superiore di monastero benedettino ne ha uno, alla pari dei vescovi) scelse una svastica, forse perché segno dell'incontro tra la croce cristiana e la tradizione religiosa mondiale. È noto, infatti, che sin da tempi preistorici la croce uncinata è presente come simbolo sacro in ogni continente, America precolombiana e Oceania incluse. Soltanto il giudaismo sembra non conoscerla, probabilmente perché è simbolo solare, mentre la tradizione ebraica, a cominciare dal calendario, è soprattutto lunare. Sta di fatto che anche per questo la Hakenkreuz, la «croce con gli uncini», fu dichiarata «segno ariano» e prediletta, tra Ottocento e Novecento, dai gruppi ispirati al nazionalismo germanico nonché all' esoterismo e all'antisemitismo in qualche modo «metafisico». Il giovane Hitler la conobbe (curiosamente, proprio nella forma «alla Lambach», con gli uncini piegati) presso la Thule-Gesellschaft, la società semisegreta le cui dottrine e i cui uomini alimentarono il nazionalsocialismo nascente. Fu nel maggio del 1920 che il futuro Führer presentò l'insegna del movimento, da lui stesso (pittore frustrato) disegnata: una svastica, appunto, ma con i bracci raddrizzati e inclinata verso destra, per, disse, «dare l' idea di una valanga che travolga il mondo decadente». Questa scelta del simbolo, tra tanti possibili, fu determinata anche dall'impressione ricavata dallo scolaro di terza elementare davanti alle svastiche dell' abate Hagn? Hitler non ne fece mai cenno, ma ci sono due episodi che fanno pensare. Quando invase l'Austria, nel 1938, pur pressato da mille impegni, si fece portare a Lambach (riservatamente, con Eva Braun, una foto lo mostra con un impermeabile bianco, da borghese) per rivedere l' abbazia e sostò nella sagrestia, davanti al vistoso cenotafio dove tante volte aveva lavorato e cantato. C' è di più: come già in Germania, i nazisti soppressero subito le case monastiche austriache, ma Lambach fu risparmiata e i religiosi furono allontanati soltanto nel 1942. Dopo tutto, non sfugga un particolare: attorno ai bracci della svastica dell' abate, stanno anche una A e una H. Proprio quelle iniziali che Adolf Hitler volle incise accanto alla Hakenkreuz «ariana» sulla facciata e nei saloni della cancelleria di Berlino.

© Corriere della Sera

Wednesday, July 01, 2009

Ideologia transgender? Roba da matti!

La rivista Il Timone presenta ogni mese un dossier tematico di approfondimento. Quello del numero di giugno è intitolato Né maschi né femmine. L’ideologia di genere. Degli articoli di cui è composto il dossier ho selezionato “Genere” o “sesso”?, di Roberto Beretta. Lo riporto di seguito precisando che ho modificato leggermente l’ordine dei paragrafi. In tal modo mi è sembrato di rendere ancora più immediata e istruttiva la trattazione dell’argomento.
(Dal numero di giugno si veda anche l’articolo sull’omosessualità indesiderata, a firma di Roberto Marchesini)

Essere come angeli, né maschi né femmine: un sogno paradisiaco oppure un incubo? Vediamo.
L’avvocato Mauro Ronco, 63 anni, presidente dell’Ordine degli avvocati di Torino e professore universitario di Diritto penale, nonché responsabile piemontese di Azione Cattolica, si è occupato di vari casi – oggi sempre più frequenti – in cui sono coinvolti aspetti giuridici e insieme morali: dal divorzio all’aborto, dal testamento biologico allo statuto dell’embrione.

Professore, come spiegherebbe agli ignari, e in parole molto povere, l’espressione “ideologia di genere” o più semplicemente gender, all’americana?
«L’ideologia di genere presenta molteplici aspetti. Sottolineerei anzitutto l’uso del termine “genere” al posto di “sesso”. Per la tradizione filosofica e linguistica che ha il suo referente nelle Scritture bibliche, la persona è “maschio” o “femmina”. La connotazione anatomica e biologica del sesso assegna a ciascuno una specifica identità, l’identità sessuale appunto. Per l’ideologia di genere, invece, la persona non è “maschio” o “femmina”, bensì è ciò che diventa secondo le multiformi scelte nel corso della vita. La persona assume così indifferentemente varie “identità di genere”, a seconda della sua libera scelta. In questo senso anche l’ideologia omosessuale viene superata. La persona non è mai definita sul piano sessuale, ma è in uno stato mutevole di “generi” che essa stessa si può dare. Nell’ideologia di genere affiora una specie di odio verso il sesso come connotazione biologica che prescinde dalla scelta personale, esso è visto come qualcosa che condiziona ingiustamente la libera esperienza di vita di ciascuno e quindi come un limite insopportabile alla libertà. Il secondo aspetto che occorre mettere in luce concerne la lotta contro ogni identità e contro ogni differenza: l’obiettivo è giungere ad un’assoluta indifferenziazione, in cui vengano aboliti nella persona umana i segni sessuali della creazione. L’ideologia di genere, in definitiva, ha come obiettivo il sovvertimento della realtà sessuale. Se nella Genesi è scritto: “Dio creò l’uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò (Genesi 1,27); se Gesù riprende lo stesso tema, dicendo: “Non avete letto che il Creatore da principio li creò maschio e femmina?” (Matteo 19,4), l’ideologia di genere proclama che non vi è in natura né “maschio” né “femmina”, ma tanti generi quanti ciascuno si voglia liberamente dare».

Qualcuno sostiene che si tratta di un ulteriore passo della cosiddetta «rivoluzione sessuale»; in che senso?
«Credo di sì, ma in senso paradossale, perché in qualche modo costituisce la negazione stessa della rivoluzione sessuale come è stata concepita nel XX secolo. Infatti, l’ideologia di genere nega il sesso come identità della persona, cioè può anche rimanere, ma è meglio che venga eliminato anche fisicamente. Così l’organo sessuale maschile venga levato e l’uomo si trasformi, per quanto possibile, in una donna o – ancor meglio – in un essere asessuato. Vale pure il contrario, che la donna si trasformi in uomo. Meglio ancora, per l’ideologia di genere, se ciascuno riesce a portare in sé i segni della doppia sessualità, oppure di nessuna sessualità. Il sesso è concepito soltanto come strumento per provocare il piacere; è però eliminato del tutto non soltanto nel suo valore intrinsecamente procreativo, ma anche nel suo significato identitario».

Il femminismo sembrava spingere verso un’esaltazione esasperata della diversità sessuale; ora invece si ritrova ad essere additato come una delle radici da cui nasce l’omologazione dei sessi. Com’è stato possibile un tale paradosso?
«Vero. Si tratta di un paradosso. Se però si studia il significato del femminismo radicale, si comprende come l’evoluzione sia del tutto logica. Infatti, il femminismo radicale negava, sin dall’origine, la sessualità come intrinsecamente procreativa. Quindi, negava l’identità della donna come portatrice essenziale del valore della maternità. L’esasperazione femministica del sesso femminile era un modo per negare il significato profondo della femminilità. Il processo ha però un corso implacabile: se si nega il significato profondo, metafisico della femminilità, è inevitabile che si finisca per negare anche il segno biologico di essa».

Quali potrebbero essere, concretamente, le ricadute sociali di una affermazione dell’ideologia di genere? E una reazione ad essa non potrebbe rischiare invece di rituffarci in una cultura «patriarcale» o maschilista?
«Sì, è possibile che gruppi maschili, particolarmente sensibili alla profonda ingiustizia conseguente alla diffusione dell’ideologia di genere, si esprimano reattivamente nella vita sociale con gesti e atteggiamenti violenti come quelli degli ultras del tifo sportivo, per manifestare inconsciamente la propria identità maschile.
Ma non sarebbe il pericolo più grave. Le ricadute sociali di una vittoria dell’ideologia di genere sarebbero ben più devastanti. Oltre all’aggravamento della crisi demografica, si scatenerebbero squilibri psichici in larghe fasce della popolazione; molti, privati di chiara identificazione sessuale, potrebbero precipitare in forme di depressione assai preoccupanti».

Lei ha svolto un’audizione alla Commissione Giustizia della Camera sul tema del «genere». Come mai il Parlamento se ne occupa?
«La Commissione Giustizia della Camera ha in discussione, dal novembre scorso, alcune proposte di legge sulle discriminazioni o sull’istigazione a discriminazioni per motivi legati all’orientamento sessuale o all’identità di genere. L’introduzione di questo nuovo reato ha trovato però una certa opposizione nella Commissione Giustizia, così la relatrice del progetto di legge Anna Paola Concia (Pd) ha modificato le originarie proposte, limitandosi a chiedere l’aggiunta all’articolo 61 del Codice Penale di un’aggravante per reati con “finalità di discriminazione per motivi inerenti all’orientamento sessuale o all’identità di genere”. D’altra parte, di fronte alle perplessità, i parlamentari hanno deciso di ascoltare le opinioni di due giuristi. Io sono stato ascoltato il 14 gennaio 2009».

E che cosa ha detto?
«Riassumo brevemente. Anzitutto ho messo in luce che l’introduzione di norme che sanzionino penalmente le discriminazioni sull’orientamento sessuale va contro il principio, condiviso da quasi tutti gli esperti, del “diritto penale minimo”. Un razionale uso delle pene implica che il legislatore si trattenga dal minacciarle quando non siano assolutamente indispensabili per la tutela di beni giuridici di importanza essenziale per la pacifica convivenza sociale. In secondo luogo, ho sottolineato che il concetto di discriminazione è di assai vasta latitudine, abbracciando qualsiasi comportamento che sfocia nel trattamento di una persona in modo meno favorevole di un altro in situazione analoga. In sostanza, si aprirebbe uno spazio enorme per interventi legali. Solo per fare un esempio: la madre che cerca di persuadere la figlia a non sposare una persona “bisessuale”, spiegandole i rischi che comporta per formare un nucleo familiare stabile, potrebbe essere responsabile del reato di istigazione alla discriminazione. Allo stesso modo il padre che rifiutasse di affittare al figlio un appartamento perché quest’ultimo ci vuole convivere con una persona dello stesso sesso».