Saturday, March 27, 2010

Fermezza e perdono, così la Chiesa respinge la ferocia giacobina

Né l’uomo Joseph Ratzinger né il papa Benedetto XVI hanno di certo bisogno della nostra difesa. La stima e il rispetto di cui quest’uomo gode anche tra i laici testimoniano che in lui vive al meglio quella sintesi cattolica che rifiuta ogni aut-aut ed è retta dalla “legge dell’ et-et”, la coincidentia oppositorum, l’unione degli opposti. Chi lo conosce bene sa fino a che punto nel Ratzinger professore, poi Cardinal Prefetto, infine Pontefice, convivano severità e misericordia, rigore e comprensione, rispetto della norma e attenzione alla singola situazione umana. C’è, in lui, l’umanità dei vecchi uomini di Chiesa che, dal pulpito, denunciavano a voce alta il peccato; ma poi, nel confessionale, a tu per tu col peccatore concreto, interpretavano con larghezza l’invito del Cristo a capire e perdonare.
Di una durezza inaudita la sua lettera alla Chiesa d’Irlanda: il dolore e lo sdegno per i tradimenti del Vangelo non sono attenuati da alcuna ipocrisia teologicamente corretta. In quella pagine drammatiche, Benedetto XVI non tenta neppure di diminuire la colpa, ricordando quanto siano sospetti tanti pulpiti da cui giungono le prediche. Neanche una sua parola sulla ipocrisia dei vecchi apostoli sessantottardi della “rivoluzione sessuale”, che hanno vestito nuovi abiti da moralisti scandalizzati e arcigni. Silenzio papale sulla difesa dei piccoli da parte di chi predica come un diritto intoccabile l’eliminazione a piacimento degli ancora più piccoli. Neanche un accenno, nella lettera, agli appetiti economici che hanno portato grandi studi legali anglosassoni a pubblicare annunci sui media: “Vuoi diventare milionario? Metti tuo figlio in seminario per un anno e poi passa da noi”. La common law, in effetti, permette agli avvocati di dividere a metà con il cliente gli enormi risarcimenti stabiliti dai tribunali. Agenti degli studi legali utilizzano a tappeto liste di vegliardi per convincerli a denuncie miliardarie. Meglio se gli accusati sono morti: tanto, vescovi e superiori di congregazioni pagano comunque, per evitare scandali maggiori. Il “cattolico pederasta” è da anni, negli Stati Uniti, il protagonista di un business enorme, tanto da avere portato alla bancarotta diocesi e ordini opulenti.
Eppure, Benedetto XVI non cerca alcuna attenuante, pur legittima e fondata: il suo dito accusatore non si rivolge verso l’esterno della Chiesa ma solo verso quei suoi figli che l’hanno tradita. Per essi, ha parole terribili, in cui vibra lo sdegno dei profeti biblici. Ma , dopo la condanna, ecco la speranza, ecco il richiamo alla misericordia di un Dio che sa trarre il bene anche dal male, esortando i colpevoli a pagare il prezzo dovuto ma a non disperare del perdono del Cristo. Nessun peccato è tanto grande da esaurire la misericordia divina, pentimento e penitenza possono aprire a chi lo voglia la via della riconciliazione.
In questo figlio della vecchia Baviera cattolica, c’è quanto ha contrassegnato, appunto, il cattolicesimo autentico: il rifiuto della disumana ferocia “giacobina”, il rigetto della condanna senza appello, della giustizia che non fa posto anche alla comprensione, dello jus , il diritto, senza la pietas per la condizione umana. I tentativi attuali di trascinarlo sul banco degli imputati nulla sanno, tra molti altri errori e manipolazioni, di questa sapienza che è quella stessa che marca l’esperienza bimillenaria della Chiesa.Una sapienza “dal volto umano“ che però – lo dicevamo – segue l’aurea legge dell’et-et e, dunque, sa far posto al contempo alla sferza, come ben sa proprio la Chiesa che è in Irlanda. E a coloro che vorrebbero accusare il già Cardinal Prefetto della Congregazione per la Fede di avere rimosso e taciuto, va ricordato, tra l’altro, quel “mistero doloroso“ che è il caso di Marcial Maciel Degollado. La Congregazione dei “Legionari di Cristo”, fondata da questo messicano, era cara a Giovanni Paolo II: mentre le vecchie famiglie religiose si estinguono o vivacchiano, ecco una schiera di giovani entusiasti e difensori dell’ ortodossia. Le voci che giungevano a Roma sulle molestie di don Marcial ai seminaristi erano vagliate con prudenza da papa Wojtyla, che ricordava come anche in Polonia simili accuse fossero usate dai comunisti per infangare la Chiesa. Ebbene, tra le prime misure di Ratzinger giunto al papato fu di ridurre quel fondatore allo stato laicale, imponendogli di chiudersi in clausura, dedicando il tempo che gli restava alla preghiera e alla penitenza. Non solo: Benedetto XVI si affrettò ad abolire il quarto voto dei Legionari, quello detto “di discrezione”, che imponeva il silenzio sui superiori e ostacolava così le indagini della Santa Sede. Tanto che, tra i Legionari, c’è chi sospetta papa Ratzinger di essere mal consigliato o, addirittura, di far parte di un complotto contro la già potente Congregazione. Dunque, l’uomo accusato dall’esterno di “non avere agito”, all’interno della Chiesa è accusato di “avere agito troppo”. E non solo verso i Legionari, ma in tanti altri casi, non appena il sospetto di abusi sessuali si faceva certezza. Un paradosso tanto ignorato quanto significativo.

Vittorio Messori, sul Corriere della Sera del 27 marzo 2010.

Friday, March 19, 2010

A te, San Giuseppe ... e auguri a tutti i papà


A te, o beato Giuseppe, stretti dalla tribolazione, ricorriamo, e fiduciosi invochiamo il tuo patrocinio, dopo quello della tua Santissima Sposa.

Per quel sacro vincolo di carità, che ti strinse all’Immacolata Vergine Maria, Madre di Dio, e per l’amore paterno che portasti al fanciullo Gesù, riguarda, te ne preghiamo, con occhio benigno la cara eredità che Gesù Cristo acquistò col suo Sangue, e col tuo potere ed aiuto sovvieni ai nostri bisogni.

Proteggi, o provvido custode della divina Famiglia, l’eletta prole di Gesù Cristo: allontana da noi, o Padre amatissimo, gli errori e i vizi, che ammorbano il mondo;

assistici propizio dal cielo in questa lotta col potere delle tenebre, o nostro fortissimo protettore; e come un tempo salvasti dalla morte la minacciata vita del pargoletto Gesù, così ora difendi la santa Chiesa di Dio dalle ostili insidie e da ogni avversità;

e stendi ognora sopra ciascuno di noi il tuo patrocinio, affinché a tuo esempio e mediante il tuo soccorso, possiamo virtuosamente vivere, piamente morire e conseguire l’eterna beatitudine in cielo.

AMEN

Tuesday, March 16, 2010

Ma cosa c’entra il celibato con la pedofilia?

Replico al post Il peccato, all’origine, si chiama celibato.

L’autore muove da una premessa: l’obbligo del celibato imposto dalla Chiesa ai sacerdoti deriverebbe da una “spudorata ipocrisia”, costituirebbe “una menzogna pretestuosa”. La Chiesa, in altri termini, farebbe dire a Gesù cose che Lui non avrebbe mai detto.

Leggiamo Matteo 19, 10-12: “Gli dissero i discepoli: «Se questa è la condizione dell'uomo rispetto alla donna, non conviene sposarsi». Egli rispose loro: «Non tutti possono capirlo, ma solo coloro ai quali è stato concesso. Vi sono infatti eunuchi che sono nati così dal ventre della madre; ve ne sono alcuni che sono stati resi eunuchi dagli uomini, e vi sono altri che si sono fatti eunuchi per il regno dei cieli. Chi può capire, capisca»”.
La Chiesa, anche in materia di castità sacerdotale, si uniforma, pertanto, ai dettami di Gesù. La Chiesa, sin dai tempi apostolici, modella lo stile di vita dei sacerdoti a quello del Maestro. Infatti, essere cristiano non significa solamente appartenere a Cristo, significa anche e soprattutto ‘essere Cristo’. È questa conformazione a Lui che porta il sacerdote ad abbracciare, tra le altre cose, la Sua castità.

Nel post si considera l’astinenza sessuale come contraria alla natura umana. Faccio due osservazioni rapidissime. La prima: se Gesù considera come Suoi coloro che “si sono fatti eunuchi per il regno dei cieli”, deduciamo che è certamente possibile abbracciare la castità in vista di un bene più alto. La seconda: è vero che non è facile vivere la continenza sessuale, però, con l’aiuto di Dio (cioè, con la Sua grazia), nulla è impossibile (cfr. Filippesi 4,13). Il minimo che un sacerdote può fare è pregarLo affinché, nel perseguimento di un santo ministero, gli infonda il Suo Spirito.

Il post prosegue affermando che gli atti di pedofilia commessi dagli ecclesiastici sono diretta conseguenza del voto di castità.
Domanda: se il binomio fosse veramente “castità-pedofilia”, allora anche gli atti di pedofilia commessi dai laici deriverebbero dall’astinenza sessuale. È sotto gli occhi di tutti che non è affatto così. Gli abusi sui minori hanno spesso per protagonisti proprio uomini sposati.

Secondo l’autore del post, la presenza di giovinetti nei seminari indurrebbe in tentazione i poveri sacerdoti, attratti da corpi che ricordano quello femminile. Come mai? Perché il voto di castità produrrebbe conseguenze patologiche!
Ora, la pedofilia è certamente una perversione, una patologia, ma chi lo dice che un maschio adulto si sentirebbe attratto sessualmente da un ragazzino per il semplice fatto di non poter avere rapporti sessuali con una donna?
Proviamo ad usare il buonsenso: un sacerdote incapace di resistere alle tentazioni della carne, piuttosto che molestare un giovinetto, non fa prima a cercare una donna? non è più normale indossare degli abiti borghesi, acquistare dei comunissimi preservativi e spassarsela?
Diciamo le cose come stanno: non si diventa pedofili per ripiego! Colui che si sente sessualmente attratto da un minore, da un giovinetto non è altro che una persona malata, sia che si tratti di un sacerdote sia che si tratti di un laico, con o senza voto di castità.

Allarghiamo lo sguardo all’esperienza protestante. Sappiamo tutti che i pastori protestanti possono sposarsi. Bene, se fosse vero che la pedofilia dei sacerdoti è conseguenza del voto di castità, perché ci sono tanti casi di pastori protestanti che molestano i giovinetti? Nei paesi protestanti, si soffre meno la crisi delle vocazioni, in ragione del fatto che i ministri del culto non hanno l’obbligo del celibato?
Dovrebbe essere oramai chiaro che il celibato non c’entra nulla con la pedofilia.

Per l’autore del post, “il mondo dovrebbe pretendere a gran voce la fine del celibato dei preti”. In tal modo, “la loro mente resterebbe aliena dai paurosi disordini che nascono dalla proibizione e dalla demonizzazione della carne”.
Da cattolico, la mia opinione è che i sacerdoti, se potessero sposarsi, non sarebbero più credibili. Nel cammino di conversione a Dio, un credente ha bisogno dell’esempio di qualcuno che dedichi interamente la propria vita a Lui; ha bisogno di qualcuno che sia disposto a sacrificare se stesso per la salvezza delle anime.

Il post che ho commentato si apre con un dubbio: “Francamente non capisco perché ci si scandalizzi tanto del fatto che nella Chiesa circoli la pedofilia”. Rispondo ricorrendo a ciò che scrive Vittorio Messori in un articolo pubblicato pochi giorni fa sul Corriere della Sera.
“Chi si sdegna per le malefatte di un prete, più che per quelle di chiunque altro, è perché lo lega a un ideale eccelso che è stato tradito. Chi considera più gravi le colpe “romane”, rispetto a ogni altra, è perché vengono da una Chiesa da cui ben altro si aspettava. Molte invettive anticlericali sono in realtà proteste deluse. È scomodo, per i cattolici, che il bersaglio privilegiato sia sempre e solo “il Vaticano”. Ma chi denuncia indignato le bassezze, è perché misura l’altezza del messaggio che da lì viene annunciato al mondo e che, credenti o no che si sia, non si vorrebbe infangato”.

Saturday, March 13, 2010

Comunicato vescovile sulle elezioni regionali

In data 22 febbraio 2010, i Vescovi della regione Emilia-Romagna hanno pubblicato un comunicato in vista delle elezioni regionali. Di seguito, il comunicato è riportato integralmente.

COMUNICATO DEI VESCOVI DELLA REGIONE EMILIA-ROMAGNA

Gli Arcivescovi e Vescovi della regione Emilia-Romagna desiderano indirizzare ai fedeli delle loro comunità questa comunicazione, in vista delle elezioni regionali del prossimo mese di marzo.

1. Come Vescovi, la nostra prima inderogabile missione è di annunciare il Vangelo proponendo ad ogni uomo la via della fede, come via della libertà, come via della responsabilità e della salvezza.
Ma il Vangelo che dobbiamo annunciare contiene anche una precisa concezione dell’uomo e di tutta la sua realtà, personale e sociale, che risponde in modo adeguato alle fondamentali esigenze della sua persona.
È questa concezione il nucleo portante della Dottrina Sociale che la Chiesa ha sempre proclamato e testimoniato, e che l’attuale pontefice Benedetto XVI ha mirabilmente sintetizzato nell’espressione «valori non negoziabili».

2. Essi costituiscono patrimonio di ogni persona, perché inscritti nella coscienza morale di ciascuno.
A questi valori anche ogni cristiano deve riferirsi come criterio ineludibile per i suoi giudizi e le sue scelte nell’ordine temporale e sociale.
Eccoli sinteticamente: la dignità della persona umana, costituita ad immagine e somiglianza di Dio, e perciò irriducibile a qualsiasi condizione e condizionamento di carattere personale e sociale; la sacralità della vita dal concepimento fino alla morte naturale, inviolabile ed indisponibile a tutte le strutture ed a tutti i poteri; i diritti e le libertà fondamentali della persona: la libertà religiosa, la libertà della cultura e dell’educazione; la sacralità della famiglia naturale, fondata sul matrimonio, sulla legittima unione cioè fra un uomo e una donna, responsabilmente aperta alla paternità e alla maternità; la libertà di intrapresa culturale, sociale, e anche economica in funzione del bene della persona e del bene comune; il diritto ad un lavoro dignitoso e giustamente retribuito, come espressione sintetica della persona umana; l’accoglienza ai migranti nel rispetto della dignità della loro persona e delle esigenze del bene comune; lo sviluppo della giustizia e la promozione della pace; il rispetto del creato.

3. È questo complesso di beni che costituisce l’orizzonte immutabile di ogni giudizio e di ogni impegno cristiano nella società. Persone, raggruppamenti partitici e programmi devono pertanto essere valutati a partire dalla verifica obiettiva del rispetto di quei beni.
Perciò la coscienza cristiana rettamente formata non permette di favorire col proprio voto l’attuazione di un programma politico o la promulgazione di leggi che non siano coerenti coi valori sopraddetti, esprimendo questi le fondamentali esigenze della dignità umana.

4. Siamo consapevoli di avere proposto ai nostri fedeli non solo orientamenti doverosi per l’oggi, ma anche un costante cammino educativo, mediante cui l’assimilazione dei valori della Dottrina Sociale della Chiesa porta a giudizi e a scelte responsabili e coerenti, sottratte ai ricatti dei poteri ideologici e mass-mediatici o avvilite da interessi particolaristici.
Vorremmo che crescesse, anche in forza di un rinnovato e quotidiano impegno educativo delle nostre Chiese, un laicato che proprio a causa della sua appartenenza ecclesiale, fosse dedito al bene comune della società.

5. La Chiesa non deve prendere «nelle sue mani la battaglia politica» [cfr. Benedetto XVI, Deus caritas est, 28]. Pertanto clero ed organismi ecclesiali devono rimanere completamente fuori dal dibattito e dall’impegno politico pre-elettorale, mantenendosi assolutamente estranei a qualsiasi partito o schieramento politico. Per i sacerdoti questa esigenza è fondata sulla natura stessa del loro ministero (cfr. Congregazione per il Clero, Direttorio per il ministero e la vita dei Presbiteri 33, cpv.1°: EV 14/798).

6. Ma è un diritto dei fedeli essere illuminati dai propri pastori quando devono prendere decisioni importanti. Se un fedele chiedesse al sacerdote come orientarsi nella situazione attuale, il sacerdote tenga presente quanto segue.
Ogni elettore è chiamato ad elaborare un giudizio prudenziale che per definizione non è mai dotato di certezza incontrovertibile. Ma un giudizio è prudente quando è elaborato alla luce sia dei valori (cfr. § 2) umani fondamentali che sono concretamente in questione sia delle circostanze rilevanti in cui siamo chiamati ad agire.
Ciò premesso in linea generale, ogni elettore che voglia prendere una decisione prudente, deve discernere nell’attuale situazione quali valori umani fondamentali sono in questione, e giudicare quale parte politica – per i programmi che dichiara e per i candidati che indica per attuarli – dia maggiore affidamento per la loro difesa e promozione.
L’aiuto che i sacerdoti devono dare quindi consiste nell’illuminare il fedele perché individui quei valori umani fondamentali che oggi in Regione meritano di essere preferibilmente e maggiormente difesi e promossi, perché maggiormente misconosciuti o calpestati. Il Magistero della Chiesa è riferimento obbligante in questo aiuto al discernimento del fedele.
Ma il sacerdote deve astenersi completamente dall’indicare quale parte politica ritenga a suo giudizio che dia maggior sicurezza in ordine alla difesa e promozione dei valori umani in questione. Questa indicazione infatti sarebbe in realtà un’indicazione di voto.

La nostra Regione, così come l’intera nostra nazione, sta attraversando un momento difficile. Pensiamo in primo luogo e siamo vicini alle famiglie colpite da gravi difficoltà economiche; e a chi ha perduto o rischia di perdere il lavoro.

La consultazione elettorale è una occasione nella quale ogni fedele è invitato ad esercitare mediante il voto una parte attiva nella doverosa edificazione della comunità civile.

In questo modo «la carità diventa carità sociale e politica: la carità sociale ci fa amare il bene comune e fa cercare effettivamente il bene di tutte le persone, considerate non solo individualmente, ma anche nella dimensione sociale che le unisce» [Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa n. 207].

Con la nostra Benedizione.

22 Febbraio, Festa della Cattedra di San Pietro

CAFFARRA S.Em. Card. CARLO, Arcivescovo di Bologna e Presidente della CEER
VERUCCHI S.E. Mons. GIUSEPPE, Arcivescovo di Ravenna-Cervia e Vicepresidente della CEER
RABITTI S.E. Mons. PAOLO, Arcivescovo di Ferrara-Comacchio
AMBROSIO S.E. Mons. GIANNI, Vescovo di Piacenza - Bobbio
CAPRIOLI S.E. Mons. ADRIANO, Vescovo di Reggio Emilia - Guastalla
GHIRELLI S.E. Mons. TOMMASO, Vescovo di Imola
GHIZZONI S.E. Mons. LORENZO, Vescovo ausiliare di Reggio Emilia - Guastalla
LAMBIASI S.E. Mons. FRANCESCO, Vescovo di Rimini
LANFRANCHI S.E. Mons. ANTONIO, Amministratore Apostolico di Cesena - Sarsina
LOSAVIO Mons. PAOLO, Amministratore Diocesano di Modena - Nonantola
MAZZA S.E. Mons. CARLO, Vescovo di Fidenza
NEGRI S.E. Mons. LUIGI, Vescovo di San Marino - Montefeltro
PIZZI S.E. Mons. LINO, Vescovo di Forlì - Bertinoro
SOLMI S.E. Mons. ENRICO, Vescovo di Parma
STAGNI S.E. Mons. CLAUDIO, Vescovo di Faenza - Modigliana
TINTI S.E. Mons. ELIO, Vescovo di Carpi
VECCHI S.E. Mons. ERNESTO, Vescovo ausiliare di Bologna, Segretario della CEER

Thursday, March 11, 2010

Pedofilia: il Vaticano sembra il solo a fare notizia

Vittorio Messori sul Corriere della Sera di oggi

Mi si scuserà se prendo spunto dall’esperienza personale. Credo che possa aggiungere un piccolo tassello al mosaico oscuro del sesso degli adulti con i minori. Oscuro per noi, oggi: non pochi di coloro che si atteggiano a inflessibili moralizzatori, furono apostoli attivi della sessantottarda “liberazione sessuale”.
Per coloro che non vissero quei tempi, sarà sorprendente un carotaggio tra tanti, troppi testi degli anni Settanta. Libertà di sesso, per chiunque e con chiunque! Bambini compresi, anzi questi per primi, per educarli da subito a una prospettiva “non repressiva”, a un “eros liberato”. Tra questi difensori – ma solo oggi, va ripetuto – del rispetto per i piccoli, molti sono coloro per i quali non vale, non deve valere, il rispetto per i più piccoli ancora. Guai, dunque a chi tocca i bambini già nati. Ma guai anche a chi volesse difendere i bambini non ancora nati; e difenderli non da molestie, ma dalla estirpazione violenta dall’utero. Un certo sdegno liberal non è eguale per tutti: infanzia protetta, certo, ma solo quella scampata all’ecatombe.

Veniamo allora alla piccola, ma forse significativa, esperienza personale. Terminata l’università e in attesa di un varco per infilarmi in qualche giornale o casa editrice, sentii parlare di una possibilità di lavoro temporaneo come assistente – qualcosa a metà tra il sorvegliante e il tutor – in collegi che praticavano ancora l’internato. Feci domanda ad alcuni di essi (tutti laici, va precisato, nessuno religioso) e fui convocato per colloqui e per una prima esperienza. Parlando con coloro che avrebbero potuto divenire colleghi, sentii talvolta discorsi che non capivo: lo stipendio era esiguo, il lavoro impegnativo ma, in cambio, c’erano vantaggi, c’erano benefit riservati che compensavano i sacrifici. Compresi solo quando, in un collegio per i virgulti di ricchi borghesi, un cinquantenne mi disse, strizzando l’occhio: “Vieni, non esitare! Sai, di giorno si lavora molto ma, di notte, le nostre stanze sono accanto a quelle dei ragazzi…”. Abituato, nottetempo, a un altro genere di frequentazioni, cambiai direzione alla mia ricerca di un lavoro, seppur temporaneo. Passarono gli anni e, come inviato di un quotidiano, visitai molti manicomi in procinto di chiusura per la legge Basaglia. In molti istituti non ci si curava neanche di nascondere che le ricoverate – e i ricoverati – minorenni, erano un “bottino” tanto appetito da scatenare lotte accanite tra medici e paramedici. I sindacalisti tacevano: anzi, mi dissero in una di quelle case, si erano riservati un diritto di prelazione sugli imberbi. Ma poiché la vita è lunga e gli incontri tanti, non ho dimenticato quello con un capitano di mare che – ridendo, a tavola, un po’ alticcio – mi raccontava della sorte, secondo lui divertente, che toccava, e tocca, ai quindicenni imbarcati come mozzi nelle infinite navi di ogni bandiera che solcano i mari.
Sono solo piccole postille a quanto detto l’altro giorno dal portavoce vaticano, padre Federico Lombardi: “Certamente quanto compiuto in certi ambienti religiosi è particolarmente riprovevole, data la responsabilità educativa e morale degli uomini di Chiesa. Ma chi è obiettivo e informato sa che la questione è molto più ampia e il concentrare le accuse solo sulla Chiesa falsa la prospettiva”. Padre Lombardi ha citato l’inchiesta svolta in Austria dal governo: “Diciassette casi di molestie o violenze ascrivibili a religiosi cattolici, 510 in altri ambienti. Non sarebbe giusto, innanzitutto per le vittime, che ci si occupasse almeno un poco anche di loro?”. In America, nella nebulosa delle innumerevoli chiese, chiesuole, sette, comunità religiose non ve ne è alcuna che non debba affrontare denunce di fedeli, maschi e femmine, per le attenzioni riprovevoli di ministri del culto. Neanche le istituzioni della vasta e variegata comunità ebraica americana sono esenti dal dilagare del contagio. Preti, pastori, rabbini si ritrovano spesso insieme nelle aule dei tribunali. E altrettanto avviene per tanti che lavorano negli ambienti più laici e più lontani da prospettive religiose, come ho ricordato.
Eppure, solo la Chiesa cattolica sembra fare notizia. Ma a ben pensarci, un simile “privilegio” non dovrebbe dispiacere a un credente. Chi si sdegna per le malefatte di un prete, più che per quelle di chiunque altro, è perché lo lega a un ideale eccelso che è stato tradito. Chi considera più gravi le colpe “romane”, rispetto a ogni altra, è perché vengono da una Chiesa da cui ben altro si aspettava. Molte invettive anticlericali sono in realtà proteste deluse. È scomodo, per i cattolici, che il bersaglio privilegiato sia sempre e solo “il Vaticano”. Ma chi denuncia indignato le bassezze, è perché misura l’altezza del messaggio che da lì viene annunciato al mondo e che, credenti o no che si sia, non si vorrebbe infangato.

Wednesday, March 10, 2010

500 cristiani macellati non fanno notizia

Sui mass media la censura delle persecuzioni contro i cristiani continua in modi nuovi. E non parlo solo delle persecuzioni dei regimi comunisti o di quelli islamici.

Nei giorni scorsi, per esempio, in India, quindi in uno dei pochi stati democratici dell’Asia, sono stati arrestati centinaia di cristiani e addirittura tre vescovi cattolici, rei di aver promosso una marcia pacifica di 800 chilometri per sensibilizzare le autorità contro le discriminazioni ai danni dei “dalit” cristiani.

I “dalit”, cosiddetti “fuori casta” o “intoccabili”, sono quei 300 milioni di indiani che in base alla teologia induista da secoli sono considerati nulla e non hanno diritti.

Ebbene, i dalit convertiti al cristianesimo sono ancora più diseredati e discriminati degli altri, proprio perché cristiani. Alla pacifica richiesta di giustizia e uguaglianza da parte della Chiesa le autorità rispondono col pugno di ferro.

Questa vicenda però non buca le pagine delle cronache. Bisogna che scorra sangue cristiano – come l’anno scorso, proprio in India, nello stato dell’Orissa, con i feroci pogrom di fondamentalisti indù contro i cristiani – perché i perseguitati cristiani possano essere un po’ considerati dai nostri mass media.

Ma anche in questo caso c’è modo e modo. Ieri, per esempio, dalla Nigeria è arrivata la notizia di 300 cristiani (perlopiù donne e bambini) ammazzati da islamici a colpi di machete nel villaggio di Dogo Nahawee (poi si è appreso che le vittime sono almeno 500).

Su alcuni giornali – compreso il Corriere della sera – la notizia del massacro è stata data per quello che è, in quanto da qualche anno si è cominciato ad aprire gli occhi: ricordo che quando, dieci anni fa, pubblicai il mio libro-denuncia sul martirio in corso dei cristiani (“I nuovi perseguitati”, edizioni Piemme), molti colleghi, anche autorevoli direttori (ricordo in particolare Paolo Mieli), mi confessarono il loro stupore per un fenomeno che neanche avevano mai immaginato.

Ma c’è chi continua a disinteressarsene e privilegia la propria ostilità pregiudiziale. Così l’Unità ieri ha dedicato al massacro Doko Nahawee una breve e remota notiziola presentandola con questo titolo: “Nigeria. Oltre 100 morti in disordini tra musulmani e cristiani”.

Una mattanza di cristiani, perpetrata a freddo, diventa un generico “disordine” dove non sembrano esserci né vittime né carnefici.

In questo modo ovviamente non si comprende nulla nemmeno del quadro geopolitico generale, dove un vasto tentativo di islamizzazione dell’Africa da parte dei Paesi arabi trova spesso un sorprendente alleato nella Cina interessata al petrolio. Connubio evidente in Sudan.

Ma anche il genocidio del Sudan, dove il regime islamista del Nord per venti anni ha massacrato le popolazioni cristiane e animiste del Sud per imporre la sharia, facendo circa due milioni di vittime, può essere rappresentato come un generico scontro fra cristiani e musulmani, in quanto i cristiani col tempo hanno organizzato una loro resistenza al genocidio.

E in effetti talora si è rappresentata la situazione sudanese così, come un’interminabile serie di scontri fra musulmani e cristiani.

In realtà, per capire cos’è il Sudan basti riportare una dichiarazione di Peter Hammond, direttore di Frontline Fellowship, intervistato da WorldNetDaily (27.5.2001): “Qualche tempo fa, la Corte Suprema sudanese ha stabilito che la crocifissione degli apostati, cioè di persone che erano musulmane praticanti e che si sono convertite al cristianesimo, è costituzionale. E questo (sudanese) è lo Stato che ha rimpiazzato quello statunitense nella Commissione per i diritti umani delle Nazioni Unite”

Ma – per tornare alla Nigeria – ieri c’è pure chi ha fatto peggio dell’Unità. La Repubblica, addirittura in prima pagina, ha titolato alla maniera dell’Unità, confondendo vittime e carnefici: “Nigeria, massacro infinito tra cristiani e musulmani”.

Poi l’articolo di Guido Rampoldi, che stava sotto, ha superato l’Unità, perché non si è limitato a scolorire il macello del giorno, contro i cristiani, in una indefinita sequela di disordini e di scontri. Ha fatto molto di più. Ha realizzato un reportage dove si rappresentano i cristiani (soprattutto loro) nella parte dei feroci carnefici.

E com’è possibile, visto che le 300 vittime di Dogo Nahawee sono cristiane? Semplice. Rampoldi non fa un reportage da lì, dov’è la notizia del giorno, ma da Kuru Karama, dove due mesi fa vi è stato un assalto di cristiani con vittime musulmane.

Ora, che la Nigeria sia un paese diviso a metà fra cristiani e musulmani e che molti cristiani abbiano cominciato a rispondere alla violenza con la violenza, è purtroppo vero. E le violenze sono tutte egualmente da condannare: i vescovi cattolici infatti non si stancano di implorare i fedeli di non rispondere agli attacchi con le armi.

Ma la scelta di Repubblica è davvero singolare, perché il fatto del giorno, secondo le più elementari leggi del giornalismo, è l’eccidio di cristiani avvenuto a Doko Nahawee.

E fa una certa impressione che il reportage di Rampoldi liquidi il massacro, ancora caldo, di trecento o “forse cinquecento” cristiani in tre righe tre, rappresentando poi per tutta la pagina i cristiani come sanguinari sterminatori.

In genere sui mass media quello che si vuole evitare di vedere e di riferire è che in tutti i paesi islamici i cristiani e le altre religioni sono discriminate e perseguitate, mentre da nessuna parte i cristiani perseguitano i musulmani.

Dove sta il problema? Nell’establishment intellettuale dell’Occidente che pretende di vedere i cristiani sempre sul banco degli accusati e che non sopporta di riconoscerli come vittime.

E’ il pregiudizio anticristiano – soprattutto anticattolico – che ha impedito finora di accorgersi di una clamorosa e dolorosa verità: che, cioè, i cristiani (e specialmente i cattolici), negli ultimi 50 anni, sono stati e sono il gruppo umano più discriminato del pianeta, perché sono perseguitati sotto tutti i regimi e a tutte le latitudini, mentre loro non perseguitano alcuna religione o ideologia, ma, anzi, con un esercito pacifico di missionari e opere di carità, aiutano tutti i sofferenti e i diseredati, dovunque, di qualsiasi credo o idea o etnia, senza nulla chiedere in cambio.

Solo per amore. Chi altro predica e testimonia l’amore e l’amore anche per i nemici?

Uno dei pochi coraggiosi intellettuali a denunciare questa assurda situazione dei cristiani è stato lo scrittore ebreo-americano Michael Horowitz in un suo memorabile scritto nel libro di Paul Marshall e Lela Gilbert, Their Blood cries out (Dallas 1997).

Horowitz afferma che per governi e mass media l’idea che i Cristiani siano oggi delle vittime “semplicemente non è concepibile. Armati della conoscenza dei peccati commessi nel nome della Cristianità e orrendamente inconsapevoli del ruolo fondamentale della Cristianità nella storia dell’Occidente, le élite dei giorni nostri sono indotte a pensare ai Cristiani come coloro che perseguitano, non come le vittime”.

Così “un’élite intellettuale che nei suoi interventi ha avuto a cuore i Buddisti del Tibet, gli Ebrei della passata Unione Sovietica e i Musulmani di Bosnia, trova facile respingere l’idea che i Cristiani possano essere egualmente vittime”.

E quando nella cronaca tracima il loro sangue, si può sempre parlar d’altro o confondere le acque. Perché in fondo nemmeno i cattolici conoscono veramente le dimensioni della persecuzione alla Chiesa. E difficilmente si attivano per aiutare i propri perseguitati.

Alla fine però resta sempre in sospeso un inquietante interrogativo: perché, nel mondo, tanto odio contro i cristiani?

E perché, in Italia, la Sinistra giornalistica e politica è così acrimoniosa contro la Chiesa e ostile ai cattolici, se poi pretende di avere il loro consenso e il loro voto?

Antonio Socci

Da Libero, 9 marzo 2010

Tuesday, March 09, 2010

Se l'uomo è una bestia

Il mese scorso, su Facebook, uno dei social network più frequentati nel mondo, un gruppo che pare abbia superato il migliaio di iscritti ha condiviso una pagina che molti hanno definito – inorriditi – «scioccante». La pagina aveva un titolo: “Tiro a segno con i bimbi Down”. In primo piano veniva mostrato il volto di un neonato, manifestamente affetto da quella sindrome, sulla cui fronte, in bella vista, appariva la scritta “scemo”.
Nei commenti degli iscritti, i piccoli colpiti da quella patologia venivano qualificati come «un peso inutile per la nostra società», «parassiti», «esseri stupidi e buoni a nulla», «creature ignobili» con le quali sarebbe, ovviamente, impossibile convivere.
Come risolvere il problema? Un utente particolarmente “sveglio” annunciava d’aver trovato la via d’uscita: utilizzare i piccoli come bersagli – «mobili o fissi», specificava – nei poligoni di tiro al bersaglio. Una soluzione da alcuni ritenuta «utile e divertente», da altri malamente “edulcorata” con una patina di buone (si fa per dire) intenzioni: «così non soffrono». Questo il livello (meglio: l’abisso) raggiunto da quel gruppo.
Sdegno, ribrezzo, orrore, indignazione, inviti minacciosi di farsi riconoscere rivolti a quegli utenti con il proposito di fargliela pagare cara: queste alcune delle furibonde reazioni suscitate da quella pagina. Pagina che è stata prontamente – e giustamente – rimossa, ma che non è passata inosservata alle autorità di polizia postale, postesi subito a caccia degli autori di una così spregevole vicenda.
Capisco e condivido le reazioni. Tuttavia, bisognerà pure avere il coraggio di dire che quanto è apparso su Facebook non dovrebbe sorprendere più di tanto, perché corrisponde esattamente, né più né meno, a ciò che pensa, promuove e realizza la cultura che oggi va per la maggiore. Per la quale ben pochi s’indignano e che si distingue dagli utenti di quel gruppo solo perché si guarda bene dall’imitarne la rozzezza.
Infatti, non è forse vero che quando si reclama il diritto alla selezione degli embrioni per scartare quelli “malformati”, quando si giustifica l’interruzione volontaria di una gravidanza perché la creatura portata in grembo non è sana, quando si rivendica il diritto al figlio “perfetto” perché se tale non fosse il piccolo «soffrirebbe troppo», non è forse vero – dicevo – che la logica è la stessa? E che identico è l’esito della risoluzione del “problema”?
Quella auspicata dagli utenti di Facebook chiede di eliminare i piccoli Down prendendoli a fucilate; quella di chi li seleziona nel grembo della madre (è accaduto realmente!) li elimina a colpi di bisturi, protetta da leggi infami. In un caso e nell’altro, alla loro soppressione si giunge. Per il primo, però, doverosa indignazione. Per il secondo, invece, comprensione benevola e plauso.
Sì, cari amici, tale è la follia di un mondo che fa a meno di Dio. Perché una cosa ci pare chiara: senza la fede, l’uomo perde la ragione. Sprovvisto di ragione, smarrisce ciò che lo rende umano. E senza umanità, scade al livello delle bestie. Forse anche peggio: queste, prive di libertà, non hanno colpa dei loro “misfatti”: se un leone sbrana un bimbo, nessuno lo accuserà d’aver peccato e assassinato.
Con l’aborto volontario (e su Facebook) noi facciamo l’uno e l’altro.
Non si scappa: senza Dio, siamo peggio – talvolta – delle bestie.

Gianpaolo BARRA, Il Timone n. 91, marzo 2010

Friday, March 05, 2010

Nelle ore dolorose dell'esistenza...

Nelle ore dolorose dell'esistenza, due sono le cose vere e confortanti: i solidi affetti che aiutano a soffrire e Dio che dà valore e una spiegazione alla sofferenza (Elisabeth Leseur).

Monday, March 01, 2010

Storia di Shazia. Novità per aiutare…

Che il Pakistan sia uno dei peggiori “buchi neri” del mondo sembra dimostrarlo anche l’uccisione del nostro eroico agente Pietro Colazzo, vicecapo dell’intelligence in Afghanistan (vedremo dopo perché).

Ne avevo parlato il 31 gennaio scorso su queste colonne, raccontando la storia di Shazia Bashir, la ragazzina cristiana entrata come serva in una casa di ricchi e potenti musulmani e uscita da lì morta.

La sua tragica vita è emblematica della situazione della minoranza cristiana di quel Paese, le cui figlie femmine sono costrette nelle condizioni di Shazia per poter guadagnare la miseria di 12 dollari al mese (8 euro) e far sopravvivere le loro famiglie.

Mi chiedevo perché nessun organismo umanitario o nessun ente cristiano o cattolico avesse lanciato un programma di adozioni a distanza per salvare queste povere bambine dall’orrore di una servitù che comporta spesso ogni tipo di violenza.

Tanti lettori di Libero mi hanno scritto desiderosi di far qualcosa. Oggi finalmente sono in grado di informare che qualcuno – dopo aver conosciuto la tragedia di Shazia – ha trovato il modo di lanciare un primo salvagente.

Non si tratta di organizzazioni femministe inorridite per la condizione delle giovani donne cristiane. E non si tratta neanche dei tanti “progressisti”, no global o robe simili che amano sciacquarsi la bocca con il Terzo mondo, gli immigrati, la solidarietà e via dicendo.

Nossignori. A rimboccarsi le maniche per aiutare queste sventurate ragazzine e le loro famiglie cristiane, che sono i più poveri dei poveri, è l’ “Umanitaria padana onlus” (per avere notizie su internet si veda www.umanitariapadanaonlus.net).

Sì, avete capito bene, un’organizzazione umanitaria nata dal popolo della Lega Nord (precisamente dall’ “Associazione donne padane”). Del resto non c’è troppo da stupirsi se si pensa che il Nord Italia e specialmente la Lombardia hanno letteralmente riempito il mondo di missionari.

L’anima e il motore dell’Umanitaria padana è Sara Fumagalli, una donna straordinaria, ardente di fede cristiana, piena di dinamismo, di coraggio e di umiltà, che ha portato aiuto – anche rischiando fisicamente – negli angoli più disperati del mondo, dal Darfur (in Sudan), all’Etiopia, da Haiti all’Iraq, quindi in Kosovo, in Kenia, Libano, Sri Lanka, in Terra Santa e appunto in Afghanistan.

Ieri Sara mi ha scritto: “Da anni la mia Associazione è venuta in contatto col problema della discriminazione o persecuzione dei Cristiani nel mondo (non solo quello islamico). Noi abbiamo deciso di muoverci sul piano pratico”.

Mi racconta di contatti con il Vescovo di Faisalabad, Monsignor Joseph Coutts, per aiutare i Cristiani perseguitati del Punjab e di borse di studio per alcuni seminaristi pakistani.

“Dopo di allora”, mi racconta Sara “ho mantenuto contatti stabili con il Pakistan attraverso un giovane docente pakistano della Pontificia Università Lateranense, professor Mobeen Shadid, che mi aveva informato anche del caso di Shazia. Mi diceva che capita spesso, anche senza arrivare alla tragedia della piccola, che le famiglie musulmane non restituiscano le bimbe alle famiglie cristiane d’origine e impongano loro conversioni e matrimoni forzati”.

Si pensava – dice Sara – a iniziative di sensibilizzazione sul piano culturale, politico e diplomatico: “La grande idea, bella pratica come piace a me, è arrivata leggendo il tuo articolo. Mi sono subito attivata. Ho chiamato Mobeen e attraverso di lui ho saputo che un suo direttore spirituale, padre Edward Thuraisingham, Oblato di Maria Immacolata, si occupava già di un progetto per garantire un’istruzione e un futuro a bambini cattolici in condizioni a vario titolo disagiate”.

“L’ho subito contattato” prosegue Sara “e così, in una serie di messe a punto successive, è nato il progetto: ‘Borse di studio Shazia Bashir -adotta una bambina con la sua famiglia’. Si tratta di un progetto di sostegno a distanza che consente di far studiare bambine o ragazze di famiglie cristiane povere”.

Ma – attenzione – “l’obiettivo non è solo quello di mandare a scuola le bambine, magari togliendole alla famiglia per mandarle in collegio – cosa che risolverebbe sì il problema della ragazzina, ma non della famiglia – bensì quello di mandarle a scuola facendole continuare a vivere, ogni qualvolta sia possibile, nella loro famiglia”.

Come è possibile? Tramite i missionari. “La gestione di un progetto così è più difficile per il missionario che se ne occupa, ma ha una ricaduta sociale a favore della comunità Cristiana, molto superiore. Il costo per ogni ragazzina adottata è di 500 euro l’anno e comprende la retta scolastica, l’uniforme (fondamentale per evitare differenze), i libri di testo, il materiale didattico e di consumo e un piccolo sostegno alla famiglia (coprendo di fatto il sostentamento della figlia e il mancato guadagno avendola mandata a scuola invece che a lavoro)”.

L’operazione (a cui partecipano anche le “Donne padane”) inizia con 10 borse di studio, ma – aggiunge Sara – “se vediamo che il progetto va bene e se la gente ci aiuta, più avanti si potrà pensare di aumentare il numero delle borse di studio, per riscattare sempre più bambine all’amara condizione di Shazia”.

A giudicare dalle mail che mi sono arrivate saranno certamente tanti a contribuire. A tutti costoro giro un ulteriore chiarimento della Fumagalli: “Mi preme dirti che, com’è nostro costume, l’intera quota di 500 euro andrà a Padre Thuraisingham per le bambine e le loro famiglie, senza perder neppure un centesimo in costi di struttura o propaganda, grazie al fatto che l’associazione vive di solo volontariato e ama fare le cose in piccolo, ma concreto e verace (come piace alla Madonna)”.

Naturalmente sarà difficile vedere e ascoltare in televisione persone straordinarie come Sara Fumagalli (gli eroi del nostro tempo sono altri: Morgan, per esempio, alle cui gesta sono stati dedicati addirittura due talk show di informazione).

Ma sono queste eroiche formichine quelle che cambiano la storia. E da cambiare in Pakistan c’è moltissimo, cominciando dai diritti umani e dalla libertà religiosa come accadde con i Paese dell’Est. Proprio ieri i vescovi pakistani hanno lanciato un appello: “nessuno ci protegge”.

I cristiani sono le prime vittime del fondamentalismo islamico che infierisce su di loro – scrive Avvenire – con “rapimenti, violenze e uccisioni nelle aree sotto l’influenza taeban”.

I vescovi accusano il governo pakistano di lasciare “mano libera ai taleban”, che opprimono i cristiani con la “jazija” (imposta richiesta ai non musulmani sottomessi) e con ogni sorta di violenza.

Inoltre i vescovi chiedono al governo pakistano di abolire le leggi più odiosamente discriminatorie, come quella orrenda sulla blasfemia, e promuovere tolleranza e uguaglianza davanti alla legge.

Un sogno per ora remotissimo. Gli stessi sviluppi giudiziari del “caso Shazia”, per esempio, fanno temere che non sarà fatta giustizia.

Non si creda che il Pakistan sia solo un remoto e insignificante paese del Terzo Mondo. E’ anzitutto una potenza nucleare di 180 milioni di abitanti e ha un ruolo strategicamente decisivo per gli equilibri mondiali.

Nel mio articolo del 31 gennaio scrivevo che un Paese come quello non poteva essere il credibile pilastro dell’Occidente nella lotta al terrorismo islamista. E’ un inquietante buco nero atomico.

Lo fa pensare anche – come dicevo – l’assassinio del nostro agente Pietro Colazzo. Ieri Lucia Annunziata, con un editoriale sulla Stampa intitolato “Sacrificato dai servizi pachistani”, rivelava proprio l’inquietante retroscena che sembra emergere: “l’attacco sarebbe stato ideato e portato a termine non dai taleban, ma dai servizi segreti del Pakistan con lo scopo di inviare un pesante avvertimento all’India”.

Vedremo se ci saranno conferme. Ma intanto aiutiamo le ragazzine come Shazia, giovane martire cristiana. Sarà una piccola luce accesa nelle tenebre. Ma la luce prima o poi vince le tenebre. Sempre.

Antonio Socci, su “Libero” del 28 febbraio 2010